.:: IL PERSONALE DEL SAN FILIPPO NERI HA FESTEGGIATO IL SUO PATRONO ::.
Alle ore 10,00 di martedì 6 giugno 2006 sono stati consegnati i premi messi in palio da EMA.S.F. in occasione della manifestazione svoltasi il 24 maggio 2006, in ricorrenza della festività del San Filippo Neri. I particolari sono descritti nel comunicato allegato.
GIORNATA PROMOZIONALE PER LE DONAZIONI DI SANGUE
Cecchignola, 27 Aprile 2006. L'incontro ha avuto una valenza regionale con le Forze Armate e la loro Sanità Militare e le componenti della sanità regionale: Assessorato alla Sanità, ASL, Strutture Trasfusionali e Associazioni di volontariato del settore. Clicca
.:: Mercoledì 31 maggio 2006, 1° GIORNATA SU "SICUREZZA E SOLIDARIETA'"
Anche ACOSFN, che associa i donatori dipendenti del San Filippo Neri, procede alla grande. Il grafico allegato, aggiornato al 31 Maggio 2006 lo dimostra. Da notare la buona performance di maggio con ben 15 donazioni che, ad eccezione di una, provengono da ex donatori o divenuti periodici nel tempo. La continua opera di informazione e promozione del movimento pazientemente portata avanti dalla D.ssa Patrizia Magrini, Direttore Sanitario di presidio del SFN, unita all'effetto sortito dall' "Operazione Lotteria" della recente manifestazione in occasione del patrono, hanno sicuramente contribuito al risultato. E visto il successo conseguito, la festa continua. EMA.S.F, infatti, nella persona del Presidente Vincenzo Magalotti, ha accettato la disponibilità a concedere un premio analogo per la stessa occasione, cioè per il 26 maggio 2007.
.::: ACOSFN PROGREDISCE
Le donazioni dei dipendenti del San Filippo Neri proseguono, malgrado il periodo estivo. Il grafico allegato evidenzia l'andamento del mese di settembre. CLICCA.
.::: IL PUNTO SU ACOSFN
Il grafico mostra la situazione ad Ottobre 2006, durante il quale sono state effettuate ben 10 donazioni. Si tratta di un dato positivo che, inoltre, dimostra la costanza del movimento donatori del SFN. Bene così. Clicca
.:: IL PUNTO SU ACOSFN ::.
Il grafico mostra la situazione a novembre 2006. Clicca
Situazione donatori dipendenti S. Filippo Neri, aggiornata al 31 agosto 2007.
Il numero dei donatori è sostanzialmente stabile, eguagliando i valori dello scorso anno. Si nota l'assenza di alcuni occasionali compensata da altri "periodici"diventati "attivi"e da nuove "entry", che assicurano vitalità al movimento. Le donazioni, invece, sono in media diminuite rispetto allo
stesso periodo dello scorso anno, provocando l'inevitabile calo dell'indice di donazione. Necessita una operazione di rilancio per mantenere i ritmi incalzanti fin qui registrati. Clicca
Progetto per la prevenzione di EMOCROMATOSI e PORFIRÌE
Si tratta di malattie, lo avrete certamente intuito da loro nome. Altra cosa, invece, è sapere di cosa si tratta e perché parlarne. L'Emocromatosi, come descritto più avanti, è "la malattia ereditaria più comune nel mondo occidentale" e colpisce dai 20.000 ai 50.000 italiani, mentre i portatori sono compresi tra i 900.000 e il 1.500.000. Le Porfirie, invece, sono ancora meno diffuse, tanto da essere tranquillamente definite tra le "Malattie rare". Ma perché ignorarle, quando le Istituzioni Sanitarie hanno appena messo a punto una azione preventiva di "screening" sulla popolazione del Lazio e quando, soprattutto, si evitano così conseguenze persino letali? Per questi motivi EMA.S.F. invita i propri donatori e simpatizzanti ad esaminare seriamente l'ipotesi di adesione al Progetto, così come è avvenuto con il "Progetto Cuore", che sta ottenendo un eccellente andamento e così come avverrà in futuro, quando ci verranno proposte operazioni vantaggiose per la nostra salute. Ancora una volta il Centro Trasfusionale dell'Ospedale S.Spirito, con il quale operiamo in stretto contatto, ha assunto un ruolo di centro operativo, ed è sufficiente chiamare il numero telefonico 06/6835.2278 chiedendo della Dott.ssa Carla Gargiulo, per prendere appuntamento. Riportiamo due documenti descrittivi delle patologie nella sezione Progetti: clicca.
ISS: diffusi i dati del Registro Sangue 2005 del 10/11/2006
Questi sono i dati elaborati dall'ISS (Istituto Superiore Sanità) e prelevati dal Sito FIDAS, presente nella nostra Home-page, relativi all'andamento nazionale "Sangue" del 2005. L'indice di donazione è ancora fermo all'1,6, anche se c'è stato un piccolo incremento di donatori. La posizione italiana è difforme, denotando, come spesso accade anche nell'economia e nello sviluppo, situazioni positive in certe zone del nord contrapposte a quelle deficitarie di altre regioni del Centro e del Sud. Sardegna e, purtroppo, Lazio, seguite in misura minore da altre, figurano come le Regioni con maggiori problemi. A rendere meno "amara" la situazione di Roma, ha contribuito anche EMA.S.F., almeno dal 2002, anno della sua costituzione. Ad essa, infatti, sono stati riconosciuti ufficialmenti meriti di efficenza che intendiamo intensificare, come lo dimostra la nostra attività, puntualmente evidenziata sul Sito in generale e su "Eventi" in particolare: 1.492.858 donatori totali (1.254.322 donatori periodici e 238.536 nuovi) con un incremento del 2,8% rispetto al 2004; 2.347.000 donazioni di sangue intero (+ 3,2%); 759.056 litri di plasma raccolto (il 26% da plasmaferesi) di cui 718.267 distribuiti (564.000 all'industria e 154.267 per l'uso clinico); 383.399 donazioni in aferesi (+ 2,7%); 75.000 unità di emazia acquistate da altre regioni per soddisfare il fabbisogno nazionale: questi i dati più significativi del Registro Sangue 2005, diffusi ieri mattina dall'Istituto Superiore di Sanità. E', insomma, un quadro in chiaro scuro quello che emerge dalle ultime rilevazioni dell'ISS. Ancora fermo a 1,6 l'indice di donazione, pochi i nuovi donatori che sono tornati a donare nel corso dell'anno (circa 85.000), e troppe le emazia non utilizzate (117.793 di cui 45.000 perché giunte a scadenza). In riduzione la raccolta delle staminali, sia periferiche che cordonali, la cui raccolta è stata rispettivamente di 5240 e 7374 unità (nel 2004 furono 5487 e 12.554). Lazio e Sardegna le regioni con più problemi, ma risultano carenti anche Abruzzo, Sicilia, Basilicata e Marche. Sostanzialmente in equilibrio Calabria, Campania, Molise, Umbria e Puglia. In attivo tutte le altre. Nelle sue considerazioni finali, l'Istituto Superiore di Sanità consiglia gli operatori del settore di chiamare i donatori periodici in base alle esigenze cliniche programmate; di promuovere le donazioni in aferesi in base alle condizioni cliniche del donatore; di ridurre l'uso clinico del plasma (che ha poche indicazioni cogenti, mentre in tutte le altre si potrebbero applicare terapie alternative).
STADIO OLIMPICO - 7 GENNAIO 2007 - Breve cronaca dell'avvenimento
Avrete certamente letto sui giornali e visto in televisione quanto di bello è successo domenica 7 gennaio scorso. Ma ancora più delle immagini e dei commenti, valgono le impressioni di chi, come noi di EMA.S.F. ha vissuto in prima persona, sia in qualità di operatori, che in quella di spettatori. Si trattava della seconda edizione, essendosi svolta la prima nel 2006, voluta ed organizzata dalla Regione Lazio, con il patrocinio della Società Sportiva Roma Calcio. Ad essa hanno partecipato i Centri Trasfusionale dei principali ospedali romani, con i propri mezzi ed il personale specializzato, formato da medici ed infermieri. Ai vari Centri Trasfusionali sono stati assegnate altrettante postazioni dove sono avvenute le operazioni di contatto dei moltissimi volontari, seguite dai prelievi. Oltre 5.000 persone sedute sugli spalti hanno potuto seguire un allenamento dei giocatori della Roma, seguito da una partitella. Da notare la composizione degli spettatori formata soprattutto da intere famigliole, così come ci ricordano vecchie immagini di repertorio. Ma il dato che più ci riempie di soddisfazione, è dato dal fatto che ben 1.100 prelievi di sangue prelevati da altrettanti donatori, la dicono lunga sull'adesione dimostrata dai tanti partecipanti alla manifestazione. E noi ci auguriamo che questo avvenimento si ripeta negli anni a venire, magari, suggeriamo, con la partecipazione anche della Lazio, tanto per riconfermare il fatto che il volontariato non ha colore.
Il testo che segue è contenuto in un volantino realizzato e distribuito in molte farmacie da "Farmacie Federfarma". L'argomento è così attuale e ben descritto che la Redazione ha pensato di proporlo ai propri lettori".
L'ISS, Istituto Superiore di Sanità, ha pubblicato i dati sulla sorveglianza delle malattie infettive trasmissibili con la trasfusione di sangue (09/02/2007). Li proponiamo alla vostra attenzione, non nascondeno la nostra soddisfazione nel constatare che il grado e la qualità di sorveglianza a cui viene sottoposto il settore delle trasfusioni, ha ridotto il pericolo di contaminazioni a livelli davvero rassicuranti. Non resta che augurarci che i continui progressi portino ad una ulteriore diminuzione dei pur validi risultati attuali.
Sono stati pubblicati nell'ultimo notiziario dell'Istituto Superiore di Sanità i dati relativi alla sorveglianza delle malattie trasmissibili con la trasfusione. Nel 2004 (anno cui si riferisce la rilevazione) come nel biennio precedente, l'infezione più diffusa tra i donatori periodici è stata la Lue, con 6 casi ogni 100 mila donazioni, mentre l'incidenza degli altri marcatori rimane invariata, senza differenze significative negli ultimi anni: 2,1 casi per 100 mila donazioni per l'HIV; 2,1 per l'HBsAg e 2,3 per l'HCV. Dai dati raccolti attraverso le Strutture Trasfusionali è stata calcolata anche la prevalenza delle infezioni da HIV, HBC, HCV e Lue (intesa come rapporto fra le donazioni positive provenienti da donatori al primo screening e il totale delle donazioni provenienti da donatori nuovi, sempre per 100 mila donazioni). In questo caso i dati danno un 16,6 per l'HIV; 214,2 per l'HBsAg; 205,7 per l'HCV e 89,9 per la lue. I fattori di rischio segnalati più frequentemente sono stati: "rapporti sessuali occasionali" (39%); "interventi chirurgici" (25%); "cure odontoiatriche" (12,2%). Le schede pervenute hanno riguardato il 74,9% delle Strutture Trasfusionali e l'83,2% delle unità donate, con una riduzione delle prime di quasi il 10% rispetto al 2003 (84,4%). La sorveglianza delle malattie trasmissibili con la donazione è svolta dall'Istituto Superiore di Sanità dal 1989 e fa parte del più ampio sistema di movigilanza. Il sistema raccoglie le informazioni relative ai donatori risultati positivi ai marcatori delle malattie infettive eseguiti nelle strutture trasfusionali secondo gli obblighi di legge, e ai possibili fattori di rischio che possono aver determinato la positività. La prevalenza e l'incidenza sono le due misure comunemente usate per stimare il rischio di infezioni trasmissibili con la trasfusione e che oggi è considerato molto basso. Maggiori informazioni sul sito: www.iss.it
Seconda Raccolta di Sangue presso il Centro Polifunzionale Scuola Tecnica di Polizia
Il Generale Comandante del Centro, Dott. B.Angelotti, attorniato dai sanitari dell'FO e dal PR di EMA-ROMA Si può donare anche in compagnia della famiglia, lo dimostra papà Galeone, con la bellissima Lucrezia di sette mesi in braccio
Si è svolta con successo, venerdì 29 febbraio, la seconda Raccolta di Sangue presso il "Centro Polifunzionale Scuola Tecnica di Polizia", coordinata dal Gruppo Donatori ADVPS, a cura dei sanitari del Centro Trasfusionale di Medicina dell'Istituto IFO e dell'Associazione EMA-ROMA. Ricevere la visita del Generale Dott. B.Angelotti, Comandante di questo splendido complesso, come è avvenuto durante la Raccolta, ci ha confermato l'adesione del Corpo al nostro lavoro di volontariato, proteso a contrastare l'Emergenza Sangue in Italia e nel Lazio in particolare. Accompagnato da Dirigenti della struttura, si è intrattenuto a lungo con il PR di EMA-ROMA e con il gruppo di sanitari dell'IFO. Oltre a fornire agli allievi una formazione tecnica di alto profilo, frutto dell' esperieza acquisita arricchita dai costanti contatti con le forze Internazionali di Polizia, il Centro, grazie alle sue strutture sportive, forgia e prepara atleti di varie discipline, alcuni dei quali campioni del mondo e campioni olimpici nelle loro specialità. Sarebbero troppi i nomi da menzionare in questo poco spazio e, sperando di non fare loro torto, ci limiteremo solo a ricordare la schermitrice Valentina Vezzali, ovviamente delle "Fiamme Oro", l'atleta femmina più medagliata, e parliamo di oro, nella storia dello sport olimpico e mondiale.
Prima Raccolta di Sangue nella Parrocchia “San Pio da Pietrelcina
Il piccolo Nicola osserva la mamma che dona! La mia prima donazione!
Non si tratta della semplice cronaca di una mattinata dedicata alla raccolta di sangue dei fedeli di una Parrocchia romana, ma anche del racconto di un avvenimento “speciale”. Speciale, perchè è la prima volta che succede alla Parrocchia San Pio da Pietrelcina di Via G. De Lullo e questo grazie all’entusiasmo ed alla propulsione imposta da Don Roberto Zammerini, giovane Parroco-donatore. Speciale, per l’adesione dei tanti parrocchiani che hanno offerto il loro sangue con invidiabile serenità, anche quando, come nel caso di Antonella, Elena, Teresa e Tiziana, si è trattato della prima volta. Per tutta la manifestazione aleggiava buonumore ed entusiasmo in dosi tali da coinvolgere anche gli operatori che, a vario titolo, hanno reso possibile la raccolta. Mi riferisco ai medici ed infermieri del Centro di Medicina Trasfusionale dell’IFO, guidati dalla D.ssa Maria Laura Foddai, e dal personale dell’Associazione Nazionale Vigili del Fuoco Roma 1, guidati da Roberto Iacobazzi, che hanno fornito le strutture necessarie e, ovviamente, ad EMA-ROMA, Associazione di Donatori di Sangue Volontari. E non si tratta dell’impressione di chi commenta l’avvenimento, ma anche di quella di tutta l’equipe. La “Solidarietà”, dunque, che contraddistingue chi davvero ama il prossimo e lo rispetta fino al punto di donare qualche cosa di se, come il sangue, per aiutarlo, esiste e scaturisce spontanea al solo sollecitarla, come una sorgente d’acqua sotterranea. Dovrebbe essere uno dei compiti delle istituzioni, sollecitarla, ma non è così, neppure quando, come nel caso del sangue, si tratta di “emergenza”, oramai endemica. Gli ospedali del Lazio e di Roma, in particolare, soffrono di carenza di scorte e sono costretti, spesso, a deprimenti rinvii di interventi chirurgici e, nello stesso tempo, ad acquisti di sacche di sangue presso Centri Clinici (tutti nel Nord del paese) così organizzati da permettersi di venderne una parte. L’opera delle Associazioni di volontariato, come EMA-ROMA e la splendida adesione di Aziende, Caserme, Scuole e di Parrocchie, come quella di San Pio da Pietrelcina, riducono l’effetto dannoso dell’emergenza e fanno ben sperare per il futuro. A tutti EMA-ROMA rivolge un ringraziamento, anche a nome degli sconosciuti destinatari del loro Sangue e li invita al secondo incontro, che si terrà in Ottobre, in data da definire con Padre Roberto. In quella occasione, nella quale speriamo di annotare una maggiore partecipazione dei maschi, potranno donare anche coloro che per motivi diversi (colazioni troppo abbondanti e a ridosso dell’evento, soprattutto con assunzione di latte, terapie farmacologiche in atto, ecc.) hanno dovuto rinunciare. Arrivederci ad Ottobre.
Anche il parroco dona
Ore 13,30 La raccolta termina con la benedizione di Don Roberto
Il nemico della donazione di sangue? La disinformazione
Informazione molto carente o inesistente nel pubblico generale e persino tra i donatori: ecco il principale ostacolo alla diffusione della pratica della donazione del sangue nel nostro Paese. Lo rivela un'indagine realizzata dall'associazione per la difesa dei consumatori Altroconsumo.
Soltanto metà degli intervistati ha sentito parlare della possibilità di donare il sangue nell'ultimo mese. Questo è già molto significativo: chissà quanti potenziali donatori potrebbero nascondersi nell'altra metà della popolazione… Poster, cartelloni pubblicitari, televisione e passaparola fra amici e parenti sono i principali canali attraverso i quali le persone sono venute a conoscenza dei diversi aspetti legati alla donazione. Lascia perplessi che soltanto un risicato 17 per cento degli intervistati ne abbia sentito parlare durante una visita medica. Eppure i medici sarebbero probabilmente le voci più autorevoli, in grado anche di convincere e rassicurare chi può avere timori immotivati, legati a rischi per la propria salute connessi alla donazione. "Motivi di salute" è infatti la ragione principale cui si fa ricorso per giustificare la propria scelta di non donare. Siamo proprio sicuri che la risposta sia data a ragion veduta? Probabilmente una corretta informazione (anche da parte del medico) permetterebbe di scoprire che si tratta di falsi timori.
