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    • 2023-03-17 00:00:00

    La migrazione sanitaria costa 3,3 miliardi di euro alle Regioni meridionali

    Gli ultimi dati diffusi dalla Fondazione Gimbe parlano chiaro. La migrazione sanitaria, soltanto nel 2020, ha determinato il trasferimento di 3,3 miliardi di euro dalle Regioni meridionali verso quelle più attrattive. Gli ospedali scelti per curarsi dagli italiani che vivono al Sud si trovano principalmente in tre Regioni: l’Emilia Romagna, la Lombardia e il Veneto.

    Questo flusso di persone, oltre ad avere un impatto sulla qualità della vita dei malati e dei loro caregiver, “rappresenta anche una delle principali disuguaglianze che si registrano nel nostro Paese”, per dirla con Nino Cartabellotta, il presidente della Fondazione Gimbe, che ha elaborato il rapporto sulla mobilità sanitaria in Italia nel 2020.

    “Le Regioni con maggiore capacità attrattiva si trovano ai primi posti nei punteggi che classificano l’erogazione dei livelli essenziali di assistenza, i cui ultimi posti sono occupati da quelle che fanno registrare il maggior numero di partenze tra i malati”. E non è  un caso se le Regioni con un saldo positivo superiore a cento milioni siano tutte del Nord. Mentre quelle con un analogo saldo negativo si trovino tutte nel Centro e nel Sud dello Stivale.

    Migrazione sanitaria: un fenomeno in parte contenuto dalla pandemia

    Nel rapporto sono state considerate sette diverse tipologie di prestazioni: ricoveri ordinari e day-hospital (differenziati per pubblico e privato), medicina generale, specialistica ambulatoriale (differenziata per pubblico e privato), farmaceutica, cure termali, somministrazione diretta di farmaci, trasporti con ambulanza ed elisoccorso. Quanto alle fonti, la Fondazione Gimbe ha potuto contare sia sui dati economici aggregati sia sui flussi trasmessi dalle Regioni al ministero della Salute attraverso il cosiddetto “modello M”: un modulo riepilogativo degli importi di tutte le attività svolte da una Regione nei confronti dei pazienti provenienti da tutte le altre. Così è stato possibile quantificare il costo della mobilità sanitaria: risultato comunque il più basso degli ultimi dieci anni. Segno che, nonostante spese ancora molto rilevanti sostenute da alcune Regioni, l’avvento di Covid-19 ha avuto come effetto un rallentamento delle partenze. Con pazienti che hanno scelto di curarsi più vicino al proprio domicilio. O – peggio – hanno rimandato visite diagnostiche, di controllo e terapie. Con un impatto già descritto soprattutto dai cardiologi e dagli oncologi: i primi a registrare un calo nell’erogazione di diversi trattamenti, dalle angioplastiche agli interventi di chirurgia oncologica.

    Emorragia di pazienti dalle Regioni meridionali

    A contenere le uscite è stato anche un altro aspetto: l’esclusione dalla valutazione dei dati della Calabria, che di norma spende all’incirca 250 milioni all’anno per far curare i propri cittadini in altre Regioni. Un aspetto legato allo slittamento del saldo della mobilità del 2020 al 2026. L’emergenza Sud si evince però dai dati negativi riportati dalle altre Regioni: dai quasi 223 milioni spesi dalla Campania ai 124 milioni liquidati dalla Puglia per coprire le spese sanitarie erogate altrove nei confronti dei propri cittadini. Nel mezzo il Lazio (-202 milioni) e la Sicilia (-173,3 milioni). Più indietro, anche in ragione del numero di abitanti inferiore, l’Abruzzo (-84,7 milioni), la Basilicata (-62,4 milioni) e la Sardegna (-57,6 milioni). Sorprende invece il Molise, che è l’unica Regione meridionale ad avere un saldo positivo (34,2 milioni) legato alla mobilità sanitaria. Segno di una buona attrattività della seconda Regione più piccola del nostro Paese, determinata soprattutto dalla presenza di strutture private convenzionate: come il Gemelli Molise (a Campobasso) e l’Irccs Istituto Neurologico Mediterraneo (a Pozzilli).

