
Effetto placebo e nocebo: una doppia sfida per la ricerca clinica
Medicina scienza e ricerca
“Io risposi che era una certa pianta, ma che, oltre al farmaco, c’era una formula magica: se veniva cantata mentre si faceva uso del farmaco, il farmaco faceva guarire completamente. Senza la formula magica la pianta non era di nessuna utilità” (Parmenide, 155e. Dialoghi di Platone). In una chiave moderna le parole di Platone potrebbero essere usate per raccontare l’effetto placebo. Per cui se anche il medicinale somministrato è privo di effetto terapeutico, il processo che vi è dietro la sua assunzione non lo è e fa diventare efficace anche una sostanza o un trattamento inerte. Da tempo ormai gli scienziati stanno provando a capire come funziona l’effetto placebo e il corrispettivo effetto nocebo, che a differenza del primo porta a sviluppare gli effetti collaterali di un prodotto o un trattamento anche in presenza di un placebo.
Oggi si sa che entrambi sono influenzati dalla comunicazione tra medico e paziente e dalle aspettative che quest’ultimo si crea. Nel bene e nel male. Dal contesto che circonda il soggetto e da altre caratteristiche del prodotto, come packaging e prezzo. Aspetti che possono inficiare i risultati di un trial clinico, per esempio, ma anche, come nel caso dell’effetto nocebo, portare i pazienti a interrompere il trattamento con conseguenze cliniche importanti. Comprenderne il funzionamento può evidentemente servire a controllare tali effetti (il placebo soprattutto) a favore dei pazienti stessi. Per esempio per contrastare l’abuso da oppioidi che da tempo affligge gli Stati Uniti.
Oggi il concetto di placebo è esteso non solo a pillole senza effetto farmacologico ma anche a iniezioni e interventi “fasulli” (Sham surgery) utili nei trial clinici come controllo. Nel caso del dolore – disturbo tra i più studiati per via della facilità nel costruire il modello – gli studi condotti finora hanno dimostrato che l’effetto placebo attiva una serie di risposte biochimiche, come la produzione di endorfine e dopamina, che sembrano filtrare i segnali nocicettivi.
A livello periferico lo stimolo lesivo viene percepito da particolari recettori detti nocicettori. Ossia terminazioni nervose periferiche che a loro volta inviano il “messaggio” dolorifico al midollo spinale e infine al cervello. Qui vengono elaborati facendoci percepire dolore. In presenza di aspettative positive i segnali sono filtrati e arrivano al cervello in minor misura producendo un dolore meno intenso. Anche se la sostanza è inerte. Viceversa, di recente è stato dimostrato anche il contrario. Nel caso dell’effetto nocebo le aspettative negative possono far passare una maggior quantità di segnali e aumentare l’intensità del dolore. “Effetto nocebo e placebo funzionano attivando un complesso intreccio di circuiti neurali nel sistema nervoso centrale che modulano la percezione del tatto, la pressione, il dolore e la temperatura” spiega Luana Colloca, ricercatrice italiana che da otto anni si trova negli Stati Uniti dove è diventata professore associato al Department of pain and translational symptom science della Maryland university.
Uno studio pubblicato lo scorso ottobre su Science (Interactions between brain and spinal cord mediate value effects in nocebo hyperalgesia) ha confermato l’idea che gli effetti collaterali di un trattamento inerte possono aumentare in presenza di aspettative negative. I 49 partecipanti al trial hanno ricevuto due creme placebo presentate in modo differente. Una è stata descritta come molto costosa, con un packaging accattivante; l’altra come soluzione più economica dentro una confezione più semplice. Entrambe le creme sono state presentate come prodotti per la dermatite ma in grado di indurre una maggior sensibilità al dolore locale (iperalgesia). Ne è emerso che le persone che hanno provato il medicinale più costoso – e nel loro immaginario più potente – hanno segnalato effetti collaterali più gravi rispetto gli altri, e anche più duraturi nel tempo. Non si tratta però di semplice immaginazione: chi ha riportato maggiore dolore lo ha davvero percepito come tale.
L’effetto nocebo infatti, come il placebo, riesce davvero a influenzare i meccanismi biochimici. Per dimostrarlo i ricercatori hanno utilizzato l’imaging cerebrale tramite risonanza magnetica funzionale, che gli ha permesso di monitorare i circuiti coinvolti nell’iperalgesia attivata da nocebo. In questo modo gli scienziati hanno trovato un’attivazione maggiore di alcune porzioni di midollo spinale nel gruppo di pazienti trattati con la crema “più costosa”. Inoltre hanno scoperto che l’effetto nocebo era dovuto all’attivazione di due regioni cerebrali che elaboravano diversamente le informazioni sul prezzo del prodotto.