Di questa disinformazione sembrano essere consapevoli i donatori, se è vero che alla stessa domanda ("Quali le ragioni per non donare il sangue", riferita a cosa pensano secondo loro i non donatori) la risposta "Informazione non buona" raccoglie il 74 per cento dei consensi. Carenza informativa confermata dal fatto che solo un quinto degli intervistati ha dichiarato di aver ricevuto, prima della donazione, ragguagli relativi ai possibili rischi, mentre un terzo dichiara di essere stato messo al corrente dei benefici.
Scopriamo per esempio che meno della metà degli intervistati sa quanto sangue viene prelevato nel corso di una donazione (circa mezzo litro), che soltanto uno su tre è a conoscenza del fatto che un uomo in buona salute può donare sangue intero non più di quattro volte all'anno (devono passare infatti almeno tre mesi fra una donazione e l'altra, sei mesi per le donne). Ma si possono donare anche soltanto determinate parti del sangue (le piastrine, il plasma): meno del 50 per cento di chi ha risposto al questionario lo sa. Quanto ai gruppi sanguigni, uno su tre sa che il più comune è il gruppo 0, uno su cinque è invece informato del fatto che il più raro è il gruppo AB. Sono soltanto alcuni esempi, che confermano la necessità di una informazione più capillare, che magari avrebbe fra le sue conseguenze anche quella di aumentare il numero di donatori.
"La donazione di sangue è l'unica soluzione perché ci siano scorte sufficienti a coprire le esigenze dei malati che hanno bisogno di trasfusioni. È un atto di grande altruismo e utilità sociale, che alle persone che hanno i requisiti per farlo costa davvero poco, giusto il tempo del prelievo (pochi minuti)", spiegano ad Altroconsumo. "Ottenendo in cambio, oltre alla gratificazione che nasce dal compiere un gesto davvero utile, la possibilità di sottoporsi periodicamente a esami di controllo approfonditi. La disinformazione, purtroppo, è il motivo principale che alimenta infondati timori e rende molti ancora restii a donare il sangue. La nostra indagine internazionale lo dimostra: quasi il 70 per cento dei nostri intervistati non è sufficientemente informato sulle trasfusioni, percentuale che è ancora più elevata negli altri Paesi europei che hanno partecipato all'indagine".
Una maggiore sensibilizzazione può venire da più parti, a cominciare dai medici di base. Per far cambiare idea a quel 50 per cento di non donatori che dichiara che non lo farà mai e per rafforzare il convincimento del 9 per cento che ha affermato che probabilmente (o molto probabilmente) inizierà a farlo. Un dato che può sembrare poco significativo, ma fa sperare che nuove persone (grazie anche a una informazione più capillare e al passaparola fra amici e conoscenti) potranno aggiungersi alla schiera dei donatori.
JOHAN STRAUSS - VIENNA DUE ORE DI SERENITA' CON STRAUSS ALL'IFO
EMA-ROMA, Associazione di Donatori Volontari di Sangue ed il Servizio Trasfusionale dell'IFO, hanno il piacere di invitare i pazienti ricoverati, i loro parenti, i visitatori e chiunque mostri interesse verso il nostro "movimento di volontariato", ad un "Concerto pianistico a quattro mani" che si terrà Lunedì 8 Dicembre 2008, alle ore 18,00 nella Hall dell'Ospedale. Si esibiranno per noi ben 7 eccellenti pianisti della ALTS, Associazione per la Lotta ai Tumori del Seno, che dal 15 Dicembre 2000 ha nominato i Pianisti della Scuola di Musica Laura Paolini suoi "Testimonials" in Italia. Il repertorio sarà costituito dalle splendide musiche di J.Strauss.
Per ulteriori informazioni, è possibile contattare il Servizio Trasfusionale dell'IFO (piano-1) al numero 06/52.666.999, la segreteria di EMA-ROMA dell'IFO, al numero 06/52.662.831, EMA-ROMA, al numero 06/33062906, oppure l'URP dell'IFO (Ufficio Relazioni con il Pubblico) al numero 06/52.666.527.
IFO - Istituti Fisioterapici Ospitalieri - Regina Elena e San Gallicano, Via Chianesi, 53
I partecipanti di Butterfly alla consegna del premio
I nostri amici donatori di Butterfly, come già descritto in un precedente articolo, si sono costituiti da poco e già si sono fatti notare per alcune iniziative degne di risalto. La prima, avvenuta il 24 Ottobre 2008, è stata quella di effettuare la loro prima donazione di sangue presso il Servizio Trasfusionale dell'IFO, Regina Elena-S.Gallicano, alla quale ne seguiranno metodicamente altre. La seconda, avvenuta il 20 Dicembre scorso, è stata quella di organizzare, con pieno successo, una visita guidata nella misteriosa ed affascinante "Città dell'Acqua Vicus Caprarius", situata nel centro di Roma, come descritto nella locandina e raccogliere così una somma di denaro, e questa è la terza azione, per donare una poltrona attrezzata alle donazioni di sangue, al Servizio Trasfusionale dell' IFO. La somma ricavata è stata consegnata Venerdì 9 Gennaio, da Riccardo Finocchi, promotore e coordinatore di Butterfly, al Dott. Francesco De Laurenzi, medico del Servizio Trasfusionale dell'IFO, in occasione di una cerimonia alla quale hanno partecipato amici e simpatizzanti, come dimostrato dalla foto. Azioni come queste hanno il benefico effetto di dare una carica di entusiasmo e di ottimismo a chi, come noi, pratica il difficile lavoro di volontariato nel settore della Salute.
ACOSFN - ASSOCIAZIONE DONATORI DIPENDENTI AZIENDA OSPEDALIERA SAN FILIPPO NERI
Bilancio 2008 e primo trimestre 2009: considerazioni
Dal grafico si evince che "le azioni sono in ribasso: i donatori sono in diminuzione e sono sempre più periodici (aumenta la percentuale dei periodici sugli occasionali)", come afferma la D.ssa Patrizia Magrini, Direttore Sanitario di Presidio dell'Azienda, madrina dell'Associazione, fin dalla sua nascita, avvenuta nel 2002. I dati riportati sono emblematici di una situazione di "recessione", quasi anche le donazioni risentissero della crisi socio/economica che investe il mondo. Non è certamente questa la causa che va ricercata, invece, a nostro giudizio, in una fase di stanca, dopo anni di progressione. Cosa succede, amici di ACOSFN? Siete distratti? Il sangue, aimè, non tiene conto delle crisi economiche, anzi, serve in misura sempre maggiore. Ed il vostro, in particolar modo, testimonia solidarietà, non solo verso il movimento, ma anche verso il lavoro dei volontari, sempre in prima linea, appagati solo da dati in crescita. Sveglia, dunque! A Maggio, come è consueto, in occasione della ricorrenza del Santo Patrono del nostro Ospedale, ripeteremo la giornata ACOSFN che comprende, tra l'altro, l'estrazione di due bei premi tra i donatori più assidui, offerti da EMA-ROMA, L'Associazione di Donatori di Sangue che dal 2001 collabora con il Trasfusionale. E' una nuova occasione di incontrarci, durante la quale ci piacerebbe comunicare un nuovo impulso nelle donazioni, magari degustando insieme un buon piatto di "pasta e fagioli", come è nostra tradizione.
EMA-ROMA - ASSEMBLEA ORDINARIA DEI SOCI Sabato 13 aprile, con inizio alle ore 18,00, presso la Sala-Teatro del "Padiglione 90", palazzina Direzione Generale del San Filippo Neri, prospicente l'Ospedale Santa Maria della Pietà, si terrà l'Assemblea ordinaria dei Soci di EMA-ROMA.
Questi i temi nell'ordine del giorno:
•Relazione attività 2009; •Approvazione del "bilancio consuntivo 2009"; •Descrizione ed approvazione del "bilancio preventivo 2010"; •Determinazione delle linee programmatiche 2010; •Varie ed eventuali. Tutti i soci sono invitati a partecipare e, se necessario, ad intervenire. La loro presenza e la loro parteciazione varranno quale sostegno ed approvazione dell'operato del Direttivo.
CONSACRAZIONE DELLA NUOVA PARROCCHIA SAN PIO DA PIETRELCINA
Sabato 23 Ottobre, con inizio alle ore 18,00, è avvenuta la Consacrazione della nuova Parrocchia dedicata a San Pio da Pietrelcina, situata a Malafede, grande Confessore e santo molto amato e venerato dagli italiani. Pur essendo un edificio sacro, anche la Parrocchia, i cui lavori sono iniziati 3 anni fa, non si è sottratta al classico ritardo di esecuzione, provocando ansia e attesa nel Parroco, Don Alfio e nei fedeli del quartiere. Questo importante avvenimento, inoltre, cade proprio nell'anniversario dei primi dieci anni di attività della prima Parrocchia, vissuti in un appartamento sito a piano terra, dove si è formata e cementata la comunità religiosa del quartiere. Chi come me, pur non essendo da tempo più giovane, non ha mai partecipato alla Consacrazione di una nuova Chiesa parrocchiale, non può immaginare l'importanza della cerimonia, che trasforma un edificio di cemento, ferro e marmi nella Casa di Dio e dei suoi fedeli, pur se nelle debite proporzioni, al pari di una cattedrale di fama mondiale. Oltre due ore di intensi avvenimenti sacri, accompagnati da uno splendido coro, celebrati da S.E. Cardinale Agostino Vallini, Vicario di Sua Santità per la Diocesi di Roma, coadiuvato da presbiteri, diaconi e ministri della Chiesa. Fuori intanto, nell'ampio sagrato, la banda musicale dei Vigili Urbani di Roma, dotata di ben 50 elementi, accoglieva i partecipanti, prima della cerimonia, salutandoli al termine esibendosi con grande bravura. Non ci dilungheremo a commentare l'intervento augurale di S.E. Vallini, che ha fornito numerosi spunti di riflessione, ma ci limiteremo a sottolineare l'augurio, espresso pubblicamente, che il nome del quartiere, Malafede, così in antitesi con un avvenimento così sereno, assuma finalmente un nome più consono alla voglia di serenità che oggi pervade ognuno di noi, magari trasformandosi in Buonafede! Concetto che riteniamo possa essere condiviso da chiunque ami il proprio quartiere, a prescindere dalle sue tendenze religiose. Sorto circa 10 anni orsono Malafede è un quartiere ubicato nelle vicinanze di Casal Palocco, ad ovest di Roma, al quale si arriva percorrendo la Cristoforo Colombo.
Da circa 3 anni In questa Parrocchia si è formato un Gruppo di Donatori Volontari di Sangue, gran parte dei quali associati ad EMA-ROMA, che per ben 3 volte all'anno, in affiancamento ai medici ed infermieri del Trasfusionale dell'IRE/ISG (IFO), realizza domeniche dedicate alla donazione di sangue con esiti davvero encomiabili. Una ragione in più perché il quartiere si chiami con un nome più augurale!
Il moderno Frontale della Parrocchia
Parte del frontale
L'Altare in marmo ed il Crocifisso, simboli universali di ogni Chiesa cattolica
Il Cardinale Agostino Vallini, procede alla Consacrazione della Parrocchia
"Siamo entrati in contatto con uno degli ingegneri elettronici di Roma che da poco si sono costituiti in un Gruppo operativo con lo scopo di produrre, cosa che è avvenuta con pieno successo, un congegnoelettronico capace di consentire ai portatori di "sclerosi laterale amiotrofica", la terribile SLA, che impedisce loro ogni movimento, di servirsi del computer utilizzando la vista. Colpiti da tanto ingegno, noi di EMA-ROMA, che fondiamo il nostro operato sulla solidarietà umana, abbiamo ritenuto utile e doveroso fornire ai nostri lettori che intendono saperne di più, il nome del loro sito: www.neuraleye.com. Riportiamo solo alcuni brani prelevati dal loro sito, quale introduzione a quanto pubblicato"
"Siamo un team di ingegneri elettronici di Roma, con esperienza nei settori dell’ingegneria elettronica e biomedica, dell’elaborazione digitale dei segnali e delle immagini, dell’Information and Communication Technology, con competenza relativa allo sviluppo e alla gestione di sistemi complessi e orientamento alle nuove tecnologie e mezzi di comunicazione.
Ci siamo incontrati un paio di anni fa e abbiamo unito la voglia di aggiornare le nostre conoscenze tecniche e l’esigenza di aiutare una persona affetta da sclerosi laterale amiotrofica (SLA).
La SLA è una malattia degenerativa e progressiva del sistema nervoso, che colpisce i neuroni responsabili dei movimenti. Mentre la possibilità di muoversi e di azionare altri muscoli viene man mano persa, una persona affetta da SLA mantiene perfettamente integra la mente senza riportare danni nè alla sua intelligenza, nè a nessuno dei suoi cinque sensi (vista, udito, odorato, gusto e tatto). Dato che il controllo dei muscoli oculari è la funzione più conservata, quando la malattia è in stato avanzato questi pazienti possono continuare a comunicare con i loro cari e i loro medici attraverso lo sguardo.
Abbiamo, quindi, ideato e realizzato un nuovo puntatore oculare (o eye-tracker), un dispositivo costituito da un computer collegato ad una telecamera, che consente di conoscere la posizione del punto osservato sul monitor e quindi ad esempio far muovere il cursore del mouse con gli occhi.
L’utente del computer non viene disturbato dal funzionamento del sistema (basato sugli infrarossi.........."
Donazione del sangue: tornano i volontari in servizio civile
"Sottoponiamo alla vostra attenzione due avvenimenti importanti che interessano il mondo del volontariato, pubblicati nal sito di FIDAS alla quale EMA-ROMA è federata fin dalla sua origine".
Dal 14 al 20 marzo 2011 torna la “Settimana di donazione del sangue dei volontari in Servizio Civile”. Organizzata dall’Ufficio Nazionale per il Servizio Civile, in collaborazione con il CIVIS ed il Centro Nazionale Sangue, la manifestazione intende sensibilizzare tutti i ragazzi e le ragazze che stanno effettuando l’anno di servizio civile, ad andare a donare il sangue presso i servizi trafusionali delle strutture ospedaliere e le unità di raccolta, nella settimana che ricorda l’istituzione del Servizio Civile Nazionale, avvenuta il 6 marzo 2001.
L’iniziativa sarà presentata nel corso di una conferenza stampa a Palazzo Chigi (il 9 marzo alle ore 12) alla presenza del Sen. Carlo Giovanardi, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri con delega al Servizio Civile.
E’ opinione diffusa che se, solo per una ipotesi, in Italia si bloccasse improvvisamente il lavoro dei volontari, le conseguenze per molti settori del nostro Paese sarebbero assai gravi. Basti pensare alla Protezione Civile ed a vari settori della Sanità, come in quello nel quale operiamo noi. E non solo.
EMA-ROMA, non fa eccezione a questa regola, ma, a differenza delle grandi organizzazioni, risente in modo importante della esiguità della propria equipe di volontari-operativi. Un esempio su tutti:per garantire le 78 uscite esterne per raccogliere sangue previste per il 2011 (con possibilità di evoluzione) alcune delle quali nei giorni festivi, alle quali si aggiungono due conferenze scientifiche organizzate in una Parrocchia romana, più i vari incontri di sensibilizzazione rivolti a donatori potenziali per la costituzione di nuovi “Gruppi”, necessiterebbero almeno 7/8 volontari operativi che a turno si suddividano i vari compiti. La realtà è diversa, poiché a molti appartenenti al nostro organico manca la disponibilità richiesta dal ruolo. Il tempo, oltre che la disponibilità, sono quindi alla base di certe decisioni.
Ecco perché il profilo del volontario è inevitabilmente quello di un “pensionato”, badando ben di non sminuirne la nuova posizione sociale.Molti di loro, infatti,svolgono un ottimo lavoro nel “sociale” in qualità di volontari; chi non ne ha visti alcuni fuori dalle scuole elementari con le pettorine gialle, attenti a sorvegliare alunni e traffico. Moltissimi, poi, hanno un insostituibile ruolo di supporto all’interno della famiglia. Basti pensare al rapporto affettivo e formativo che questi instaurano con i nipoti, quando hanno la fortuna di averne.
Ma torniamo al nostro “volontario”. Oltre all’entusiasmo, sentimento naturale che contraddistingue chiunque presti solidarietà verso chi ha bisogno, il “nostro” deve avere una buona salute, autonomia di movimento (mezzi di locomozione) tempo disponibile, anche nei giorni festivi e, soprattutto, il sostegno e l’adesione della propria famiglia.
E’ a causa di questa nostra fragilità strutturale che ci rivolgiamo a tutti coloro che guardano con simpatia al nostro movimento, pensionati e non, invitandoli a fare un passo avanti per entrare a far parte del nostro gruppo. Il lavoro è molto ma non complicato e oltre che risultare appassionante, garantisce notevoli soddisfazioni morali.
Così, come “Donare il sangue può salvare una vita”,come recita un nostro slogan,anche far parte di EMA-ROMA, seppure indirettamente, contribuisce allo stesso risultato! Contattateci, ci contiamo.
Giuseppe Avellino - Responsabile Pubbliche Relazioni di EMA-ROMA
I giovani FIDAS a lezione di comunicazione sociale
Durante il Meeting giovani FIDAS 2011, la Facoltà di Scienze della Comunicazione Sociale dell’Università Pontificia Salesiana di Roma è stata protagonista di un intervento di formazione che ha visto, nella mattinata del 19 marzo, l’alternarsi di Simonetta Blasi e Mirko Benedetti per una lettura critica della comunicazione sociale, considerandone le peculiarità, gli obiettivi, i limiti e le opportunità.
Ha iniziato i lavori Benedetti con una panoramica sulla tipologia e le finalità della comunicazione sociale, completa degli attori, intesi sia come emittenti che riceventi. Utilizzando una griglia classica relativa ai flussi di comunicazione, Benedetti ha delineato le problematicità della comunicazione in relazione ai target di riferimento, che non possono più semplicemente essere individuati dai soliti parametri di segmentazione, bensì devono fare i conti con i nuovi paradigmi che l’era digitale comporta.