    Elenco Regioni

    Oltre 1 malato su 2 sceglie di curarsi in Lombardia, Emilia Romagna e Veneto. I pazienti provenienti da queste aree del Paese, come dalle altre, scelgono di curarsi soprattutto negli ospedali di tre Regioni. Ovvero: in Lombardia, in Emilia Romagna e in Veneto. È verso questi territori, infatti, che si concentra quasi la metà (49,4 per cento) della mobilità attiva. A seguire ci sono il Lazio (8,4 per cento), il Piemonte (6,9 per cento) e la Toscana (5,4 per cento). Dati che documentano una realtà incontrovertibile: tra le Regioni del Centro-Sud, soltanto il Lazio è in grado di attirare pazienti (di varia natura) verso gli ospedali del proprio territorio. E anche in questo caso è il valore delle strutture private convenzionate – su tutte: il policlinico Gemelli, il Campus Biomedico e l’Ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma – a determinare la quota più rilevante della mobilità sanitaria in entrata (62,6 per cento).

    Specialità
    Si parte per curarsi soprattutto in strutture private (convenzionate e non)

    Un aspetto che emerge per diverse Regioni e che – è questa una delle novità che viene documentata per la prima volta nel rapporto – non è frutto del caso. Più di 1 viaggio su 2 (52,6 per cento) avviene infatti con destinazione una struttura sanitaria che sul piano giuridico è di natura privata (convenzionata o no).“Il volume dell’erogazione di ricoveri e prestazioni specialistiche da parte di strutture private varia notevolmente tra le Regioni ed è un indicatore della presenza e della capacità attrattiva delle strutture private accreditate”, prosegue Cartabellotta. Si spiega così perché accanto a Regioni in cui la sanità privata eroga oltre il 60 per cento del valore totale delle prestazioni erogate nei confronti di cittadini provenienti da altri territori (Molise, Puglia, Lombardia e Lazio) ve ne siano altre (Umbria, Sardegna, Valle d’Aosta, Liguria, Basilicata e Provincia autonoma di Bolzano) in cui la sanità privata è alla base della mobilità in entrata per meno del 20 per cento del dato complessivo.

    Ci si muove anche tra Regioni del Nord (ma altre cause)

    Detto dell’attrattività degli ospedali del Nord, anche in queste aree del Paese c’è chi sceglie di cambiare Regione per curarsi. Un fenomeno diverso però da quello che si registra nel Mezzogiorno, da cui spesso si parte non potendo ottenere il trattamento necessario a pochi chilometri da casa. Nel settentrione si registrano infatti soprattutto spostamenti di prossimità: con cittadini che optano per ospedali di Regioni limitrofe a seguito di valutazioni personali che spesso tengono conto anche dell’effettiva distanza in chilometri dalla propria residenza. È un fenomeno che si registra soprattutto nel quadrilatero composto da Liguria, Piemonte, Lombardia e Veneto e tra Emilia Romagna e Toscana. Non di rado infatti chi abita nelle aree interne di questi territori può trovare più comodo raggiungere il capoluogo di un’altra Regione piuttosto che della propria. Ecco spiegato perché la Lombardia nel 2020 ha liquidato oltre 360 milioni di prestazioni sanitarie ad altre Regioni: seguita dal Veneto (-220,1 milioni), dal Piemonte (-210 milioni) e dall’Emilia Romagna (-201,7 milioni).


    Regioni ITA
    Diritto alla salute negato per milioni di italiani
    Inevitabile, dati alla mano, una riflessione di natura politica.


    “Ci sono due aspetti che emergono in maniera significativa da questo rapporto – sintetizza Cartabellotta -. I flussi economici della mobilità sanitaria scorrono prevalentemente da Sud a Nord: in particolare verso le Regioni che hanno già sottoscritto i pre-accordi con il Governo per la richiesta di maggiori autonomie. E oltre la metà delle prestazioni di ricovero e specialistica ambulatoriale finisce nelle casse delle strutture private, ulteriore segnale d’indebolimento della sanità pubblica”. Eppure l’emorragia di risparmi non finisce qui, poiché ogni viaggio ha un impatto economico maggiore: determinato anche dai costi diretti sostenuti dai pazienti e dai famigliari per gli spostamenti a quelli indiretti legati all’assenza dal lavoro. “Ci sono milioni di italiani che non possono esigere un diritto fondamentale sancito dalla Costituzione: quello alla salute”, conclude Cartabellotta.

    Tag: fondazione gimbe / migrazione sanitaria / Nino Cartabellotta / sanità privata /