“Quando diamo ai pazienti una crema che costa più di un farmaco generico, abbiamo un maggiore effetto placebo. Ma questo già lo sapevamo” afferma Colloca, che da sempre si occupa dell’effetto placebo, ed è anche autrice di un articolo su Science (Nocebo effect can make you feel pain) a commento del paper scientifico già citato. “Quello che abbiamo scoperto con il nuovo studio è che anche l’effetto nocebo risente del prezzo del prodotto. Se quest’ultimo aumenta saranno maggiori anche gli effetti collaterali. Per trovare una spiegazione scientifica è stata studiata l’iperalgesia con la risonanza magnetica, da cui è emerso che l’aumento del dolore era davvero maggiore con la crema più cara.
Lo studio inoltre per la prima volta ha preso in esame anche il midollo spinale. Funziona infatti come una sorta di filtro in grado di regolare i segnali diretti al cervello. Se ci aspettiamo più effetti collaterali lasceremo passare più impulsi dolorosi periferici verso il cervello. È un meccanismo di modulazione che parte dalle aree frontali dove noi creiamo le nostre aspettative, le nostre credenze, le anticipazioni. Ora abbiamo scoperto che si crea un circuito tra due aree cerebrali importanti. La corteccia cingolata anteriore e la sostanza grigia periacqueduttale e il midollo spinale. In particolare la corteccia cingolata anteriore ha mostrato una disattivazione che a sua volta ha favorito l’attivazione della sostanza grigia periacqueduttale e del midollo spinale che hanno portato a un incremento degli input nocicettivi. È una scoperta importante. Perché per la prima volta dimostra che il midollo spinale agisce in entrambi i modi. Può aumentare l’analgesia da placebo, e quindi bloccare gli stimoli dolorosi che arrivano dai recettori periferici, ma anche fare l’opposto”.
Tutto dipende dal contesto in cui il farmaco viene dato e dalla presentazione dello stesso, che ne influenzano notevolmente gli effetti. Se da una parte bisogna prestare attenzione al packaging di un prodotto a seconda di quello che si vuole provocare in chi utilizza il prodotto, dall’altra è importante la comunicazione tra operatore sanitario e paziente. Un ambiente confortevole e l’empatia del personale sanitario aumentano le aspettative positive. Il che dovrebbe favorire l’effetto placebo. E qualcuno ne sarebbe anche contrario, se si pensa che un effetto placebo troppo marcato potrebbe sminuire i risultati di un nuovo farmaco di cui si sta testando l’efficacia. Al contrario, però, aspettative negative troppo marcate possono portare all’interruzione del trattamento per via degli effetti collaterali.
Uno studio pubblicato su Lancet lo scorso giugno ha dimostrato infatti che gli effetti collaterali associati a sintomi muscolari si verificavano in maggior misura nei pazienti che sapevano di prendere l’atorvastatina rispetto a chi l’assumeva senza esserne a conoscenza. Anche in questo caso, come spiega Ajay Gupta, del National heart and lung institute all’Imperial college di Londra, autore principale dello studio “i sintomi negativi non sono pura invenzione: le persone possono provare un dolore reale a causa dell’effetto nocebo e dell’aspettativa che i farmaci causino dei danni”.
Non è tanto il farmaco in sé dunque a causare dolore e debolezza muscolare quanto l’aspettativa degli stessi. Il problema però, come sottolinea Colloca, è che l’effetto nocebo può avere ripercussioni importanti sulla storia clinica dei pazienti. “Lo studio ancora una volta, suggerisce che le aspettative, create da quello che il paziente sa o gli viene detto sul prodotto, possono addirittura inficiare i dati di un trial clinico. Ma soprattutto, in alcuni casi, possono portare alla sospensione del trattamento. Nel caso del trial sulle statine per esempio sono stati registrati un aumento di ictus e infarto tra i soggetti che hanno interrotto l’assunzione del farmaco a causa degli effetti collaterali. Eventi che potevano essere evitati se non ci fosse stato un importante effetto nocebo”.
Che cosa fare allora? Sicuramente è importante continuare a studiare l’effetto placebo/nocebo per comprendere i meccanismi fisiologici che lo regolano e delineare strategie per ridurne la portata. Ma anche per capire come medici e aziende farmaceutiche dovrebbero presentare il prodotto al pubblico. Secondo Colloca l’ideale sarebbe “calibrare quello che viene detto al paziente e raffinare la comunicazione medico-paziente per bilanciare le informazioni sugli effetti collaterali e le aspettative di miglioramento. Dobbiamo chiedergli cosa si aspetta e presentargli il prodotto e gli aspetti collaterali come il prezzo in maniera adeguata. Per esempio se gli è prescritto un farmaco costoso, dovrebbe essere informato del fatto che non per forza produrrà più effetti collaterali. Alcune aziende farmaceutiche ci hanno contatto per chiederci consigli sul marketing, sulle caratteristiche della formulazione, il packaging e così via. Ma anche e soprattutto per creare video che spieghino cosa sono gli effetti placebo e nocebo, da mostrare ai soggetti arruolati in un trial clinico. Le aziende hanno interesse a educare pazienti e clinici sul tema. L’idea è che se i pazienti sono più consapevoli probabilmente possiamo controllare meglio questi fattori”.