Puntuale ed esaustiva la carrellata di esempi di pubblicità sociale legata al settore (soprattutto internazionali), che, partendo da una attenta analisi della ricerca “Observa 2009” sulla donazione del sangue, ha messo al centro dell’attenzione l’opportunità di leggere i dati non solo come fredde statistiche, ma come elementi in grado di rivelare strategie comunicative che consentano poi di rivolgersi a target mirati in relazione ai comportamenti, piuttosto che secondo “cluster” socio demografici o psicografici.
A questa prima parte si è affiancata la professoressa Blasi, che ha aperto una parentesi sul sistema ‘classico’ della pubblicità, paragonato ad un flusso più snello dettato dall’attuale scenario di comunicazione one-to-one e reso possibile dalla crescente penetrazione dei personal media. Completando il quadro con le professionalità e le technicalities che un’agenzia di pubblicità mette a disposizione dei suoi committenti per assicurare l’efficacia della comunicazione, il testimone è poi ripassato al dott. Benedetti, che ha sottolineato come il vero problema della comunicazione sociale sia quello di riuscire a farsi sentire senza poter contare su budget adeguati. Così si è arrivati a presentare alcune azioni di ‘guerrilla’ che fanno scattare l’attenzione e poi, più specificatamente, a tracciare tutti quegli elementi utili a comprendere che oggi ci si rende visibili attraverso gli “Hub” del Web, ovvero i grandi punti di snodo informativi.
La presenza su piattaforme come motori di ricerca, unitamente alla frequentazione attiva di blog e social network (Youtube, Twitter, Facebook), diventano criteri indispensabili per superare la soglia critica e aumentare la propria reperibilità e visibilità.
In chiusura dei lavori, la professoressa Blasi ha tracciato una sorta di cornice di riferimento del nuovo ‘sistema comunicazione’, un sistema dove il peso si è spostato sulla capacità degli emittenti di fornire esperienze aggreganti, di animare la conversazione, di indicare forti valori guida e offrire simboli condivisibili. E soprattutto di dare spazio alle co-creazioni di quella crescente popolazione di internauti che non si può più solo considerare ‘un mercato da colpire’ e che rivendica prepotentemente un ruolo attivo nella negoziazione dei significati che fanno ‘società’.
Un ribaltamento di prospettive che ha visto alternarsi spunti di riflessione ponderata a momenti davvero esilaranti, accolti con gli applausi da un pubblico di oltre 200 giovani. Nel pomeriggio si è poi passati dalla teoria alla pratica, e i ragazzi - assiduamente seguiti, fotografati e coordinati dai bravissimi Alice e Federico - si sono divisi in gruppi di lavoro a cui sono stati affidati 8 diversi project work che il team aveva preparato per loro. Una fase di ‘learning by doing’ che sedimenta conoscenze e scambi per una giornata di formazione creativa e memorabile, carica di entusiasmo, coinvolgimento e soprattutto di eccellente qualità, umana e professionale.
Aiutano nella prevenzione di alcune malattie tra cui i tumori
(AGI) - Washington, 11 apr. - I succhi di frutta possono essere salutari quanto i frutti stessi, a patto che siano puri al 100 per cento. Lo dimostra una review basata su piu' di 60 ricerche pubblicate negli ultimi 5 anni e presentata all'Experimental Biology meeting in corso a Washington. I ricercatori dell'Universita' della California a Davis hanno esaminato una vasta gamma di ricerche, da quelle in laboratorio ai trial sull'uomo, confermando che un'assunzione regolare di succhi di frutta ha potenziali benefici per diverse malattie croniche, da quelle cardiovascolari ad alcuni tumori. "Mentre e' universalmente accettato che frutta e vegetali sono protettivi, sui benefici dei succhi non c'e' molta chiarezza - ha spiegato Dianne Hyson, uno degli autori - ma un'analisi delle evidenze scientifiche fin qui accumulate suggerisce che i succhi al 100 per cento mantengono una serie di componenti bioattivi che promuovono una buona salute e la prevenzione di malattie". Fra gli effetti suggeriti dallo studio ci sono ad esempio la prevenzione delle infezioni urinarie promossa dal succo di mirtilli, o quella di alcuni problemi cognitivi legati all'eta' ottenuta con quello di mela o d'uva.
Inoltre predispongono positivamente alla donazione di sangue, poco prima dell'evento (EMA-ROMA)
Matera, 18/19/20 Marzo 2011: Meeting FIDAS Giovani.
Corrispondenza da Marco Ardito, coordinatore Gruppo Giovani di EMA-ROMA, delegato al Gruppo Giovani FIDAS Lazio.
Come tutti gli anni,anche quest'anno la FIDAS Nazionale si è fatta garante dell'organizzazione dell'ennesimo meeting "FIDAS giovani". Oltre ad essere un'occasione di socializzazione tra i ragazzi delle varie federate italiane,vuole (e deve) essere un'occasione di formazione per noi giovani. Ha un duplice scopo: -il primo, quello più importante, è cercare di trovare soluzioni sulla continua emergenza di sangue che abbiamo in Italia ed Europa, cercando il più possibile di coinvolgere ragazze e ragazzi a donare il sangue. -il secondo è quello di permetterci i fare esperienza, essendo gli "adulti del futuro", per consentire un ricambio generazionale dei volontari all'interno dell'associazione. Quest'anno la città che ci ha ospitato è stata Matera, la famosa "città dei sassi",patrimonio dell'UNESCO e candidata come città della cultura europea per il 2019. La 3 giornate a Matera sono state caratterizzate da un calendario abbastanza fitto di impegni dove i vari relatori, che si sono alternati, hanno messo al centro del loro discorso temi inerenti alla comunicazione oltre che a nozioni generali sulle donazioni. Dopo i saluti di apertura da parte del comitato organizzativo di FIDAS Basilicata,l'intervento che ha rotto il ghiaccio e, di fatto, ha dato via a questi tre giorni è stato quello di Niels Mikkelsen segretario generale FIODS(Federazione Internazionale Organizzazione Donatori di sangue). Oltre a rinnovare l'invito a donare, ha mostrato la situazione, a livello europeo, riguardo la donazione del sangue. Ha evidenziato come tutte le Nazioni dovrebbero essere autosufficienti da questo punto di vista,ma che non lo sono,perchè non viene promosso abbastanza,da parte dei governi,lo sviluppo delle donazioni di sangue. Questo significa che i governi dovrebbero essere responsabili e garantire una quantità di sangue idonea alle esigenze. Ha illustrato come ancora oggi ci siamo due tipi di sangue: -il cosiddetto "sangue pagato",dove il prodotto è coperto dal diritto di proprietà e dalle regole di vendita. -il sangue donato,che è esente dalle regole di proprietà e di mercato ed è un gesto volontario,anonimo e gratuito. Molti si troveranno a pensare che il" sangue pagato" sia un fatto raro, invece paesi come la Germania,la Repubblica Ceca ed in parte anche gli USA pagano i donatori per la donazione di sangue,per poi rivenderlo ai paesi bisognosi. Inoltre ha concluso sul fatto che si sta lavorando a standard di sicurezza uguai per tutti i paesi Europei. A seguire c'è stato l'intervento del Dott. Aldo Ozino Calligaris. Presidente della FIDAS Nazionale,che ci ha fornito una presentazione sui dati italiani delle donazioni di sangue. Da questi si è potuto evincere che : -c'è stato un incremento del 4% di giovani donatori -si son fatte più di 85 milioni di donazioni Inoltre ha rinnovato l'invito a fare donazioni di sangue in modo responsabile e volontario,secondo gli standard dati dall'EBA (European Blood Alliance) che stabilisce di fare donazioni in maniera non remunerata. Inoltre la donazione di sangue dovrebbe essere volontaria,anonima e gratuita,come illustrato già in precedenza da Mikkelsen, ma sappiamo che non è cosi. La giornata successiva sono stati affrontati problemi inerenti alla comunicazione e i vari spunti per ottenere una buona campagna pubblicitaria. Il primo intervento è stato quello del portavoce del 3° settore,Andrea Oliviero. Lo scopo del volontario,e quindi del volontariato,non deve essere solo quello di fare del bene,ma quello di costruire un certo modello di società. Questo perchè la capacità di collaborare con gli altri dà una "valenza politica" molto particolare:permette la crescita della società attraverso un impegno costruttivo. Ha evidenziato come i giovani donatori portino entusiasmo, ma anche come questo talvolta non basti per assorbire le "delusioni" che possono intralciare il percorso del volontariato. Per questo bisogna affiancare all'entusiasmo la tenacia così che grazie a questo binomio riusciremo ad andare avanti!
Il secondo intervento è stato quello di Carmen Lasorella nota giornalista televisiva,che ha parlato della comunicazione sociale in Europa. Dopo tutto un discorso improntato sulla divulgazione delle notizie tramite social network come facebook e twitter, ha voluto mettere in risalto che bisogna avere strutture che facciano diventare il volontariato una sorta di lavoro, ovvero darne conoscenza e metterlo al centro di qualcosa di costruttivo. Arriviamo poi all'ultimo intervento fatto dalla prof. Simonetta Blasi (docente di teoria e tecnica della pubblicità-facoltà di scienze della Comunicazione Sociale dell'Università Pontificia Salesiana di Roma e da Mirko Benedetti ( Direzione Comunicazione e Editoria ISTAT),che ci hanno illustrato come promuovere una campagna pubblicitaria. Dopo il loro intervento sull'organizzazione di una campagna pubblicitaria, ci hanno stimolato a risolvere i problemi inerenti all'organizzazione di eventi,assegnandoci dei progetti. L'assemblea giovani è stata divisa in 8 gruppi nei quali dovevano affrontare un problema diverso. I risultati sono stati ottimi,sono venute fuori tantissime idee da attuare con tantissimi spunti che ogni federata prenderà in considerazione per gli eventi da organizzare in futuro. Il meeting si è concluso con l'assemblea FIDAS giovani tenutasi la domenica mattina. Discussi edapprovati tutti i punti all'ordine del giorno abbiamo chiuso i lavori con la promessa di rincontrarci a Parma per la giornata FIDAS ancora più numerosi
L’ematologo e presidente dell'Associazione italiana contro le leucemie e i linfomi (Ail) denuncia la situazione nella capitale. La carenza di sangue e' un problema noto, ma nelle grandi citta' la piaga "e' ancora piu' allarmante. In particolare a Roma, dove la situazione e' catastrofica".
La denuncia arriva da Franco Mandelli, ematologo e presidente dell'Associazione taliana contro le leucemie e i linfomi (Ail), intervenuto oggi nella Capitale per presentare l'adesione di Conad e Nazionale italiana cantanti di calcio ad un progetto di asssistenzadomiciliare."Il sanguemanca maledettamente - spiega Mandelli in un accorato appello - e questo capita specialmente nelle grandi citta', Roma piu' di tutte". Il sollecito dell'ematologo arriva a poche settimane dall'inizio dell'estate, periodo tradizionalmentecritico per la carenza di sangue."La cultura della donazione non puo' essere abbandonata, ma lanciata continuamente”, conclude Mandelli.
Proprio la promozione e la sensibilizzazione al volontariato e alla donazione è l'obiettivo del protocollo d'intesa siglato oggi tra ANCI, Federsanita' e AVIS. Alla firma hanno partecipato il presidente di ANCI, Sergio Chiamparino, il presidente di Federsanita', Angelo Lino Del Favero, e il presidente di AVIS Nazionale, Vincenzo Saturni. L'Associazione Volontari Italiani Sangue, con oltre 1.200.000 soci donatori e piu' di 3.200 sedi territoriali e' oggi la principale associazione di volontariato italiano del sangue. Il protocollo d'intesa impegna le tre realta' a attuare ricerche e studi congiunti, l'invio di giovani in stage presso le sedi AVIS, la predisposizione di lettere per i dipendenti e gli amministratori pubblici per invitarli a diventare donatori e una comunicazione ai ragazzi che diventano maggiorenni. "L'autosufficienza di sangue ed emocomponenti - dichiara il presidente di AVIS, Vincenzo Saturni - e' un obiettivo irrinunciabile per garantire la salute della nostra popolazione. Per arrivarci e' fondamentale l'impegno di tutti. Ecco perche' riteniamo di grande importanza l'accordo con ANCI e Federsanità". "Il rapporto fra Comuni e Avis non nasce adesso - sottolinea il Presidente ANCI Sergio Chiamparino - ma si e' andato costruendo negli anni. Il protocollo che firmiamo oggi, nella sostanza, vuole mettere a sistemauna collaborazione che e' cresciuta spontanea e che auspichiamo possa essere sempre piu' rafforzata. L'obiettivo finale e' comunque quello di non fare cadere l'attenzione su di un tema importante, la donazione del sangue, favorendo la crescita di una cultura della donazione anche, se non soprattutto, fra le giovani generazioni". "Questo protocollo - afferma il Presidente di Federsanita' Angelo Lino Del Favero - ha la peculiarita' di coniugare vocazioni specifiche dei tre soggetti concorrendo ai fini istituzionali del Servizio Sanitario Nazionale. Infatti, la promozione e lo sviluppo della donazione organizzata di sangue; la tutela dei donatori; la realizzazione di progetti di sensibilizzazione alla cultura della solidarieta' e del dono, e, accanto a tutto questo, la promozione della salute e degli stili di vita sani e positivi tra la popolazione, sono tratti fondamentali di una salute praticata nei suoi aspetti piu' quotidiani".
Da anni EMA-ROMA afferma le stesse cose. Da anni EMA-ROMA cerca di stabilire un rapporto consultivo con le istituzioni della Regione Lazio, arrivando persino a proporre un documento base sul quale elaborare insieme un piano strategico contenente persino alcune idee per una campagna informativa continuativa. Tutto inutile. Il risultato? Non passa giorno che nel Lazio e a Roma in particolare, vengano rinviati interventi chirurgici per mancanza di sangue! Non passa giorno che non si ricorra al telefono per invocare l'aiuto dei donatori periodici, informandoli ancora una volta che è di nuovo "Emergenza Sangue"!
Malgrado tutto ciò EMA-ROMA continua ogni giorno la sua promozione illudendosi che finalmente anche nel Lazio si giunga (ma presto!) ad un programma intenso e ben congegnato elaborato da esperti, che allontani definitivamente ogni Emergenza Sangue!
Alla Asl di Siena grazie alla collaborazione tra l’Ortopedia diretta da Domenico Tigani e l’Immunoematologia trasfusionale, diretta da Vittorio Fossombroni, è stato messo a punto un particolare gel piastrinico dal sangue degli stessi pazienti.
Roma, 10 maggio 2011 - Il ginocchio è un’articolazione molto complessa, nella quale la cartilagine svolge una funzione fondamentale nell’assorbire le sollecitazioni più disparate come la torsione, la compressione e l’attrito. Si tratta quindi di forze ripetute, per cui non c’è da meravigliarsi se le lesioni degenerative o traumatiche siano un problema assai frequente e di non facile soluzione.
La cartilagine, oltre a una particolare fisiologia, deriva il suo nutrimento dal liquido sinoviale, per cui degenera molto facilmente. I ricercatori sono impegnati nella realizzazione di metodiche di intervento per la risoluzione delle lesioni del ginocchio.
Gli ultimi studi dimostrano come il gel piastrinico intra-articolare possa rappresentare una nuova opzione terapeutica, per cui presso l’Azienda ospedaliera universitaria di Siena, in accordo alla esperienza di altri centri ortopedici italiani, dal 2009 ho intrapreso, con tale metodica, la nuova possibilità di cura delle condropatie articolari del ginocchio e della caviglia.
Grazie alla collaborazione tra l’Ortopedia diretta da Domenico Tigani e l’Immunoematologia trasfusionale, diretta da Vittorio Fossombroni, è stato messo a punto un particolare gel piastrinico dal sangue degli stessi pazienti. La preparazione viene coordinata da Antonia De Fecondo, che ha ottenuto, con la collaborazione del suo staff infermieristico, un prodotto a elevata concentrazione di piastrine e globuli bianchi. In passato avevamo già utilizzato i fattori di crescita per il trattamento di pseudoartrosi dello scafoide carpale e dei ritardi di consolidazione delle fratture.
Incoraggiato dai risultati ho intrapreso quindi la nuova strategia di prevenzione e cura delle condropatie. I pazienti vengono sottoposti a infiltrazioni intra-articolari che possono essere ripetute, a cicli di quattro, fino alla scomparsa del dolore e al pieno recupero funzionale. Tale concentrato leuco-piastrinico ha un’ottima efficacia trofica, analgesica e rigenerativa.
I risultati ottenuti mi convincono a proseguire nella strategia di prevenzione e cura con gel piastrinico per il trattamento conservativo di pazienti medio giovani, pur rimanendo, ancora oggi, nell’artrosi conclamata, l’intervento chirurgico il trattamento di elezione.
In conclusione, le linee di ricerca e applicazione sono varie e stimolanti, ma i risultati attuali, seppur buoni, devono essere valutati con molta attenzione. Scopo dei prossimi studi sarà dunque quello di evidenziare quale tra i vari e numerosi fattori di crescita sia più coinvolto nel processo di guarigione delle lesioni condrali e osteocondrali.
CENSIS: PRECARIETA' E INCERTEZZA SOCIALE MINANO LA CULTURA DELLA DONAZIONE DEL SANGUE
“Il crescere e il dilagare dell'incertezza nella società possono minare i fondamenti stessi della cultura della donazione di sangue”. L'attitudine alla donazione è, infatti, più tenue in quelle fasce di popolazione che si percepiscono più deboli, sotto il profilo non solo sanitario, ma soprattutto sotto quello sociale ed economico: chi in generale rimane fuori dal mondo del lavoro, non riesce a sentirsi nella posizione di poter dare.
Per questo la donazione può crescere dove cresce l’inclusione sociale, soprattutto per i giovani, di cui c’è gran bisogno, e per le donne, che costituiscono un collettivo ancora sottostimato tra i donatori di sangue. Queste le conclusioni, inedite e sorprendenti, dell’indagine della Fondazione CENSIS commissionata dalla FIDAS e presentata oggi, in apertura del Congresso Nazionale FIDAS in corso a Parma, dalla dott.ssa Carla Collicelli, vice direttore dell'istituto.
