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    • 2023-06-20 00:00:00

    Negli ospedali italiani la nutrizione clinica è ancora una “Cenerentola”

    Sono poche però le Regioni particolarmente attrezzate: è il caso del Piemonte (con 14 centri), del Lazio (13) e della Campania (11). Altre – seppur molto più piccole – garantiscono prestazioni inferiori alle aspettative. È il caso dell’Abruzzo, della Basilicata, del Molise, della Sardegna e della Valle d’Aosta: ognuna delle quali può contare soltanto su una struttura di questo tipo.

    Nutrizione clinica: insufficienti le performance di Lombardia e Sicilia

    I dati emergono da un lavoro condotto dalla Società Italiana di Nutrizione Clinica (Sinuc), presentato durante il forum Nutrendo in corso a Roma. Dopo aver definito le fonti di ricerca, gli autori hanno condotto una mappatura nazionale delle diverse strutture che offrono un servizio di nutrizione clinica in Italia, divise in tre aree (Nord, Centro e Sud). Per ciascuna di esse, sono stati identificati i referenti da coinvolgere. Oltre 200 i professionisti sanitari interpellati: afferenti sia a unità operative di nutrizione clinica sia di altre strutture (medicina interna, gastroenterologia, rianimazione) in cui viene portata avanti un’attività di questo tipo. I questionari hanno rivelato che le attività più presenti sono l’ambulatorio di nutrizione clinica (in 80 strutture su 93) e le consulenze nutrizionali nei reparti di degenza ospedalieri (svolte da 78 strutture). Tra le grandi Regioni, deludono le performance della Lombardia e della Sicilia: dove sono attive rispettivamente 8 e 3 unità operative dedicate al supporto nutrizionale dei pazienti.

    Scarsa integrazione tra ospedale e territorio

    “Numeri insufficienti – per Maurizio Muscaritoli, direttore dell’unità operativa di nutrizione clinica del policlinico Umberto I di Roma e presidente della Sinuc – a soddisfare i bisogni della Regione più popolosa di Italia e di un territorio comunque vasto qual è la Sicilia”. Secondo l’esperto, per colmare questa e le altre disomogeneità, “sarebbe opportuno promuovere una distribuzione più equa delle risorse e delle strutture specializzate, attraverso la creazione di nuove strutture nelle Regioni in cui si evidenzia una carenza di servizi e professionalità specifiche”. Un altro aspetto emerso è l’evidente sbilanciamento nella distribuzione dei servizi di nutrizione clinica tra gli ospedali e il territorio. Risultato: la carenza di strutture diffuse non garantisce un’adeguata organizzazione dei servizi di referenza organizzativa per i residenti nelle Rsa e limita la continuità assistenziale di chi è in regime di assistenza domiciliare integrata, di consulenza nutrizionale a domicilio e di nutrizione artificiale domiciliare.

    Ambulatori insufficienti e poco attrezzati a gestire la complessità dei casi

    Altrettanto sorprendente è il dato sulle malattie che richiedono un supporto nutrizionale ambulatoriale. In meno di 1 caso su 4 (15 su 80), infatti, gli ambulatori coprono tutte le aree di competenza della nutrizione clinica, con uno sbilanciamento (definito “prevedibile e giustificabile”) verso le malattie oncologiche che “in alcuni casi sembrerebbe portare a una minore attenzione nei confronti di altri pazienti”, è il parere degli esperti. In più la nutrizione artificiale domiciliare è risultata offerta in poco più della metà delle strutture, “con una disomogeneità nelle possibilità di accesso a questo servizio confermata non soltanto tra le varie Regioni, ma anche all’interno della stessa”. A questo dato si aggiunge lo scarso ricorso alla telemedicina che, soprattutto nel contesto della nutrizione artificiale domiciliare, “potrebbe alleggerire il carico operativo dei servizi, soprattutto in relazione al controllo e monitoraggio periodico dello stato nutrizionale”, prosegue Muscaritoli.

    Come dovrebbe funzionare un servizio di nutrizione clinica?

    Un servizio di dietologia e nutrizione clinica dovrebbe essere sempre composto almeno da due professionalità di base: il medico specialista e il dietista. A cui affiancare, a seconda dello sviluppo del servizio, operatori diversi (personale infermieristico, ausiliario e amministrativo).

    Questo in teoria, perché dall’indagine è emerso che in oltre 1 struttura su 4 non esiste una pianta organica e manca una specifica delle funzioni svolte. Inoltre, in più della metà dei casi (56 per cento), il responsabile non è un medico specialista in scienza dell’alimentazione e dietetica. “Ciò vuol dire che soltanto il 44 per cento di chi occupa quel ruolo ha le competenze necessarie”, avverte Muscaritoli.

    A ciò occorre aggiungere che in diversi casi (10 su 93, n.d.r) è risultato assente il dietista, seppur previsto da un documento aziendale. “Parliamo di professionisti con una formazione specifica sui temi nutrizionali che possono fornire una valutazione dello stato nutrizionale, la pianificazione dietetica personalizzata e la consulenza nutrizionale”.

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