L’effetto nocebo inoltre potrebbe anche essere più forte del placebo. Per natura infatti siamo portati a ricordare maggiormente gli eventi negativi rispetto a quelli positivi per difenderci da essi. Per cui se compriamo e usiamo un farmaco da banco le probabilità che la sua assunzione sia influenzata dall’effetto nocebo è limitata perché raramente leggiamo il foglietto illustrativo. Diverso è il caso dei trial clinici dove il paziente necessariamente deve essere informato sugli effetti collaterali del trattamento a cui sarà sottoposto. Qui è più facile che si verifichi l’effetto nocebo.
La maggior parte degli studi a proposito dell’effetto placebo e nocebo (anche se in misura limitata per motivi etici) vengono condotti sullo studio del dolore (come già ricordato): perché è più facile creare un modello rispetto ad altri tipi di malattia ed è anche più semplice controllare cosa succede quando diamo uno stimolo doloroso grazie alla risonanza magnetica. Ma non è l’unico ambito influenzato dall’effetto placebo/nocebo. “Evidenze scientifiche mostrano che le aspettative influenzano una varietà di sintomi molto ampia”, aggiunge Colloca. “Dal dolore alla nausea associata ai chemioterapici, fino all’ansia, ai disturbi cardiaci, alla disfunzione erettile e altri ancora. Per esempio informare i pazienti che un trattamento è stato interrotto, rispetto a un’interruzione nascosta, altera la risposta alla morfina, al diazepam e alla stimolazione cerebrale profonda rispettivamente nel dolore acuto postoperatorio, nell’ansia o nel morbo di Parkinson idiopatico. I pazienti informati della sospensione mostrano un improvviso aumento del dolore, dell’ansia o della bradicinesia (manifestazione della malattia di Parkinson) rispetto agli altri che lo ignorano”.
Nel 2007 in Italia fu condotto uno studio su 120 pazienti con ipertrofia prostatica, a cui venne somministrata la finasteride. Metà dei soggetti fu informata sui possibili effetti collaterali che il farmaco provoca sulla disfunzione erettile, mentre l’altra metà ne fu tenuta all’oscuro. Sei mesi dopo il 44% dei pazienti del primo gruppo (quello informato) aveva riportato disfunzioni erettili, contro solo il 15% del secondo gruppo, nonostante il trattamento fosse lo stesso per entrambi.
Fabrizio Benedetti, neurofisiologo dell’università di Torino e autore di diversi studi sull’effetto placebo, al momento lavora sul Monte Cervino a 3500 metri di altezza per capire fino a che punto l’effetto placebo può influenzare le funzioni vitali dell’organismo. A quell’altezza la presenza di ossigeno è più rarefatta (65% in meno rispetto il livello del mare), il che comporta uno stato di ipossia. Gli esperimenti condotti da Benedetti e colleghi sul Monte Cervino hanno però mostrato come anche una bombola contenente ossigeno “finto” sia in grado di produrre gli stessi effetti dell’ossigeno, se i soggetti in esame pensano di respirarlo. Lo stesso esperimento condotto a 5500 metri di altitudine ha dato lo stesso risultato. Anche se in misura minore.
E se Benedetti probabilmente si spingerà ancora più in alto per capire fino a che punto l’effetto placebo può alterare le nostre funzioni vitali, Colloca nel Maryland cercherà di usare i meccanismi di modulazione del dolore per ridurre l’utilizzo di oppioidi. “Ho ricevuto fondi per lavorare su questo ambito perché negli Usa gli oppioidi vengono prescritti in maniera sconsiderata. Contemporaneamente però lavoreremo anche con la risonanza magnetica in genetica per capire quali pazienti sono più vulnerabili all’effetto placebo e quali invece sono “protetti”. Quello che cerchiamo di fare è una sorta di identikit per individuare i soggetti che possono sfruttare l’effetto del placebo. Su alcune persone i sistemi di modulazione indotti dall’effetto placebo funzionano in maniera ottimale. Questo li porta ad avere meno bisogno delle terapie farmacologiche e a rispondere meglio anche a terapie non farmacologiche”.
Effetto placebo e nocebo: una doppia sfida per la ricerca clinica
Studi scientifici dimostrano che la sintomatologia associata a un trattamento può aumentare a causa delle aspettative negative dal paziente. Le nuove conoscenze potrebbero essere sfruttate per evitare possibili danni a trial e soggetti coinvolti. (Dal numero 154 di AboutPharma)
Cosa influenza gli effetti dei farmaci?
Effetto placebo e nocebo
Se il farmaco più caro fa più male
La modulazione del midollo spinale
L’importanza delle parole (e del packaging)
Il caso statine
Il “potere” dell’aspettativa inficia i trial clinici
Conoscere per controllare
La potenza dell’effetto nocebo
Non solo dolore
La sperimentazione con finasteride
I test sul monte Cervino
L’effetto positivo del placebo (ma non per tutti)