PROFILO DEI DONATORI. I dati suggeriscono che a donare sono soprattutto le persone attive nel tessuto produttivo del Paese. I donatori di sangue occupati risultano il 74,7% di tutti i donatori, mentre gli inattivi (casalinghe, pensionati, studenti) rappresentano il 21%. Considerando inoltre che i giovani sono una componente della popolazione destinata a ridursi nei prossimi decenni, e che l’invecchiamento della popolazione farà aumentare il bisogno di sangue, l’autosufficienza raggiunta dall’Italia è un traguardo che non può più esser dato per scontato. Da qui l’importanza della rilevazione CENSIS, compiuta fra i donatori aderenti alla federazione FIDAS, ai fini delle azioni da intraprendere per assicurare anche in futuro l'autosufficienza.
DIFFERENZE DI GENERE E FASCE DI ETA.'Benché di norma le donne possano donare sangue intero non più di 2 volte l’anno (contro le 4 degli uomini), l'aumento delle donatrici rappresenta un obiettivo fondamentale da raggiungere. Solo il 31,2% dei donatori periodici è costituito oggi, infatti, da donne, contro il 68,8% di uomini. Il CENSIS osserva poi tra i donatori una minore incidenza di adulti tra i 45 ed i 65 anni, che rappresentano il 32,7% del campione ma sono il 40,7% della popolazione italiana di riferimento. I giovani sotto i 29 anni, invece, sono il 20,3% dei donatori, a fronte del 18,4% di tutta la popolazione.
MOTIVAZIONI.Fra le ragioni che inducono alla prima donazione, al di là dell'altruismo, prevale la possibilità di tenere sotto controllo il proprio stato di salute (60,3% del campione); seguita dall’avere amici che donano regolarmente (42,8%) e dalla consuetudine familiare per il 32,8%.
“L’indagine commissionata al CENSIS è una fotografia dello stato della donazione in Italia, – spiega Aldo Ozino Caligaris, presidente nazionale della FIDAS -, che ci offre indicazioni importanti riguardo ai settori dove andare ad operare e sulle modalità con cui attrarre nuovi soggetti alla donazione del sangue”.
INFO: Massimo Angeli (Addetto stampa) 339.3767579 angelim@tiscalinet.itQuesto indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.
Ufficio stampa FIDAS: Dir. Franco Ilardo - Resp. Comunicazione: Bernadette Golisano
LA PRECARIETA’ MINA ANCHE LA CULTURA DELLA DONAZIONE
Ecco cosa ha scritto ROMA Salute News a proposito di Precarietà della Donazione, trattata al Congresso Nazionale FIDAS conclusosi a Parma il 15 Maggio.
Più poveri, più incerti del futuro e perciò meno generosi. Anche nel donare il sangue. Sconfortanti i dati dell'indagine della Fondazione Censis commissionata dalla Fidas e presentata oggi, in apertura del Congresso nazionale della federazione dei donatori in corso a Parma. Le fasce di popolazione che si percepiscono piu' deboli, sotto il profilo non solo sanitario, ma soprattutto sotto quello sociale ed economico non riescono a sentirsi nella posizione di poter dare agli altri. Questa ricerca, pero', dimostra anche che la donazione puo' crescere dove aumenta l'inclusione sociale, soprattutto per i giovani e per le donne. I dati, tracciando il profilo del donatore, confermano che a donare sono soprattutto le persone attive nel tessuto produttivo del Paese. Gli occupati risultano il 74,7% di tutti i donatori, mentre gli inattivi (casalinghe, pensionati, studenti) rappresentano il 21%. Considerando inoltre che i giovani sono una componente della popolazione destinata a ridursi nei prossimi decenni, e che l'invecchiamento della popolazione fara' aumentare il bisogno di sangue, l'autosufficienza raggiunta dall'Italia e' un traguardo che non puo' piu' esser dato per scontato, si legge in una nota Fidas. Da qui l'importanza della rilevazione Censis, realizzata fra i donatori aderenti alla federazione Fidas, rispetto alle azioni da intraprendere per assicurare anche in futuro l'autosufficienza. Benche' di norma le donne possano donare sangue intero non piu' di 2 volte l'anno (contro le 4 degli uomini), l'aumento delle donatrici rappresenta un obiettivo fondamentale da raggiungere. Solo il 31,2% dei donatori periodici e' costituito oggi, infatti, da donne, contro il 68,8% di uomini. Il Censis osserva poi tra i donatori una minore incidenza di adulti tra i 45 ed i 65 anni, che rappresentano il 32,7% del campione ma sono il 40,7% della popolazione italiana di riferimento. I giovani sotto i 29 anni, invece, sono il 20,3% dei donatori, a fronte del 18,4% di tutta la popolazione. Fra le ragioni che inducono alla prima donazione, al di la' dell'altruismo,prevale la possibilita' di tenere sotto controllo il proprio stato di salute (60,3% del campione); seguita dall'avere amici che donano regolarmente (42,8%) e dalla consuetudine familiare per il 32,8%. "L'indagine commissionata al Censis e' una fotografia dello stato della donazione in Italia - spiega Aldo Ozino Caligaris, presidente nazionale della Fidas - che ci offre indicazioni importanti riguardo ai settori dove andare ad operare e sulle modalita' con cui attrarre nuove persone e categorie alla donazione del sangue".
”Più poveri, più incerti del futuro e perciò meno generosi; siamo d’accordo, ma anche meno informati circail perché, come e dovedonare il sangue, affermiamo da sempre, noi di EMA-ROMA”.
II 13 e il 14 maggio 2011 si è svolto a Parma il 50° Congresso Nazionale FIDAS, al termine del quale, nella giornata di domenica 15, circa 20 mila donatori di sangue volontari, appartenenti alle Associazioni Federate FIDAS provenienti da gran parte delle regioni d’Italia hanno partecipato alla tradizionale sfilata. Il Lazio era presente, oltre che con i delegati regionali, anche con quaranta componenti dei seguenti Gruppi:
“Piglio”, “DO.SA.VO” di San Cesareo,” A.V.C”. di Cesano, Gruppo Giovani “EMA ROMA”, “Carla Sandri”, e “Università Europea di Roma”, rappresentata dalla Dottoressa Lorenza Cannarsa.
I primi due giorni di congresso hanno impegnato i delegati a trattare argomenti centrali alla nostra attività, compresa la nomina dell’Ufficio di Presidenza, le attività connesse con il bilancio della federazione, consuntivo e preventivo, nonché con la designazione della sede congressuale per il 2012, la cui scelta è caduta su Genova, città industriale, sede di un grande porto marittimo e di un Museo del Mare di fama mondiale, che avrà un ruolo importante in sede Congressuale. La data è da definire, ma noi contiamo fin d’ora di partecipare, magari anche più numerosi. Torneremo sull’argomento in tempo utile per organizzarci a dovere.
Come già riferito, a chiusura dei lavori del congresso e malgrado una pioggia battente che non ha scoraggiato i partecipanti, domenica mattina 15 maggio per le vie della città di Parma si è svolto un lungo corteo composto dai gruppi di donatori di tutte le federate FIDAS d’Italia, molti dei quali in costumi regionali, con la partecipazione di bande musicali, sbandieratori e tanta allegria e orgoglio di far parte di un movimento mosso solo della solidarietà umana. Il corteo si è concluso nelle ex scuderie ducali dove, dopo brevi allocuzioni delle autorità intervenute, si è svolta la Santa Messa del donatore.
E’ stata un’esperienza molto bella che ha consentito ai diversi gruppi del Lazio di aggregarsi, socializzare e di manifestare l’ideale comune di aiutare il prossimo mediante la donazione del proprio sangue. Sono certo che nel futuro riusciremo a rafforzare questi vincoli di amicizia e ad elevare ai giusti ranghi la FIDAS LAZIO.
Da una idea di Don Alfio, Parroco di San Pio da Pietrelcina, è nata l’idea di contraccambiare ai parrocchiani, il dono che metodicamente essi compiono offrendo il loro sangue ad ogni chiamatadella loroParrocchia e da EMA-ROMA, con l’intervento dei sanitari del Centro Trasfusionale dell’IFO. E lo facciamo organizzando una serie di incontri con la partecipazione di medici esperti, su temi di interesse generale, quali, ad esempio, Dietologia, Cardiologia, Pediatria, ed altri allo studio. La serie inizia con Dietologia, branca della scienza medica della massima importanza, allo scopo di fornire informazioni corrette su un tema tanto importante per la salute di giovani e adulti, troppo spesso trattato da esperti improvvisati in modo inesatto e persino pericoloso. La D.ssa Daniela Cappelloni, responsabile del reparto di Dietologia dell’Azienda Ospedaliera San Filippo Neri, dove EMA-ROMA ha la propria Sede, si è offerta e non è la prima volta, di tenere questa prima sessione, con l’aiuto di immagini.
20 mila donatori FIDAS hanno invaso Parma per la 30ma Giornata del donatore di sangue
16 Maggio 2011
Nonostante una pioggia battente, circa 20 mila donatori provenienti da tutta Italia hanno invaso, ieri, Parma per la 30 ma “Giornata del Donatore”, la manifestazione che ha concluso il 50° Congresso Nazionale della FIDAS.
Partito dal Parco Ducale, il festoso corteo è arrivato fino in Piazza della Pace, dove il vescovo di Parma, mons. Enrico Solmi, ha officiato una celebrazione eucaristica. Circa 200 i volontari dell’ADAS Parma - l’associazione organizzatrice del congresso -, degli alpini, della Croce Rossa, della Protezione Civile e dell’Assistenza Pubblica, impegnati nel corso della giornata.
Tra gli argomenti affrontati nel congresso, l'adeguamento della normativa nazionale agli ultimi standard di qualità dettati dalla Comunità Europea (approvazione in sede di conferenza Stato Regioni dei requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi minimi per l’esercizio delle attività sanitarie dei servizi trasfusionali), l'invecchiamento dei donatori e i corretti stili di vita.
Presentata anche una ricerca del CENSIS che ha messo in rilievo come la precarietà e l'incertezza sociale mettano in pericolo la cultura della donazione del sangue.
Soddisfazione per l’andamento del congresso è stata espressa dal presidente nazionale della FIDAS, Aldo Ozino Caligaris, che ha evidenziato la passione dei circa 300 delegati nel definire il percorso che la federazione è chiamata ad affrontare per rispondere alla nuova sfida aperta dall’indagine del CENSIS.
Considerando che i giovani sono una componente della popolazione destinata a ridursi nei prossimi decenni, e che l’invecchiamento della popolazione farà aumentare il bisogno di sangue, l’autosufficienza raggiunta dall’Italia è un traguardo che non può più esser dato per scontato.
Il massimo impegno è richiesto, quindi, a tutti gli attori del sistema per garantire le terapie trasfusionali a tutti i malati, assicurando, nel contempo, qualità e sicurezza a donatori e riceventi.
LA PRIMA VOLTA ALL’UNIVERSITA’ PONTIFICIA SALESIANA
Don Michal con G. Avellino PR di EMA-ROMA e le studentesse Chiara Leone e Valentina Sposato Informazione nell’atrio dell’Ateneo
E’ particolarmente piacevole annoverare un altro prestigioso Gruppo di donatori di sangue, specialmente quando, come in questo caso, si tratta di una Università Romana. E ci riferiamo alla prestigiosa
UNIVERSITA’ PONTIFICIA SALESIANA, di Piazza dell’Ateneo Salesiano, 1.
Mercoledì 25 Maggio scorso, infatti, EMA-ROMA, con l’intervento dei medici ed infermieri del Centro Trasfusionale dell’IFO, si è svolta la prima donazione di Sangue. Pur se organizzata in breve tempo, visti gli impegni dell’Università e senza un necessario “incontro” preparatorio con studenti e docenti, il risultato è stato soddisfacente. Lo dimostra, l’adesione di oltre 35 donatori che si sono presentati con entusiasmo a donare il proprio sangue e dimostrazione di “solidarietà” cristiana, a favore di coloro che dipendono, sicuramente da una valida medicina, ma anche dalla loro generosità.
Già dal primo contatto, avvenuto solo pochi giorni prima, si è formato un “Gruppo” di studenti che, operando in team con alcuni coordinatori dell’Ateneo, hanno propagato la notizia, procedendo con la comunicazione più antica, diffusa, ed efficace e mi riferisco alla formula “bocca/orecchio”ma anche alla diffusione di volantini e locandine.Troviamo giusto menzionarli tutti e ringraziarli di cuore:
Don Voijtas Michal- Coordinatore del Gruppo di Volontariato
Don Pellegrino Salvatore – Gruppo del Volontariato
Un ringraziamento particolare va al Rettore Magnifico dell’Università Pontificia Salesiana, Don Carlo Nanni, che ha concesso con piacere ed attenzione la sua autorizzazione.
Il prossimo appuntamento è fissato per giovedì 17 Novembre e sarà preceduto il mercoledì 16 da un ”incontro interattivo” da tenere in una delle sale dell’Ateneo, condotto da un volontario di EMA-ROMA che tratterà brevemente la Solidarietà, mentre un medico ematologo del Centro Trasfusionale dell’IFO tratterà Sicurezza, e Salute, con l’ausilio di immagini.
Anche Martina Grimaldi e Simone Ercoli allungano il braccio per la FIDAS
Le braccia sono soliti allungarle per chilometri in acqua, ma da oggi Martina Grimaldi e Simone Ercoli, campioni delle Fiamme Oro Napoli nel Nuoto Gran Fondo, le allungheranno anche per la vita, come testimonial FIDAS nella campagna estiva di invito al dono del sangue.
I due campioni di nuoto, lei oro ai mondiali di Roverbal del 2010 nei 10 Km, lui argento agli Europei di Budapest dello stesso anno nei 5 Km, sono, infatti, i protagonisti di uno spot televisivo e radiofonico che, a breve, inizierà ad essere trasmesso dai media italiani.
Questa campagna estiva è stata promossa dalla Rete FIDAS Mezzogiorno nell’ambito del programma “Legami di SANGUE ed EMOzioni” sostenuto dalla Fondazione con il Sud.
La cellulite è un inestetismo comune anche a chi è molto magro: per combatterla, dunque, non servono diete forsennate, ma solo scelte alimentari equilibrate.
Sanihelp.it - Gli adolescenti italiani sono sei veri fanatici delle diete fai da te da copiare su internet o da mutuare dal vip del momento: è stato stimato che nel 2010 un ragazzo su 5, di età compresa fra i 13 e i 19 anni si è cimentato in una dieta per perdere peso, ma solo il 32% si è rivolto ad un dietologo per trovare un regime alimentare effettivamente adeguato alle sue esigenze, mentre la maggior parte ha deciso di dimagrire per lo più digiunando o eliminando alcuni alimenti dalla propria dieta.
I due terzi dei ragazzi che hanno seguito queste diete hanno rapidamente riguadagnato il peso perduto spesso con gli interessi; le diete fai da te, inoltre, possono danneggiare il metabolismo, i reni, intaccare la pressione arteriosa e ingenerare ansia e disturbi psicologici. Soprattutto le ragazze sono alla perenne ricerca della ricetta miracolosa non solo per perdere peso, ma anche per contrastare la cellulite, un inestetismo sempre più diffuso persino fra le adolescenti, riconducibile a vita sedentaria, diete sbagliate, ma del tutto indipendente dal peso corporeo.
La cellulite, infatti, si contrasta adottando uno stile di vita improntato al movimento e scegliendo un’alimentazione ricca di prodotti capaci di impedire attivamente l’infiammazione degli strati profondi della pelle. A questo proposito la Nutrition Foundation of Italy raccomanda a pranzo pasta o riso integrale, orzo e farro dal basso indice glicemico, capaci dunque di tenere a bada il picco glicemico post prandiale altrimenti responsabile dell’ingrossamento delle cellule adipose. Le verdure non dovrebbero mai mancare: quelle colorate e quindi più ricche di antiossidanti sono dei potenti antiinfiammatori naturali.
Più volte a settimana si dovrebbe consumare il pesce, ricco di iodio, un elemento importante per stimolare il metabolismo; sarebbe da incentivare anche il consumo di salmone molto ricco di acidi grassi omega-3 molto utili nel contrastare l’infiammazione tissutale. Non deve mai mancare la frutta soprattutto quella di colore di rosso ricca di flavonoidi e vitamina C; la frutta di questo colore, infatti, contribuisce a rafforzare le pareti dei vasi sanguigni con riduzione della permeabilità che gonfia e congestiona i tessuti a rischio cellulite.
Non bisogna mai dimenticare, infine, l’importanza dell’acqua: più si beve e più si eliminano i liquidi in eccesso e le tossine; ecco perché bisognerebbe bere 2 litri di acqua al giorno e consumare grandi quantità di cibi acquosi come anguria, zucchine, pomodori, spinaci, lattuga e pesche.
Partenze intelligenti, dieta semplice e vestiti leggeri.
Il troppo caldo li può uccidere. Non è un'esagerazione, e i fatti di cronaca lo confermano: mai lasciare i piccoli in auto, neppure per pochi istanti. I consigli per viaggiare… al fresco.
Sanihelp.it - Chi ha figli piccoli e ha in programma per le vacanze estive lunghi viaggi in auto, dovrebbe fare attenzione, oltre alle regole di sicurezza, anche a evitare che i piccoli subiscano gli effetti del caldo: disidratazione, colpi di calore o ipertermie. Nell’infanzia, infatti, tali sintomi possono provocare danni devastanti al sistema cardiocircolatorio, respiratorio e neurologico, risultando spesso mortali.
«In un bambino la temperatura sale da tre a cinque volte più frequentemente che in un adulto - spiega il dottor Angelo Milazzo, Pediatra del Direttivo Regionale della SIPPS - Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale - Il grado di calore all’interno di un auto può salire di 10-15 gradi ogni 15 minuti, determinando un’ipertermia in soli 20 minuti e la morte anche entro le due ore».
