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NotiziaIl 45% degli italiani è insoddisfatto del Ssr, aumentano quelli che rinunciano a curarsi
Data26/11/2016
Descrizione

Sanità e Politica

 

Il 45% degli italiani è insoddisfatto del Ssr, aumentano quelli che rinunciano a curarsi

Lo rivela la ricerca Censis-Rbm Assicurazione Salute presentata oggi a Venezia, in occasione dell'evento ‘Secondo pilastro sanitario e bilateralità territoriale nella prospettiva della Riforma del Titolo V della Costituzione'

di Redazione Aboutpharma Online 24 novembre 2016

Gli italiani non sono soddisfatti dei servizi sanitari regionali. Per il 45% dei connazionali (+2,4% rispetto al 2015) si è registrato un netto peggioramento negli ultimi due anni. E sono sempre di più quelli che rinunciano alle cure: oltre 2 milioni in Campania, un milione e 700 mila in Sicilia, un milione e mezzo nel Lazio, 1 milione in Lombardia, e a seguire Puglia, Calabria e Piemonte. Lo rivela la ricerca Censis-Rbm Assicurazione Salute presentata oggi a Venezia, in occasione dell’evento ‘Secondo pilastro sanitario e bilateralità territoriale nella prospettiva della Riforma del Titolo V della Costituzione’.

Secondo lo studio, i più insoddisfatti sono i cittadini del Sud e delle isole. La motivazione dello scontento deriva per lo più dalle lunghe liste d’attesa, dalla lunghezza delle code nelle varie strutture e dalla mancanza di coordinamento tra strutture, servizi e personale, che costringe a girare da un ufficio all’altro. “In 5 anni, dal 2011 al 2016, gli italiani che rinunciano alle cure sono passati da 9 milioni a 11 milioni – ricorda Carla Collicelli, Advisor Censis – così abbiamo assistito al boom della spesa sanitaria privata, arrivata a oltre 34 milioni di euro. Sono, infatti, 10,2 milioni gli italiani che hanno aumentato rispetto a qualche anno fa il ricorso al privato”.

Tra i dati più interessanti emersi ci sono i tempi di attesa per le visite specialistiche: per effettuare una colonscopia senza biopsia si devono aspettare 143 giorni, per una risonanza magnetica 75 giorni e per una mammografia 66. Se non si accede, quindi, alla sanita privata si corre il rischio che malattie gravi non vengano diagnosticate in tempo. “Oggi siamo abituati a un sistema in cui gli erogatori del Servizio sanitario nazionale (Ssn) sono affiancati da erogatori privati, che spesso lavorano in convenzione, però è un sistema di monofinanziamento, il finanziamento è quello delle tasse, pagate dal cittadino, che sostengono il Ssn – sottolinea Marco Vecchietti, Consigliere delegato Rbm Assicurazione Salute – Quando in realtà le strutture del Ssn o del privato in convenzione non sono in grado di erogare il servizio, ciascuno di noi apre il portafoglio, ovviamente chi i soldi li ha. Noi diciamo: affianchiamo a questo sistema che è doppio in offerta, anche un sistema di finanziamento doppio, via fiscalità generale e uno che organizzi la spesa privata del cittadino, ottenendo una riduzione dei costi unitari delle prestazioni. Chi si convenziona con noi, la stessa prestazione sanitaria privata che vende al cittadino, a noi la vende ad un prezzo più basso, ma è naturale perché noi acquistiamo per 7 milioni di persone, è ovvio che non possa fare lo stesso prezzo che fa al singolo. Perché quindi non lavoriamo insieme per spiegare ai cittadini che questa alleanza serve, che sarebbe a beneficio di tutti?”.

Nel contesto del Ssn che indietreggia, il settore industria prevede un primo livello di protezione per i dirigenti e per i loro familiari con il Fasi e l’integrazione di secondo livello con Assidai. “Fasi e Assidai costituiscono un modello di sanità integrativa eccellente per governance, solidità finanziaria e per la scelta di politiche sanitarie che puntano a prevenzione, assistenza socio-sanitaria e copertura di tutto il nucleo familiare – evidenzia Stefano Cuzzilla, presidente Federmanager – La detassazione del welfare che è presente nella Legge di Bilancio 2017 va nella giusta direzione: se si incentivano gli imprenditori e il sistema produttivo diventa consapevole che la produttività del business dipende anche dalla salute dei propri lavoratori, si può raggiungere una massa critica sufficiente a estendere la platea di beneficiari. La leva fiscale può far funzionare il sistema sanitario in una logica di collaborazione pubblico-privato che abbatte la spesa che i cittadini sostengono di tasca propria, quando ci riescono e non sono, invece, costretti a rinunciare alle cure”.

Dal Canto suo, il Veneto è una Regione che vanta un’esperienza di bilateralità in campo assistenziale e sanitario, in particolare l’esperienza recentemente abbracciata con Sani. Il Veneto dimostra l’importanza della sanità integrativa che parla con il territorio e intercetta i bisogni di prossimità dei lavoratori e dei cittadini. “Noi immaginiamo un ruolo sempre più importante per i Fondi sanitari territoriali, a prescindere da quale sarà il risultato del referendum sulla riforma costituzionale, che ridisegna le competenze in materia di sanità tra Stato e Regioni – dichiara Gerardo Colamarco, segretario generale Uil Veneto – Promuoviamo insieme a Confartigianato Imprese, Cna, Casartigiani, Cgil e Cisl un Fondo sanitario integrativo regionale per i lavoratori delle imprese artigiane del Veneto, il ‘Sani.In.Veneto’, che ha l’obiettivo di mettere a disposizione dei lavoratori dipendenti delle aziende aderenti trattamenti e prestazioni socio-sanitarie integrative e complementari al Ssr.  ‘Sani.In.Veneto’ vuole porsi come una ‘seconda gamba’ strutturale del Servizio sanitario del Veneto contribuendo a garantire più elevati livelli assistenziali. Si tratta di un’importante opportunità anche perché prevede, a differenza di quella nazionale, l’inclusione di tutti i settori (nessuno escluso, dopo l’adesione del settore edile) e di tutte le forme di rapporto di lavoro”.

Presente anche la Confcommercio Veneto che ha siglato un accordo con Rbm grazie al quale si potrà garantire in Veneto agli imprenditori associati a Confcommercio un Piano sanitario analogo a quello che la Contrattazione collettiva nazionale riserva ai lavoratori dipendenti delle imprese del terziario.