«L’abitudine di lasciare i bambini in macchina, anche se solo per pochi minuti (magari per una breve sosta all’autogrill) è una grave forma di incuria - sostiene il dottor Giuseppe Di Mauro, Presidente SIPPS – Oltre al pericolo dell’eccessivo calore, i piccini potrebbero entrare nell’abitacolo dell’autovettura, chiudere accidentalmente la portiera dall’interno o restare intrappolati nel bagagliaio».
In generale, per evitare il colpo di calore, è bene per il viaggio far indossare ai bambini vestiti leggeri di colore chiaro e tenere a portata di mano un cambio pulito e asciutto se i piccoli sudano troppo. È anche consigliabile mettersi in viaggio negli orari in cui i raggi solari sono più deboli, come la prima mattinata o il tardo pomeriggio, oppure, meglio ancora, di notte. Per quanto riguarda la dieta, se il bambino è allattato esclusivamente al seno, non va somministrata acqua, nemmeno nei momenti più caldi della giornata. La mamma ben idratata garantisce infatti, tramite l’allattamento, l’idratazione al figlio. È invece necessario portare scorte di acqua e bevande per lei.
Se il bambino è già svezzato o comunque grandicello, bisogna invece farlo bere di frequente, evitando le bibite gassate o contenenti caffeina (come alternative golose alla solita acqua si possono preparare tisane di frutti di bosco, tè deteinato con succo di mela o aromatizzato con foglioline di menta), e privilegiare cibi freschi e leggeri, come verdura a bastoncini da sgranocchiare, macedonia di frutta di stagione arricchita con frutta secca e semi oleosi (noci, mandorle o nocciole),oppure uno yogurt allungato con un po’ di latte di riso e una composta di frutta (more, mele o ciliegie). Se ci si ferma a mangiare durante il tragitto, il consiglio è quello di scegliere piatti a base di cereali (pasta o riso) conditi semplicemente, per esempio con olio extravergine d’oliva e una spolverata di parmigiano oppure con un sugo al pomodoro e basilico. Da evitare le preparazioni laboriose come i tagliolini panna, piselli e prosciutto o la pasta al forno.
Le vacanze e abitudini alimentari non sempre corrette possono irritare l'intestino: tanta frutta e verdura possono contribuire, invece, a riequilibrarlo
Sanihelp.it - Le vacanze estive dovrebbero contribuire a recuperare le energie spese durante tutto l’anno e dovrebbero essere anche un momento per prendersi cura di se stessi con maggiore assiduità: le vacanze estive, dunque, possono essere un modo per dedicarsi al proprio corpo e alle sue esigenze con calma e serenità.
Numerosi studi scientifici hanno dimostrato che la stitichezza è una condizione che predispone a numerose patologie, poiché il mancato svuotamento dell’alvo favorisce il ristagno delle tossine che anziché essere espulse restano nel circolo ematico.
La vacanza e il connesso cambio di abitudini non deve quindi diventare un modo per stressare ulteriormente l’intestino; la funzionalità di questo apparato, infatti, è fortemente influenzata dall’alimentazione e da stress, ansia, stimoli emozionali e paura. Per quanto riguarda l’alimentazione è bene sapere che la regolarità intestinale si giova di pasti consumati senza fretta e a intervalli regolari.
È bene consumare tutti i pasti e non saltarli, concedendo un’attenzione particolare alla prima colazione che va consumata sempre privilegiando il consumo di yogurt e prodotti ricchi in fermenti lattici che possono contribuire alla normale regolarità intestinale.
È stato accertato che gli spinaci sono le verdure più efficaci per favorire la corretta funzionalità intestinale: se ne consigliano 100 mg due volte al dì. Fra i frutti più efficaci invece, si noverano l’uva, circa 350 g al dì e le pere che possono essere consumate tal quali o sotto forma di succo.
L’attività fisica al pari dell’alimentazione, gioca un ruolo importante nella funzionalità intestinale: ecco perché in vacanza, quando si dispone di più tempo libero che durante il resto dell’anno si dovrebbe camminare per almeno un’ora al giorno o andare in bicicletta, nuotare o correre per almeno mezz’ora al giorno.
Anche durante le vacazne non siamo immuni da fastidiose punture di insetti e meduse, per combatterle basta attuare qualche piccola accortezza con i consigli degli specialisti.
ROMA 1° AGOSTO 2011 - L’ESTATE è la stagione della vita all’aria aperta, delle lunghe ore trascorse sulla spiaggia, in acqua, sui sentieri di montagna o sulle rive dei laghi. Tutto bellissimo, eppure qualche insidia è in agguato. Al mare, camminando a piedi nudi sulla sabbia, oppure frequentando le piscine, i piedi possono essere colpiti da infezioni da funghi o batteri. Fastidi che possono essere evitati con qualche accorgimento di carattere igienico: in piscina è sempre bene camminare con le ciabatte per tenere lontano le verruche, mentre la sabbia, il caldo e l’umido talvolta sono fatali per la comparsa dell’impetigine, infezione caratterizzata da crosticine giallastre di cui spesso sono vittime i bambini.
UN CLASSICO «FASTIDIO» del periodo estivo sono le punture di insetti. E in particolare, con il rialzo delle temperature e l’umidità, si prevede l’arrivo delle zanzare. L’ora in cui bisogna fare più attenzione è al tramonto, quando è bene stare lontano dai ristagni d’acqua. L’uso dei repellenti sulla pelle è raccomandato per i soggetti allergici. Anche in città si può prendere qualche precauzione, per esempio evitare che dopo aver innaffiato le piante, l’acqua resti nei sottovasi. È bene svuotarli, infatti, perché il ristagno dell’acqua favorisce la proliferazione di questi insetti. In ambito urbano altri luoghi da tenere sotto controllo sono i tombini e la rete fognaria. Cautele particolari vanno usate anche nei giardini privati, a partire dallo sfalcio periodico dell’erba. E durante una gita fuori città i soggetti più sensibili ai morsi delle zanzare stiano attenti ad avvicinarsi a canali, fossati, aree agricole incolte. Chi trascorre le vacanze in campagna dovrà fare attenzione anche ad api e vespe. Le loro punture, in genere, provocano dolore, gonfiore e rossore localizzato: una reazione normale che nel giro di poche ore si attenua. Chi, però, sa di essere allergico dovrà farsi consigliare da uno specialista, in modo da avere sempre a portata di mano i farmaci necessari a prevenire lo choc anafilattico. Durante le vacanze aumenta anche il tempo dedicato allo sport e ai giochi. E cresce anche la possibilità di farsi male. Niente di grave, ma contusioni, traumi e piccole ferite, soprattutto nei bambini, possono capitare. Quindi è consigliabile che mamme e papà mettano nello zaino disinfettante e cerotti per intervenire tempestivamente. I medici raccomandano di lavare con acqua corrente le piccole ferite poi disinfettarle e tenerle riparate da bende o cerotti.
DURANTE IL BAGNO in mare il rischio è quello di un incontro ravvicinato con una medusa. Il bollettino del meteo meduse di Focus, realizzato grazie alle centinaia di segnalazioni inviate ogni giorno dalle spiagge di tutt’Italia segnala in tempo reale, sul sito web www.focus.it, meteo meduse, le specie presenti lungo le coste italiane. Ferdinando Boero, biologo marino dell’Università del Salento e associato a Cnr-Ismar, è un esperto internazionale di meduse. Come andrà agosto per i bagnanti? «Non si possono fare previsioni, però nelle due ultime estati abbiamo assistito a un bloom — fioritura — di meduse, anche se non tutte urticanti. Come mai? Perché se dal mare togliamo i pesci poi arriva qualcun altro che riempie il vuoto». E le coste attirano meduse diverse a seconda delle loro caratteristiche. «Negli scorsi anni lungo l’Adriatico era presente la Carybdea marsupialis — mai vista fino agli anni Ottanta — una tra le meduse urticanti, che tende a stare nei pressi dei frangiflutti ed è attirata dalle luci costiere, mentre nel Tirreno settentrionale dal caldissimo 2003 è presente la Pelagia nocticula, che ha lunghi tentacoli. La stragrande maggioranza delle punture di meduse sono ascrivibili a questa specie». Boero ricorda anche che lo scorso anno, «nel pieno dell’estate, c’è stato un bloom di Cotylorhiza tubercolata, con tentacoli corti e poco urticante, nei mari italiani più meridionali». Una specie, quindi, che dimostrerebbe una preferenza per le acque più calde. Una curiosità: recentemente un banco di meduse è riuscito a bloccare i reattori nucleari della centrale di Torness, in Scozia. Un’invasione gelatinosa da intendersi come una ‘ripicca’ verso le opere dell’uomo?
È divertente, mantiene in forma e giova alla salute. Attenzione però: le pedalate hanno molti pro, ma anche qualche contro.
Piace a tutti, grandi e bambini. Una bella pedalata in campagna o in città è fonte di divertimento senza grandi fatiche. Soprattutto se si fa in famiglia o tra amici.
Se si orienta il manubrio fuori città, poi, si respira aria buona, si prende il sole e si vivono momenti di vera tranquillità.
A renderci felici mentre pedaliamo sono soprattutto le endorfine, gli ormoni del buon umore che vengono prodotti nell’organismo quando facciamo un’attività fisica poco intensa, ma di lunga durata.
Fa bene al cuore e non solo a quello
Sono davvero tanti gli studi scientifici che hanno analizzato l’impatto dell’andare in bicicletta sull’organismo.
Non ci sono dubbi: pedalare migliora la salute del nostro cuore, tenendo alla larga le malattie cardiovascolari, vale a dire infarto e ictus.
Un’indagine pubblicata sulla rivista British medical journal ha dimostrato che basta pedalare mezz’ora al giorno per dimezzare il rischio di infarto.
Il segreto di questo sport sta nel fatto che non è particolarmente impegnativo per i muscoli e per i polmoni (esercizio aereobico), quantomeno a livello dilettantistico. Quindi il cuore si allena e diventa più efficiente.
Andare in bici fa sì che il cuore abbia una capacità di riempimento maggiore: pomperà più sangue nelle arterie, con più forza. Quindi la quantità di sangue espulsa in un minuto sarà la stessa, ma con un numero di contrazioni minori. Si abbassa così la frequenza cardiaca a riposo.
Le pedalate poi migliorano il metabolismo: essendo un’attività di resistenza, ossia moderata, regolare e di lunga durata, facilitano la digestione, il circolo sanguigno del cervello e l'attività muscolare.
Fa bene anche alle articolazioni: a differenza di molti altri sport la bicicletta non obbliga le gambe a reggere il peso del corpo. Per questo è l’ideale sia per chi è in sovrappeso e vuole perdere i chili di troppo senza danneggiare caviglie e ginocchia, sia per i bambini le cui ossa sono ancora in una fase di sviluppo.
Si dimagrisce senza troppa fatica
Andare in bici è particolarmente utile a chi vuole perdere peso. Pedalando con un ritmo medio si consumano da 300 a 600 Calorie all’ora. Per ritmo medio si intende un’andatura che consente per esempio di parlare, ma non di cantare.
Se invece si pedala più forte, e anche parlare diventa difficile, si consumano fino a 500-600 Calorie ogni ora.
In più, essendo il ciclismo uno sport di resistenza che impegna per un periodo di tempo prolungato tutti muscoli, dopo soltanto mezz'ora l'organismo inizia a “bruciare” le scorte di grasso (girovita, fianchi eccetera) anziché quelle di glucosio e glicogeno.
Oltre all’indubbio vantaggio del mandare via la pancetta, questo meccanismo consente anche di non avere, una volta finita la pedalata, la classica fame da lupi che invece si presenta praticando altri sport.
Tonifica tutto il corpo, a patto che…
In molti pensano che andare in bici significa rinforzare soltanto le gambe. Non è così: cosce e polpacci sono di certo stimolati, ma si rinforzano anche i muscoli della schiena e delle braccia.
Inoltre, siccome dobbiamo restare in equilibrio sulla sella, si utilizzano anche gli addominali e la parte inferiore della schiena.
Infine, ogni volta che si accelera, la strada va in salita oppure si affronta un terreno accidentato vengono chiamati in causa i muscoli di spalle, braccia, petto, avambracci.
Attenzione però: perché il tutto funzioni bene è fondamentale mantenere una corretta posizione, anche per scongiurare crampi e dolori muscolari.
Le quattro regole d’oro
La sella deve essere alzata in modo che il ginocchio sia piegato a 20° quando il piede è sul pedale in posizione di massima spinta.
Il manubrio va regolato a seconda dell’altezza del ciclista. Non deve essere né troppo in avanti, né troppo indietro così che il peso del tronco, in parte, venga caricato sulle braccia, ma senza esagerare.
Si consiglia di cambiare spesso la posizione delle mani sul manubrio e del bacino sulla sella. In questo modo si evitano fastidiosi indolenzimenti muscolari.
Meglio poi mangiare carboidrati prima della pedalata, evitare i grassi e abbondare con la frutta. Una bustina di frutta secca in tasca aiuta poi se c’è un calo di zuccheri nel sangue.
I problemi sono solo per lui
La questione è ancora in parte controversa, nel senso che non tutti gli esperti sono d’accordo. Però sembra da alcuni studi che andare spesso in bicicletta possa favorire l’insorgere di problemi alla prostata.
All’origine ci sarebbe la pressione del sellino che potrebbe determinare piccoli traumi alla ghiandola.
Per questo si consiglia, agli uomini affetti da ipertrofia prostatica sintomatica, di evitare lunghe passeggiate in bici.
Stando invece a quanto affermano i ricercatori della Boston University, che hanno condotto uno studio sull’argomento, andare in bicicletta può esporre anche i non professionisti a un rischio maggiore di infertilità maschile, cioè una scarsa motilità degli spermatozoi.
Corrono gli stessi rischi dei coetanei maschi, ma non tutte lo sanno. Dopo la menopausa viene meno la protezione degli estrogeni: ecco che cosa bisogna sapere. Chi pensa che l’infarto non sia un problema femminile sbaglia di grosso. Sappiamo ormai da diversi anni che anche le donne sono a rischio di malattie vascolari a carico delle arterie coronarie, quelle che portano sangue al cuore. Però ci sono differenze notevoli. Durante tutta la vita fertile ogni donna può godere di uno speciale scudo protettivo: gli estrogeni. Gli ormoni femminili garantiscono alle arterie delle donne una efficace protezione nei confronti dei processi aterosclerotici, in pratica la formazione di quelle placche che negli anni portano a un restringimento dei vasi sanguigni. Se la formazione di queste placche è presente nell'uomo già a partire dai 30-40 anni, nella donna iniziano a comparire dopo la menopausa, quando cioè cessa la produzione fisiologica di estrogeni.
Che cosa cambia con la menopausa
Dopo i 50 anni, in corrispondenza con l’arrivo della menopausa, l’equilibrio ormonale delle donne cambia. Non ci sono soltanto vampate e sbalzi d’umore in questo delicato periodo. Quando l’organismo cessa di produrre estrogeni, quantomeno nella stessa quantità di prima, la probabilità delle donne di essere colpite da infarto, ictus e trombosi si avvicina a quella degli uomini di pari età. In effetti lo dicono anche le statistiche: le arterie e le vene di una donna, dopo i 50 anni, si ammalano quanto se non di più di quelle degli uomini. Secondo recenti indagini, infatti, in Europa il 55 per cento delle donne muore per malattie vascolari, mentre per quanto riguarda gli uomini la mortalità per queste cause è pari al 40 per cento. E se l’ictus, nell’uomo, è la terza causa di decesso, nella donna è la seconda.
Non ci sono soltanto gli estrogeni
Va detto anche che il cuore delle donne è più piccolo, le loro coronarie sono di dimensioni più ridotte e si ammalano in modo più subdolo. In più, i farmaci che prevengono le malattie vascolari nei maschi non sono sempre così efficaci sull’organismo femminile. Per non parlare dei comportamenti a rischio che negli ultimi decenni sono diventati usuali anche tra le donne. Come il fumo di sigaretta e l’abuso di bevande alcoliche. Siccome poi la “mitologia” secondo cui l’infarto non riguarda le donne è dura a morire, molte fanno poca attività fisica, non controllano i livelli di colesterolo nel sangue e la pressione sanguigna.
Che fare per prevenirlo?
Il primo passo è la consapevolezza che dopo i 50 anni la probabilità di infarto delle donne è simile a quella degli uomini. Condurre una vita sana, adottare un’alimentazione equilibrata, fare attività fisica, buttare via le sigarette e bere con moderazione sono regole d’oro che valgono per tutti e tutte. Meglio ovviamente non aspettare la soglia della menopausa per cominciare a pensare a se stesse: eliminare il prima possibile tutti i fattori di rischio modificabili è fondamentale. Infine è importante, in questa fase della vita, sottoporsi a visite mediche periodiche così da tenere sotto controllo quei parametri, come per esempio la pressione e il colesterolo, che rappresentano il campanello d’allarme su cui intervenire se non rientrano nei valori normali.
Mi hanno prescritto un «Ecg» sotto sforzo Non sarà rischioso?
Tendenzialmente no, anzi serve farlo a scopo preventivo. Da evitare invece quando il paziente non può camminare
Ho 70 anni e sono iperteso, ma controllo l’ipertensione con una terapia. Eseguo periodicamente l’elettrocardiogramma (Ecg) che finora non ha rilevato alcun problema, ora un cardiologo mi ha consigliato di fare un Ecg sotto sforzo, ma io sono perplesso. Data la mia età non sarà troppo faticoso? Non rischio di sentirmi male o addirittura di avere un infarto? E poi nessuno mi ha spiegato bene che cosa consente di sapere in più l’Ecg sotto sforzo rispetto all’Ecg normale. Non ci sono altri esami da fare altrettanto utili per approfondire la mia situazione cardiaca?
Risponde Filippo Crea
Direttore Dipartimento Medicina Cardiovascolare
Policlinico Gemelli
"Un elettrocardiogramma da sforzo viene di solito eseguito in pazienti che hanno un dolore al torace che insorge durante uno sforzo e passa con il riposo. Questo tipo di dolore può essere causato da un’ostruzione delle coronarie, cioè delle arterie che portano sangue al cuore ed è definito angina. A riposo non si ha angina e l’Ecg è normale perché il cuore ha bisogno di poco sangue. Se invece si fa uno sforzo il cuore ha bisogno di una quantità di sangue molto maggiore e le ostruzioni coronariche «si fanno sentire», in quanto limitano l’aumento dell’apporto di sangue. La conseguenza è che il cuore si lamenta. Il grido d’allarme del cuore è rappresentato dall’angina. Dopo lo sforzo, le ostruzioni coronariche tornano ad essere silenti ed il dolore passa. L’Ecg segue l’andamento dell’angina: è normale prima dello sforzo, mostra alterazioni tipiche durante lo sforzo e torna normale dopo. In mani esperte questo tipo di Ecg non presenta rischi, è poco costoso e dà una risposta chiara.
Non può però essere utile in due casi: quando il paziente non può camminare o pedalare per motivi ortopedici; quando l’Ecg tradizionale presenta alterazioni che mascherano quelle causate da ostruzioni coronariche. In questi casi diventa necessaria una scintigrafia o un ecocardiogramma eseguiti durante la somministrazione di un farmaco che simula uno sforzo, esami più costosi e più fastidiosi per il paziente. Il ricorso a questi esami diventa necessario anche quando l’Ecg da sforzo non dà un risultato chiaro: per esempio quando il dolore sembra veramente angina, ma l’Ecg non mostra alterazioni durante sforzo. Se le alterazioni dell’Ecg sono lievi è di solito sufficiente la terapia medica. Se sono gravi è necessaria una coronarografia per caratterizzare le ostruzioni coronariche. Se le ostruzioni sono nei rami coronarici più grandi ci vuole un’angioplastica o un intervento di bypass coronarico.
In circa un terzo dei casi l’angina è però causata da un’alterazione dei rami coronarici più piccoli: in questo caso la cura è basata su un uso appropriato delle medicine. Il lettore, però, si sarà certamente posto, a questo punto, un’altra domanda: perché dovrei fare la prova da sforzo se non ho sintomi? Il problema è che il sistema d’allarme del cuore talvolta non lancia l’allarme. Pertanto, anche in pazienti asintomatici è talvolta opportuno eseguire un Ecg da sforzo se si sospetta fortemente la presenza di ostruzioni coronariche, per esempio in soggetti con numerosi fattori di rischio (fumo, ipercolesterolemia, ipertensione, diabete), soprattutto se mal controllati. Infine è utile in persone asintomatiche che svolgono attività con importanti responsabilità verso terzi, come i piloti d’aereo, di treno o di autobus, o in chi inizia un’attività agonistica".
Chi fa jogging ritiene che dopo lo sforzo ci voglia molta acqua. Bisogna invece farsi guidare dalla propria sete
Dopo il jogging, troppa acqua non fa bene
MILANO - Quasi la metà degli amanti del jogging beve troppo durante la corsa. Il 36,5 per cento dei runner introduce infatti i liquidi secondo uno schema prestabilito, o per mantenere un determinato peso corporeo, mentre l’8,9 per cento beve addirittura più che può. Ma non è vero, come molti ancora pensano, che, quando si corre, più si beve meglio è. Uno studio condotto dai ricercatori del Loyola University Health System, pubblicato sul British Journal of Sports Medicine, ha mostrato come gli atleti abbiano ancora le idee poco chiare a questo riguardo e non sono consapevoli del fatto che l’eccesso di liquidi espone al rischio di danni alla salute potenzialmente addirittura fatali, per esempio nella eventualità, rara ma possibile, di provocare lesioni al cervello per una riduzione eccessiva di sodio nel sangue. Eppure, secondo i ricercatori, basterebbe fidarsi di più della propria sensazione di sete.
LO STUDIO «All’inchiesta online hanno risposto quasi 200 atleti contattati personalmente, via e-mail o tramite volantini distribuiti in tre diverse gare» spiega Winger Dugas, che ha condotto la ricerca. «Il 58 per cento beve solo quando ha sete ma è ancora alta la percentuale di quelli che invece non seguono questo stimolo naturale». E la ragione per non bere di più non è la consapevolezza dei rischi legati alla diluizione eccessiva dei sali nel sangue, ma in 7 casi su 10 solo il timore dei disturbi gastroenterici provocati dall’eccesso di liquidi. Fino ai tardi anni Sessanta, si raccomandava agli atleti di non bere durante l'esercizio, poiché si credeva che l'ingestione di liquidi alterasse la prestazione atletica. In seguito, come risultato da alcuni studi scientifici, si passò all’idea che tutti i liquidi persi durante la cosa dovessero essere reintegrati, magari aderendo a uno schema prestabilito. «Non è un caso che nella nostra inchiesta questa convinzione fosse più radicata tra i corridori più avanti con gli anni» aggiunge Dugas.
IL COMMENTO «Ma un eccesso di sali minerali o di liquidi ingeriti può spesso causare le stesse alterazioni di una carenza degli stessi» puntualizza Sergio Lupo, specialista in Medicina dello Sport e responsabile del portale medico Sport & Medicina , già allenatore di importanti sportivi, come Diego Armando Maradona e Alberto Tomba. Secondo Lupo, inoltre, è quasi sempre sufficiente una normale alimentazione ricca di frutta e verdura per ripristinare i sali persi. «Quando, invece, le condizioni ambientali (temperatura, umidità) e la sudorazione causano una perdita di peso superiore ai 2-3 kg» precisa l’esperto, «è necessario provvedere con bevande idonee e aumentare di conseguenza l'apporto alimentare di frutta e verdura».
Indossi abitualmente lenti a contatto? Attenzione, i virus rendono gli occhi più secchi.
In caso di raffreddore o influenza, sarebbe meglio fare a meno delle lenti a contatto. O quantomeno è limitarne l’uso il più possibile.
La ragione è semplice: le lenti aumentano la secchezza e il rischio di irritazioni agli occhi.
Il consiglio arriva da un esperto di optometria statunitense, William Benjamin, secondo cui è sempre meglio avere con sé un paio di occhiali di riserva da usare in caso di necessità.
Non irritare gli occhi
I tipici malanni della stagione invernale possono, infatti, modificare temporaneamente la secrezione oculare, rendendo il film liquido, che normalmente protegge gli occhi, più sottile e la loro superficie più secca.
Raffreddore e influenza hanno come sintomo anche quello di irritare e seccare gli occhi con o senza lenti a contatto.
E le lenti possono aggravare questi sintomi, soprattutto quelle morbide che perdono più acqua delle altre e possono non reidratarsi velocemente.
Per non essere completamente dipendenti dalle lenti a contatto è sempre meglio avere a portata di mani (e di occhi) un paio di occhiali di riserva.
Dopo un insuccesso o una delusione, soprattutto le donne, tendono a rifugiarsi nel cibo, ma davvero cioccolatini, dolcetti e patatine possono aiutare a star meglio?
Sanihelp.it - L’esperienza comune, i film, la pubblicità, le canzoni raccontano come molto spesso dopo una delusione, un insuccesso soprattutto le donne sfoghino la propria rabbia e frustrazione nel cibo, ma davvero il cibo può aiutare a risollevare l’umore?
Ricercatori della Penn State University si sono chiesti se sia l’umore a influenzare la scelta di determinati cibi o se siano i cibi a influenzare l’umore: per rispondere a questa domanda hanno chiesto a 42 studenti universitari di tenere, per una settimana, un dettagliato diario alimentare in cui descrivere cosa mangiavano e riportare fedelmente, accanto all’elenco dei cibi, il proprio stato d’animo.
Dall’analisi di questi dati è emerso che tanto più erano stati consumati cibi molto calorici, ricchi di sale e grassi tanto peggiore era l’umore nei due giorni successivi. Quando ci si sente particolarmente tristi si tende ad aumentare il consumo di cibi zuccherini o che comunque aumentano il rilascio di dopamina, il neurotrasmettitore che aiuta a provare benessere e attiva le vie della gratificazione.
I livelli di dopamina, però aumentano solo in via transitoria e quando tornano ai valori normali rimane il senso di colpa per aver ingurgitato calorie inutili che altro non fanno che minare la forma fisica; basta il solo senso di colpa a far precipitare nuovamente l’umore, forse ancora più in basso!
Niente più cioccolatini, dolcini o abbuffate di gelato dopo una delusione? Non è tutto così semplice e lineare: è anche vero che imporsi di eliminare certi cibi dalla propria dieta, soprattutto quelli che gratificano il palato aumenta i livelli di stress e il desiderio spasmodico di trasgredire, per questo è importante imparare a gratificarsi con intelligenza.
Se si sente il bisogno di dimenticare una delusione o un insuccesso con del gustoso gelato al cioccolato non ci si deve vietare a priori di farlo, ma si deve pensare che accanto alla trasgressione culinaria la rabbia va sfogata anche passeggiando, correndo magari cantando a squarciagola, parlando, cercando il contatto con gli amici riflettendo e cercando di rilassarsi e capire dove e come si è sbagliato; non è né evitando di mangiare né mangiando in maniera incontrollata che l’umore potrà migliorare!
Grazie a un tampone nelle confezioni chi si taglia potrà spedire una goccia di sangue e diventare donatore
SALUTE
MILANO – Negli Stati Uniti, ogni anno 10 milioni di persone hanno bisogno di un trapianto di midollo osseo per curare le loro malattie: tumorali, del sangue, genetiche. Solo metà tra questi riesce a portare a buon fine l’intervento. Trovare un donatore che sia compatibile (e disponibile) è un’impresa, che combacia con la richiesta – questa volta i dati sono italiani – in un caso su 100mila. Un numero esiguo, nonostante da molto tempo, in America, Italia e nel resto del mondo, i tentativi di coinvolgere la popolazione siano stati numerosi. L’ultimo in ordine temporale arriva dagli Stati Uniti, dove per incentivare all’iscrizione nel registro nazionale dei donatori è appena nata una campagna a partire dalla scatola dei cerotti.
LA CAMPAGNA –«La prossima volta in cui ti taglierai un dito, potrai salvare una vita», recita il messaggio pubblicitario scritto sulle scatole dei cerotti per le ferite lievi. E ancora: «ci dispiace che tu ti sia ferito, ma forse qualcosa di buono potrà nascere da questo incidente», incoraggia una seconda scritta. In pratica, quel che viene chiesto a chi si è ferito e sta aprendo la scatola dei cerotti per medicarsi, è di lasciare una goccia del sangue della sua ferita su un tampone di cotone contenuto nella confezione (il modello somiglia a quelli medici, un po’ stile cotton fioc), di inserire il campione nella busta già completa di indirizzo e affrancata contenuta nella scatola e di spedire al centro di analisi. Con questa semplice operazione (nel modulo bisognerà lasciare anche i propri dati personali) si viene automaticamente analizzati e inseriti nel registro dei potenziali donatori di midollo osseo.
L’IDEA E LE ADESIONI – L’idea di un kit per donare il midollo che semplificasse le operazioni di reclutamento di nuovi volontari è venuta a Graham Douglas, pubblicitario e creativo che in famiglia ha avuto esperienza di leucemia e di un trapianto di midollo riuscito. Proprio in ricordo dei tempi difficili in cui il fratello non riusciva a trovare un donatore, ha studiato il modo per incrementare le possibilità per i malati di essere aiutati. Dopo aver proposto la sua idea a tutte le big pharma, è riuscito ad accordarsi con una piccola società. Che in poco tempo ha messo in commercio una scatola di cerotti speciale, contenente il kit del donatore. E dopo il suo successo, ora in molte società farmaceutiche si sono dette interessate a condividere tale operazione. In Italia la campagna di sensibilizzazione è ad opera della Admo, Associazione donatori midollo osseo mentre esiste un registro al pari di quello statunitense, l’Idmbr, Registro nazionale italiano donatori di midollo osseo. A fine febbraio, in Italia, i potenziali donatori calcolati dall’Idmbr erano oltre 335mila.
Farmaci: Cnr, impronte molecolari per terapie personalizzate
(AGI) - Roma, 16 mar. - Fornire un''impronta digitale molecolare' di ogni singola patologia per una diagnosi appropriata e per prevedere la risposta di un individuo alla terapia. Sono queste, secondo il Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) le nuove strategie per lo sviluppo di farmaci 'personalizzati'. Grazie all'affermarsi di sempre piu' sofisticate metodologie, oggi e' possibile tracciare il profilo di geni, proteine e metaboliti di ogni paziente. ''Con la genomica, trascrittomica, proteomica e metabolomica (sottodiscipline della biologia dei sistemi) - ha spiegato Vincenzo Di Marzo dell'Istituto di chimica biomolecolare (Icb) del Cnr di Pozzuoli in un articolo diffuso dall'Almanacco della Scienza - siamo in grado di individuare 'biomarcatori' per la diagnosi delle malattie, ovvero macromolecole e metaboliti i cui livelli e le cui attivita' biologiche risultano specificatamente alterati durante alcuni stati patologici, sottendendone spesso l'eziologia e il decorso''. Da qui parte la possibilita' di disegnare farmaci quasi 'personalizzati' per correggere tali alterazioni e alleviare le patologie corrispondenti o, ancora meglio, rallentarne e bloccarne il decorso. ''Questo approccio e' necessario a causa della frequenza di bassa risposta a molte cure - ha sottolineato il ricercatore dell'Icb-Cnr - dovuta a una particolare 'farmacogenomica', cioe' ai fattori genetici del paziente o a un successivo intervento di 'farmaco-resistenza'''. Un problema cruciale. Visto che per alcune malattie sono spesso disponibili farmaci con piu' meccanismi d'azione e diversi effetti indesiderati, grazie allo studio di questi 'biomarcatori', si potrebbe individuare per ciascun paziente un 'farmaco ideale' o, almeno, un 'cocktail' di farmaci che ottimizzi la risposta terapeutica e riduca il rischio di effetti indesiderati. In questo contesto si inserisce anche il rinnovato interesse per le cosiddette 'dirty drugs', ovvero i farmaci con pi� bersagli molecolari, tradizionalmente scartati dall'industria farmaceutica multi-nazionale, che negli ultimi 25 anni ha prediletto i 'magic bullets', molecole ultra-potenti e altamente selettive, con scarso successo per� sul fronte delle nuove terapie. ''Gli scaffali delle industrie farmaceutiche sono probabilmente pieni di molecole accantonate, perche' considerate non abbastanza selettive e quindi poco sicure'', ha aggiunt Di Marzo. ''Eppure sappiamo che moltissimi dei farmaci di maggiore successo, siano essi sintetici o di origine naturale, quali aspirina, paracetamolo, cortisone, appartengono alle 'dirty drugs'. L'uso dei 'biomarcatori' oggi - ha aggiunto - potrebbe rilanciare non solo l'uso di nuove combinazioni di principi attivi, ma anche la rivisitazione di sostanze 'multi-target' e, magari, suggerirne il disegno e lo sviluppo di nuove''. Ancora una volta i farmaci naturali potrebbero essere di ispirazione. ''Si potrebbero sfruttare molecole che interagiscono con il sistema degli endocannabinoidi, come il cannabidiolo (un cannabinoide non psicotropo da cannabis), e la palmitoiletanolammide (un mediatore lipidico endogeno), che presentano potenti effetti anti-infiammatori'', ha proseguito il ricercatore. ''Entrambe le molecole hanno gia' trovato impiego in nuove formulazioni farmaceutiche, per alleviare, rispettivamente, la spasticita' nella sclerosi multipla e il dolore neuropatico e pelvico'', ha concluso .
Rughe meno evidenti e colorito sano con spinaci e carote
Da “Il Corriere della Sera”
Antiossidanti potenti da mettere a tavola tutti i giorni
BELLEZZA E CIBO
Rughe meno evidenti e colorito sano con spinaci e carote
Non sono molti gli studi che si sono occupati dei rapporti fra alimentazione, bellezza e salute della pelle, ma in tutti il posto d’onore è occupato da frutta e verdura, che hanno però effetti in parte diversi in base al loro colore. In uno studio, pubblicato dal Journal of American College of Nutrition, in cui si sono valutati, in 450 anziani di diverse nazionalità, i consumi alimentari e l’invecchiamento cutaneo nelle zone esposte al sole, la verdura è risultata, insieme ai legumi, al pesce e soprattutto all’olio d’oliva, uno degli alimenti potenzialmente protettivi.
LE VERDURE - Le verdure ritenute più «interessanti» sono quelle a foglia verde, come gli spinaci, oltre a melanzane, asparagi, sedano, cipolle, porri e aglio. «Al potenziale effetto protettivo della verdura —commenta Isabella Savini, docente di Scienze Dietetiche -Master in Nutrizione e Cosmesi all’ Università di Roma Tor Vergata— potrebbero concorrere, in modo sinergico, vitamina C, caroteni, licopene, xantofille e polifenoli. Quanto all’olio d’oliva, il suo possibile effetto protettivo è da ricondurre, oltre che alla presenza di vitamina E alla ricchezza in grassi monoinsaturi, più stabili alle ossidazioni dovute (anche) dall’esposizione alla luce solare. Inoltre, il suo uso come condimento, favorisce l’ assorbimento di vitamine liposolubili come la E, la K oltre ai carotenoidi».
IL COLORITO - Nel caso di un bel colorito, però, il consumo di ortaggi e frutta di colore giallo arancio e rosso sembrano essere ancora più importanti delle verdure a foglia verde. Lo suggerisce uno studio appena pubblicato su PLoS ONE e condotto da ricercatori dell’ Università di St .Andrews in Scozia. Nella ricerca, esaminando i consumi di vegetali di 35 studenti universitari, per sei settimane, si è visto che, al variare dei consumi, variava anche (in meglio) il colorito della pelle. Un effetto dovuto ad una maggior concentrazione, nella cute, di alfa carotene, beta carotene e di licopene, come dimostrato da un’analisi spettrofotometrica della pelle. «Non è la prima volta — ricorda Savini— che ai carotenoidi vengono attribuiti effetti positivi sulla cute (anti-invecchiamento e anti-tumorali), grazie alla loro capacità di agire come fotoprotettori, antiossidanti lipofili e regolatori del differenziamento cellulare. Va però sottolineato che la loro assunzione con la dieta è associata a quella di molte altre sostanze fitochimiche: è quindi riduttivo pensare che gli effetti benefici del consumo di frutta e verdura siano legati solo a queste molecole».
Poche le conoscenze sulle cause, ma c'è una componente ereditaria. I consigli: guardare l'orizzonte e non leggere
IN AUTO, NAVE E AEREO
Comincia un po' in sordina, con un lieve senso di disgusto e qualche sudore freddo. Poi arrivano sonnolenza, spossatezza, nausea e talvolta anche il vomito. Succede in auto, in aereo, in nave o su qualsiasi altro mezzo di trasporto ai tanti che soffrono di “mal di viaggio”, il malessere da movimento che secondo uno studio recente pubblicato dal British Medical Journal è tutt'altro che raro: il mal d'auto ad esempio colpisce fino a quattro persone su dieci, il mal d'aria e il mal di mare dal 25 al 30 per cento della popolazione. E ora c'è pure il “cybermalessere da movimento”, come lo hanno chiamato i neurologi, psicologi e neuro-otologi dell'Imperial College di Londra autori della ricerca: è provocato dall'immersione in una realtà virtuale in cui gli stimoli visivi, veicolati ad esempio da caschi od occhiali speciali, simulano il moto del soggetto (LEGGI)
POCHE CONOSCENZE SULLE CAUSE - Chiunque abbia provato almeno una volta la nausea durante un viaggio, breve o lungo, reale o virtuale, sa che il fastidio può mettere ko per un bel pezzo. Purtroppo i ricercatori ammettono che sulle cause si sa tuttora ben poco: la teoria più accreditata parla di una “discrepanza” fra le informazioni sensoriali in arrivo nel cervello, nello specifico fra gli stimoli visivi e quelli provenienti dal sistema vestibolare, la parte dell'orecchio interno che ci informa sulla nostra posizione nello spazio. «Se ad esempio la visibilità verso l'esterno è limitata mentre ci muoviamo, oppure al contrario siamo in un cinema dove viviamo visivamente la sensazione di muoverci mentre siamo seduti, la contraddizione fra i dati che arrivano al cervello può provocare il malessere», spiega la neurologa Louisa Murdin.
LA COMPONENTE EREDITARIA - Certo è che la nausea da movimento ha una discreta componente ereditaria, visto che dal 55 al 70 per cento di chi ne soffre ha un parente stretto con lo stesso problema. E anche se i ricercatori britannici avvertono che chiunque, nelle “giuste” condizioni, può finire preda di mal d'auto e simili, alcuni sono più predisposti a star male: è il caso dei pazienti con emicrania, ipersensibili agli stimoli esterni come luce, rumori e anche ai segnali che provengono dal “sensore di movimento” vestibolare. «Il mal da viaggio però non è mai il segno di una malattia più grave: anche in caso di patologie vestibolari ci sono sempre altri sintomi associati, come vertigini e capogiri», tranquillizza Murdin. Rassicurante ma il fastidio non è da poco, per cui chi lotta con nausee e malesseri al solo pensiero di una strada un po' tortuosa o un viaggio in traghetto si chiede come e se è possibile prevenirli.
I CONSIGLI - Gli studiosi segnalano che qualche “trucco” si è guadagnato l'approvazione degli studi scientifici (LEGGI): è provato, ad esempio, che viaggiando in auto o autobus si può ridurre il rischio di malessere guardando in avanti e avendo un ampio campo visivo esterno (meglio quindi una macchina con i finestrini ampi, o almeno sedersi sul sedile anteriore). Altrettanto utile guardare l'orizzonte, soprattutto quando si viaggia per mare, o sdraiarsi: stare supini riduce i sintomi di mal da viaggio rispetto all'essere seduti. «Gli studi hanno anche dimostrato che è opportuno ridurre i movimenti della testa ed evitare qualsiasi attività che aumenti il “conflitto” fra i segnali visivi e quelli che arrivano dall'apparato vestibolare: no quindi alla lettura in viaggio – raccomanda la neurologa –. Ascoltare musica o respirare profondamente e regolarmente fa tollerare un po' più a lungo il movimento in auto, aereo o nave: in media si resiste senza nausea per il 10 per cento del tempo in più. Si è anche verificato che è possibile abituarsi a uno stimolo che provoca nausea: lo si è fatto ad esempio in militari dell'aeronautica o della marina, esponendoli pian piano a voli o viaggi per mare di durata crescente. Funziona, ma bisogna avere molta pazienza e non si risolve il mal di viaggio in generale: se ci si abitua a stare in auto senza nausee ciò non avrà effetto su un eventuale mal di mare».
NON ESAGERARE CON I FARMACI - Non ci sarebbero invece prove scientifiche certe dell'efficacia dei braccialetti che “premono” su uno specifico punto del polso che viene stimolato in agopuntura per ridurre la nausea, né evidenze sicure sulla bontà dello zenzero come rimedio naturale anti-malessere. Per cui, quando proprio si sta male, non c'è che provare coi farmaci anche se la Murdin sottolinea che i dati di sicurezza ed efficacia su donne e bambini, i più sensibili ai malesseri da viaggio, sono scarsi. Meglio quindi non esagerare, soprattutto coi più piccoli: i medici consigliano gli antistaminici come il dimenidrinato, ma solo nei bambini con più di tre anni e soltanto se stanno molto male. «Questi medicinali possono prevenire il malessere da viaggio, se presi prima di partire – chiarisce Murdin –. In alternativa si possono provare cerotti con piccole dosi di scopolamina. Tutti i medicinali però possono avere effetti collaterali che vanno dalla sonnolenza alla visione offuscata, dalla secchezza di bocca e naso all'irrequietezza. Se possibile, quindi, è sempre meglio farne a meno», conclude l'esperta.
Elettrocardiogrammi a domicilio con cerotto hi-tech
Da “Il Sole 24 Ore”
E' sottile come un capello, aderisce perfettamente alla pelle e resiste ad acqua, sudore e sapone: è il nuovo cerotto che promette di eliminare liste d'attesa e code negli ambulatori medici permettendo di monitorare l'attività di cuore, muscoli e cervello direttamente a casa. A presentarlo alla conferenza annuale dell'American Chemical Society di San Diego (Stati Uniti) è stato John Rogers, suo ideatore e docente dell'Università dell'Illinois di Urbana (Usa).
Il prototipo descritto da Rogers, frutto di una messa a punto durata circa 12 anni, sembra il microchip di una scheda per cellulari, ma, in realtà, è formato da sottili membrane di silicone che contengono sensori per la misurazione del battito cardiaco, della disidratazione, di variazioni della temperatura anche minime, delle contrazioni e del rigonfiamento dei muscoli. Il tutto senza che siano necessari gli elettrodi normalmente utilizzati per elettrocardiogrammi o elettroencefalogrammi.
Rispetto ai primi modelli costruiti da Rogers, il prototipo presentato a San Diego dura di più, restando attaccato alla pelle per 10 giorni, ossia per tutto il tempo necessario per effettuare le analisi necessarie. Una volta raccolti i dati, il cerotto li può inviare a un computer o ad un cellulare e quando non serve più si stacca dal corpo con il naturale ricambio degli strati più superficiali della pelle.
Il prossimo anno sarà messa in commercio una prima versione del cerotto, pensata appositamente per gli sportivi. In seguito, ha spiegato Rogers, l'apparecchio entrerà negli ospedali, ma lo scopo è riuscire ad evitare che i pazienti debbano recarsi in una struttura sanitaria. Ad obiettivo raggiunto il cerotto potrà essere acquistato a meno di 7,50 euro e permetterà di effettuare gli elettrocardiogrammi direttamente a casa.
I consigli degli esperti per ridurre il consumo di sale senza compromettere il gusto. E' il messaggio della Settimana per la riduzione del consumo di sale, che quest'anno si concentra sul rischio di ictus.
Sanihelp.it - Il tema dominante della Settimana per la Riduzione del Consumo di Sale (Salt Awareness Week) in corso dal 26 marzo al 1° aprile è quest’anno la relazione tra consumo di sale, ipertensione arteriosa e ictus cerebrale.
L’ipertensione con le sue complicanze è la prima causa di morte nel mondo moderno, perfino nei Paesi in via di sviluppo. Tra le complicanze dell’ipertensione, l’ictus cerebrale è quella più strettamente e direttamente legata all’aumento della pressione e pochi mmHg di differenza nei valori pressori rendono conto di differenze significative nel rischio di ictus.
La quota media di sale nella dieta degli italiani si aggira secondo recentissimi studi intorno ai 9 grammi nelle donne e oltre 11 grammi negli uomini, con valori più alti nei soggetti sovrappeso e obesi. Altri autorevoli studi hanno suggerito che la riduzione del consumo di sale da questi valori alla metà (circa 5 grammi al giorno) potrebbe ridurre l’incidenza di ictus del 21%, valore che si tradurrebbe in Italia in 46.000 eventi in meno ogni anno.
È importante sottolineare che, riducendo il consumo di sale ai pasti in modo graduale e progressivo, migliora rapidamente la sensibilità gustativa e si apprezza, senza rinunciare al piacere delle buona tavola, il gusto superiore di cibi di buona qualità e meno salati.
pagina 2 È importante diminuire il consumo eccessivo di sale fin dall’età infantile, promuovendo nel contempo la preferenza per il sale iodato per la protezione dal gozzo e da altre disfunzioni tiroidee.
Ecco qualche consiglio per la vita di tutti i giorni.
1. Quando fai la spesa, acquista alimenti poco salati: controlla sempre le etichette, anche delle acque minerali. 2. Quando sono disponibili, scegli prodotti a basso contenuto di sale (per esempio pane e altri derivati dei cereali senza aggiunta di sale). 3. Riscopri il piacere di una buona cucina e riduci il consumo di piatti industriali, sughi gia pronti o cibi in scatola. 4. Limita l'uso di condimenti contenenti sodio (dado da brodo, ketchup, salsa di soia, senape, eccetera). 5. Aggiungi meno sale alle ricette: pasta e riso possono essere cotti in acqua poco salata; bistecche, pesce, pollo, verdure o patate (anche fritte) possono essere preparati e cucinati con meno sale o addirittura senza. 6. Insaporisci i cibi con erbe aromatiche fresche, spezie o usando limone e aceto. 7. A tavola, metti solo olio e aceto: sara piu facile non aggiungere sale ai piatti gia cucinati! 8. Non aggiungere sale nelle pappe dei tuoi bambini almeno per tutto il primo anno di vita e abituali ad apprezzare cibi poco salati. 9. Latte e yogurt sono una buona fonte di calcio con pochissimo sale. Preferisci i formaggi freschi a quelli stagionati. 10. Se mangi un panino, puoi prepararlo con alimenti a basso contenuto di sale. 11. Durante gli spuntini, frutta o spremute sono un'ottima alternativa agli snack salati. 12. Nell'attivita sportiva leggera reintegra con la semplice acqua i liquidi perduti attraverso la sudorazione. 13. Se proprio trovate il menu insipido: solo un pizzico di sale, ma iodato.
Li pubblica Focus: dati ufficiali, ma finora mai resi pubblici. Questa scoperta può aiutare i cittadini a fare scelte migliori sulla propria salute.
Sanihelp.it - A partire da oggi gli italiani possono scegliere a quale ospedale rivolgersi per essere curati bene. O meglio, lo potevano fare anche prima, ma fino a ora non avevano strumenti per scegliere il reparto migliore per ciascuna patologia.
Oggi, però, la valutazione può essere fatta in base a dati oggettivi, frutto di un progetto di raccolta dati messo a punto nell'ambito del Programma nazionale esiti voluto dal Ministero della Sanità, condotto da Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) e concretamente portato a termine dal dipartimento di epidemiologia dell’Asl Roma E.
La testata Focus chiedeva da tempo che questi dati fossero resi pubblici, in base alle leggi sulla libertà di informazione che tutti i paesi democratici, compresa l'Italia, hanno adottato, e a un principio di trasparenza indispensabile per mettere i cittadini in condizione di fare le proprie scelte in base a dati certi sulla qualità del servizio offerto.
Ecco qualche esempio dei dati messi a disposizione.
1. Sono decine i reparti ospedalieri che curano un numero di pazienti troppo basso per mantenere un adeguato standard di qualità e sarebbero quindi, secondo il Ministero, da chiudere. Per esempio nel caso dell'infarto al miocardio, la Sacra Casa di Loreto, nelle Marche che cura 32 pazienti e ha una mortalità del 34%, oppure l'Azienda Ospedaliera di Bordighera, in Liguria, con 19 pazienti e una mortalità del 42,11%.
2. Le statistiche sull'infarto del miocardio (la maggiore causa di mortalità in Italia) dicono che in media il rischio di morire per infarto è del 10,95%. In altre parole muoiono quasi 11 pazienti ogni 100 ricoverati. Più della metà di questi, il 6,46%, avrebbero però potuto salvarsi se tutti gli ospedali avessero adottato le pratiche in uso nei reparti migliori. Infatti un pool di questi reparti top (tra cui, per esempio il Cervello di Palermo e il Sant'Andrea di Roma), presi a pietra di paragone, ha avuto una mortalità del 4,49%. La differenza sta nella tempestività delle cure: nei reparti migliori l’85,11% dei pazienti viene sottoposto ad angioplastica entro 48 ore dal ricovero, contro solo il 30,67% della media italiana.
3. Gli ospedali pubblici (soprattutto al Centro-Nord) hanno in genere, sempre in campo cardiologico, dati migliori delle cliniche private, con alcune eccezioni: per esempio il Monzino di Milano o l'Aurelia Hospital di Roma. Al Sud, il presidio ospedaliero Sant'Agata di Militello, in provincia di Messina o l'Ospedale Generale di Lentini in provincia di Siracusa, sono reparti d'eccellenza.
4. La sanità italiana ha un ampio margine di miglioramento, e sta ai cittadini chiederlo. Bisogna stimolare i medici perché si aggiornino, ma anche costringere le associazioni scientifiche a occuparsi della qualità degli associati e le università a verificare che la qualità dell'insegnamento sia migliorata.
5. La stessa differenza fra la media e i migliori che c'è nella cura dell'infarto al miocardio, si ritrova nella terapia dell’ictus. Su oltre 66 mila casi ricoverati nel 2010, la media nazionale di mortalità è quasi del 10% contro il 2% tra i 1243 pazienti trattati nei centri migliori. Anche i dati sulla broncopneumopatia cronico ostruttiva sono dello stesso segno: la media della mortalità italiana (su 104 mila pazienti) è di 6,87% contro lo 0,06% tra i 2064 pazienti curati nei reparti di pneumologia migliori.
6. I pazienti italiani attendono in media 5 giorni perché la loro frattura di femore venga curata, quando la ricerca dice che tutte le fratture dovrebbero essere curate entro 48 ore se si vuole evitare un aumento della mortalità.
7. Anche la chirurgia deve migliorare: sono ben 985 mila gli interventi chirurgici non oncologici effettuati nel 2010 in Italia. La mortalità media è stata del 2%: quasi tutte vite che avrebbero potuto essere risparmiate se le tecniche adottate dai reparti migliori (con una mortalità media dello 0,03%) fossero state estese al resto dei reparti.
8. I risparmi prevedibili: i pazienti sottoposti a colecistectomia in laparoscopia sono ricoverati in media per 2 giorni in alcuni ospedali e per 7 giorni in altri e la media italiana per un intervento di colecistectomia laparotomica (cioè con l’incisione chirurgica) arriva addirittura a 10 giorni con punte molto elevate.
E' rivolta soprattutto alle donne under45 la Settimana nazionale della tiroide. Dal 16 al 20 aprile visite gratuite e la possibilità di una diagnosi precoce.
Sanihelp.it - Da lunedì 16 aprile a venerdì 20 aprile 2012 torna la Campagna di prevenzione e cura dedicata alla tiroide. L’iniziativa è promossa dal Club delle U.E.C, Associazione delle Unità di Endocrinochirurgia Italiane, che associa più di 300 specialisti in tutta Italia, ospedalieri ed universitari.
Oltre 100 centri specializzati distribuiti su tutto il territorio nazionale metteranno a disposizione una visita specialistica gratuita e, se necessario, proporranno un percorso di diagnosi e cura completo.
Quest'anno la Settimana Nazionale della Tiroide è particolarmente indirizzata alle donne al di sotto dei 45 anni che hanno una familiarità per patologia tiroidea, soprattutto se tumorale, e che manifestano sintomi come irritabilità, nervosismo, insonnia, gonfiore al collo, oscillazioni nel peso, ma che non si sono mai sottoposte a un controllo in precedenza.
Più in generale, oltre 6 milioni di persone soffrono di problemi alla tiroide: la prevenzione e la diagnosi precoce diventano fondamentali per un trattamento mirato e tempestivo.
Le visite contribuiranno a far emergere disturbi e malattie della ghiandola che spesso non vengono riconosciute perché asintomatiche o con manifestazioni comuni ad altre patologie, in questo modo sarà possibile formulare diagnosi precoci e prescrivere terapie mirate, farmacologiche o chirurgiche.
Un’attenta valutazione della storia clinica e, se necessario, il ricorso a esami ecografici consente di rilevare noduli tiroidei spesso di piccole dimensioni in circa il 50% della popolazione, la stragrande maggioranza dei quali sono benigni, ma che, talvolta, meritano ulteriori approfondimenti.
La maggior parte delle malattie della tiroide viene curata con terapie mediche, solo un piccola parte richiede l’intervento del chirurgo. Quando serve il bisturi, il ricorso a nuove tecniche e tecnologie consente di ridurre al minimo l’incisione e, quindi, la cicatrice sul collo, oltre che limitare al massimo i rischi per le corde vocali.
L’opzione chirurgica, soprattutto se posta tempestivamente, propone metodiche sempre più sicure e mininvasive, che permettono la conservazione della bellezza del collo, e riducono al minimo i rischi di complicanze, grazie anche all’utilizzo di avanzate tecnologie come il bisturi a ultrasuoni.
Per informazioni sul centro più vicino in cui prenotare una visita, dal 3 al 20 aprile è attivo il Numero Verde 800.122.910.
Fatica a ricordare impegni, nomi, appuntamenti con l'avanzare dell'età? Un soccorso potrebbe arrivare dai frutti di bosco, fragole e mirtilli in testa, toccasana per la memoria delle donne. Secondo uno studio pubblicato su Annals of Neurology, infatti, i frutti rossi hanno il potere di rallentare l’invecchiamento della materia grigia correlata all’età. Le donne che ne consumano di più mettono un freno al decadimento cognitivo pari a 1,5-2 anni rispetto alla media secondo quanto rilevato dai ricercatori del Brigham and Women Hospital e della Harvard Medical School di Boston.
E’ la prima volta che una ricerca fa emergere in modo chiaro i dati di una relazione tra frutti di bosco e rallentamento cognitivo, ma i ricercatori hanno anche sottolineato il fatto che non soltanto le proprietà vegetali potrebbero essere la causa diretta di questo miglioramento cerebrale. Le donne che mostrano un più alto consumo di frutti rossi, infatti, sono anche quelle che conducono una vita più attiva e che hanno abitudini alimentari più sane. Tanto che secondo Elizabeth Devore e colleghi registrare il consumo in fragole e mirtilli delle persone anziane potrebbe essere un buon “test diffuso per verificare l’effettiva conservazione di performance cognitive migliori”.
L'osteopata, aria condizionata si, ma con attenzione
Roma - Alle porte dell'estate non e' consigliabile giocare con l'aria condizionata. Si rischiano dolori muscolari al collo, disturbi al trigemino, dolori reumatici e cervicali. E' l'avvertimento del dott. Maurizio Brecevich, osteopata e specialista in Scienze della riabilitazione al Sant'Eugenio di Roma, intervistato dall'Agi. Per il dottore "l'uso dell'aria condizionata nei mesi più caldi non e' sconsigliato, purche' la temperatura non scenda al di sotto dei 6 gradi di differenza dalla temperatura esterna". "Il passaggio dal freddo al caldo puo' dare problematiche osteoarticolari - spiega Brerevich -. Si consiglia, a chi ne e' colpito, di mettere un foulard al collo, portare una maglietta sotto la camicia e di non esporsi troppo al condizionatore. Da giugno a agosto c'e' sempre una maggiore insorgenza, per l'uso notevole che si fa dei condizionatori in macchina, nei negozi, nei centri commerciali. Spesso i condizionatori sono regolati su temperature troppo basse". La regola aurea, come al solito, rimane la moderazione: "A volte se ne fa un uso scorretto. In certi casi, basterebbe tenere la finestra aperta". (AGI)
Da ieri (28/5 ndr) e fino al prossimo 15 giugno i cittadini italiani avranno la possibilità di eseguire gratuitamente il test dell’epatite B nei laboratori che aderiscono alla campagna “Epatite B: usa la testa, fai il test”. Per usufruire del test gratuito sarà sufficiente prenotarsi tramite il numero verde 800 027 325 o online, al sito www.epatiteb2012.it. L’iniziativa, promossa da quattro società scientifiche - AISF (Associazione Italiana per lo Studio del Fegato), SIGE (Società Italiana di Gastroenterologia), SIMIT (Società Italiana Malattie Infettive e Tropicali), SIMG (Società Italiana di Medicina Generale) - con il supporto di FederANISAP, Federazione Nazionale delle Istituzioni Sanitarie Ambulatoriali Private e il contributo incondizionato di Bristol-Myers Squibb, coinvolgerà le città di Milano, Brescia, Bergamo, Padova, Torino, Reggio Emilia, Pisa, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Foggia, Cagliari, Messina e Palermo.
Due gli obiettivi dell'iniziativa: incrementare nella popolazione la consapevolezza della malattia e dei fattori di rischio di contagio e incentivare l’esecuzione del test tra le categorie a rischio, coinvolgendo anche la popolazione migrante residente in Italia proveniente da Paesi in cui tuttora non esiste l’obbligo del vaccino.
L’infezione dà segni di sé solo quando si sono già prodotti danni epatici gravi: come sottolinea Gianfranco Delle Fave, Professore ordinario di Gastroenterologia dell’Ospedale Sant’Andrea, La Sapienza Università di Roma, «quando si produce la diagnosi di HBV l’infezione è già cronicizzata, cioè la malattia è già avanzata e si sono già determinati dei danni: la gran parte dei soggetti con infezione cronica da epatite B non presenta alcun sintomo, tuttavia sono perfettamente in grado di trasmettere la malattia».
Oltre 700mila persone in Italia sono affette da epatite B cronica: di queste, almeno la metà non sa di aver contratto l’infezione. Il virus dell’epatite B (HBV), spiega l'esperto, è 100 volte più contagioso dell’HIV ed è in grado di sopravvivere fuori dall’organismo, rimanendo infettivo, per almeno 7 giorni. La maggior parte dei contagi avviene mediante rapporti sessuali non protetti o scambio di siringhe o aghi contaminati, ma anche attraverso la condivisione di spazzolini da denti o rasoi e con l’utilizzo di strumenti non sterilizzati per piercing e tatuaggi. Nell’80% dei casi l’infezione si risolve spontaneamente, ma in circa il 20% dei casi evolve in una forma cronica estremamente pericolosa e che comporta un rischio maggiore del 15-20% di morire prematuramente per cirrosi ed epatocarcinoma.
"Si stima che i portatori del virus di origine non italiana siano circa 300mila - spiega Orlando Armignacco, Presidente SIMIT -. Persone non trattate, provenienti da zone ad alta endemia come Europa orientale, Africa sub-sahariana e Cina, portatori del virus cosiddetto 'selvaggio' (wild type), che hanno anche genotipi differenti da quello che abitualmente circola in Italia, cioè il genotipo D, e che, per vari motivi, non si sottopongono facilmente a esami di laboratorio".
Vaccinazione, test e conoscenza dei fattori di rischio permettono di arginare il contagio. "La vaccinazione, la presenza di terapie efficaci che inibiscono la replicazione del virus, il miglioramento delle condizioni igieniche e sanitarie sono fattori che hanno determinato in Italia un abbassamento drastico della prevalenza da infezione da HBV - afferma Paolo Caraceni, Segretario AISF -. Da zona ad alta endemia, l’Italia è diventata regione a bassa endemia, con una prevalenza di portatori del virus inferiore al 2%, concentrata nelle fasce d’età over 30-40".
L’opportunità di usufruire del test gratuito sarà portata alla conoscenza anche dei cittadini stranieri residenti in Italia, in particolare quelli provenienti dall’Est Europa: l'iniziativa, infatti, oltre all’italiano parlerà inglese, rumeno, albanese, ucraino e polacco.
Fate attenzione agli effetti colatreali delle cure
Dal "Corriere della Sera"
Sempre più malati guariscono, ma hanno bisogno di essere seguiti per anni. Oltre alla visite di controllo, ecco cosa serve
TUMORI
CHICAGO – Negli Stati Uniti li chiamano «cancer survivors», sopravvissuti al cancro o lungospravviventi, e sono circa 12 milioni. In Italia se ne contano più o meno due milioni e mezzo: le stime dicono che il quattro per cento della popolazione nostrana (il 15 per cento degli over 65) ha avuto una diagnosi di cancro che, per la maggioranza dei casi (57 per cento), risale a più di cinque anni fa. E questi numeri sono destinati ad aumentare, visto che i successi delle terapie anticancro e la scoperta sempre più precoce della malattia contribuiscono costantemente a far crescere il tasso di guarigioni. Ma quanto si sa degli effetti a lungo termine delle cure? E quanto si fa per arginare gli effetti tardivi dei trattamenti? C’è molto da migliorare, secondo uno studio condotto dai ricercatori dell’Harvard Medical School di Boston e presentato all’Asco (il convegno dell’American Society of Clinical Oncology) in corso a Chicago.
LO STUDIO - Larissa Nekhlyudov e colleghi hanno condotto un’indagine fra oltre duemila medici americani, una metà circa composta da oncologi e l’altra da «addetti alle cure primarie» (più o meno l’equivalente dei nostri medici di famiglia), sondando le loro conoscenze sugli effetti collaterali a lungo termine di quattro chemioterapici (doxorubicina, paclkitaxel, oxaliplatino e ciclofosfamide) comunemente usati per trattare tumori del colon e del seno, fra le forme di cancro più diffuse. «Gli esiti del sondaggio – spiega Nekhlyudov – non ci hanno sorpreso e fotografano una realtà che va perfezionata con una certa urgenza: mentre gli oncologi sono generalmente preparati, serve molta più informazione per i medici di base. Perché sono proprio questi ultimi ad assistere più spesso i survivors, che con il passare degli anni hanno giustamente sempre meno rapporti con l’oncologo».
CONSIGLI PRATICI - Disfunzione cardiache, neuropatie periferiche, secondi tumori, dolore cronico, fatigue (senso di affaticamento), linfedema, disfunzioni sessuali, stati ansiosi e depressivi, preoccupazioni per un’eventuale ricaduta di malattia, problematiche socio-relazionali, difficoltà a riprendere la propria vita pre-malattia (inclusa l’attività lavorativa). L’elenco delle conseguenze note delle cure è lungo. «Oggi abbiamo molte informazioni sugli effetti collaterali di chirurgia, chemio e radioterapia - commenta Francesco Cognetti, direttore della divisione di Oncologia Medica A presso l’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena di Roma -. Quando è possibile li preveniamo, altrimenti abbiamo imparato a tenerli sotto controllo. Il numero crescente di persone che guariscono, e che hanno nuovi bisogni che vanno ascoltati, è una novità relativamente recente, ma molto si può fare per garantire a questi pazienti una buona qualità di vita». Per esempio, si eseguono esami mirati per tenere sotto controllo l'apparato cardiocircolatorio; ci sono diverse strategie a disposizione contro il linfedema (quali il linfodrenaggio o fisiokinesiterapia, per citarne alcuni); i problemi respiratori dopo un intervento ai polmoni possono essere con farmaci, fisioterapia, ossigenoterapia; o, ancora, ci sono vari modi per salvare la fertilità. «E anche per chi soffre di disturbi della sfera sessuale o psicologici abbiamo delle soluzioni efficaci da offrire, è importante che i pazienti ce ne parlino e non si condannino da soli a una silenziosa sopportazione» conclude Cognetti.
(AGI) - Washington, 11 giu. - Dormire poco porta a scelte alimentari poco sane. Una ricerca americana ha infatti mostrato che quando si dorme male o poco il cervello e' portato a preferire i cibi meno sani, rispetto a quelli piu' salutari. Lo studio e' opera della Columbia University ed e' stato presentato durante il meeting annuale della American Academy of Sleep Medicine and the Sleep Research Society che si e' tenuto a Bethesda, nel Maryland. Gli scienziati hanno mostrato a un gruppo di 25 persone in salute alcune immagini di cibi sani e meno sani. Alcuni volontari erano reduci da cinque notti durante le quali avevano dormito solo quattro ore mentre ai restanti era stato permesso di dormire tranquillamente nove ore per notte. Il primo gruppo ha mostrato una attivazione delle aree cerebrali legate alla ricompensa quando osservava i cibi poco sani. Contemporaneamente, si registrava una sospensione dell'attivita' delle aree legate al controllo del comportamento. Secondo gli studiosi, i risultati di questa ricerca potrebbero aiutare a comprendere il nesso, ampiamente mostrato, fra obesita' e cattiva qualita' del sonno.
Gli UVB «scottano», gli UVA invecchiano. Entrambi possono contribuire all'insorgere di tumori della pelle
MILANO - La luce solare stimola la produzione di vitamina D (necessaria all’assorbimento del calcio nell’intestino), fa bene a disturbi della pelle come dermatite atopica e psoriasi, rende più allegri e rilassati. Ma, se incontrollata, può fare anche danni, a breve e a lungo termine. «Il rischio è legato alle radiazioni solari UVB (Ultravioletti B) e UVA (Ultravioletti A). Gli UVB hanno una forte carica energetica ed effetti soprattutto sugli strati più superficiali della pelle (epidermide). Sono i principali responsabili della reazione immediata provocata dal sole sulla cute, che può dare origine a una scottatura o, in termini tecnici, un eritema solare, che nei casi più seri si trasforma in una vera e propria ustione — spiega Enzo Berardesca, direttore del Dipartimento di dermatologia clinica dell’Istituto dermatologico San Gallicano di Roma —. Gli UVB, stimolando la produzione di melanina, sono anche quelli che provocano una colorazione progressiva, responsabile dell’abbronzatura, che serve a proteggere la cute».
Quali sono i possibili danni a lungo termine? «L’esposizione prolungata e ripetuta agli UVB favorisce l’accumulo di mutazioni nelle cellule dell’epidermide e quindi lo sviluppo di lesioni precancerose, quali le cheratosi attiniche, e di tumori. Più subdola è l’azione dei raggi UVA, meno potenti degli UVB, ma capaci di penetrare più in profondità, fino al derma. Questi raggi stimolano solo la melanina superficiale e il loro effetto sul colore della pelle è transitorio. L’esposizione prolungata agli UVA è la principale responsabile dell’invecchiamento precoce della pelle, nonché un fattore di rischio per lo sviluppo di un’altra classe di tumori cutanei, i melanomi, che si possono formare ex-novo o per degenerazioni dei nei».
Quali sono le precauzioni da adottare? «Esporsi al sole con buon senso: evitare bagni di sole, le prime volte che ci si espone; non esporsi nelle ore più calde; usare gli occhiali da sole e le creme antisolari, scegliendo all’inizio fattori di protezione maggiore ed eventualmente ridurli nel corso della vacanza. Il grado di protezione va scelto in base al proprio fototipo e deve essere tanto maggiore quanto minore è il fototipo: una carnagione chiara, povera di melanina, è molto più delicata di una scura che, grazie a un maggior contenuto di melanina riesce a sopportare meglio i raggi ultravioletti. L’antisolare deve proteggere sia contro gli UVB che gli UVA e oggi tutti i prodotti offrono questa doppia protezione, anche se non sempre paritaria (i filtri UVA devono essere presenti come minimo in quantità di un terzo, rispetto ai filtri UVB). Alcuni prodotti recenti contengono anche enzimi (fotoliasi ed endonucleasi), capaci di contrastare gli effetti degli ultravioletti sul Dna e quindi di limitare i danni a lungo termine. Infine: in gran parte dei casi si mette la metà della crema necessaria, riducendo così l'effetto protettivo. Quindi non centellinare e soprattutto riapplicare il prodotto ogni 2-3 ore».
12 milioni di italiani hanno valori di colesterolo troppo alti e metà di loro non lo sa. Occhio ai cibi che si mettono in tavola in vacanza. Esami del sangue gratuiti per un giorno.
Sanihelp.it - È noto che per contenere i livelli di colesterolo bisogna scegliere alimenti ricchi di fibre come frutta e verdura e preferire il pesce. Non tutti sanno, però, che i maggiori nemici della nostra tavola sono le aragoste e i gamberi, cibi con contenuto di colesterolo molto elevato, mentre i loro cugini, gli astici e gli scampi, sono meno dannosi.
Ma il record di concentrato di colesterolo appartiene ai calamari, rispetto ai quali è meglio preferire le seppie che ne contengono meno della metà. E anche tra cozze e vongole è facile scegliere: le seconde sono molto meno dannose. Tra i pesci, infine, sono più grassi e a elevato contenuto di colesterolo quelli di fondo, come la cernia, rispetto per esempio al dentice, che è tra i più salutari.
Sono alcuni dei consigli che verranno dati sabato 16 giugno 2012, in occasione della Prima Giornata Nazionale del Colesterolo, promossa da SISA, Società Italiana per lo Studio dell’Arteriosclerosi, in collaborazione con la Croce Rossa e la Società Italiana di Medicina Generale.
L’iniziativa, che prevede visite gratuite in tutta Italia, nasce con l’obiettivo di rendere consapevoli gli italiani del ruolo della componente genetica nell’ipercolesterolemia, che interessa circa mezzo milione di persone. Nelle forme più gravi, infatti, valori alti spesso si manifestano già dalle prime decadi di vita: è molto importante, quindi, eseguire i controlli sin da giovani, già a partire dai 20 anni e ripeterli almeno ogni 5 anni.
C’è poi la forma poligenica comune, in cui fattori ambientali, l’alimentazione soprattutto, agiscono in presenza di fattori genetici predisponenti aumentando i livelli di colesterolo: questa forma, per fortuna meno grave, potrebbe interessare circa 1.200.000 italiani.
Il colesterolo alto è un male silente, che non dà sintomi ma che non va trascurato: con il passare degli anni può comportare la formazione di placche che ostruiscono le arterie e aumentano, insieme ad altri fattori, il rischio cardiovascolare.
Le persone considerano erroneamente i livelli alti di colesterolo come un fattore di rischio meno pericoloso rispetto ad altri fattori. In realtà, il colesterolo alto, specie nei giovani, pesa circa il doppio rispetto all’ipertensione arteriosa nella valutazione del rischio cardiovascolare globale, cioè sulla possibilità che si verifichi un infarto.
In occasione della Giornata sono in programma visite gratuite a Milano, in Piazza Cordusio. Prevedono la compilazione di un questionario, un prelievo di sangue e una misurazione della circonferenza vita. Al termine della visita, al cittadino verrà consegnato un talloncino con i risultati delle analisi e i consigli degli specialisti su ulteriori eventuali esami di approfondimento.
Inoltre la SISA, Società Italiana per lo Studio dell’Arteriosclerosi, mette a disposizione, da lunedì 11 a venerdì 22 giugno, un servizio di informazioni via mail attraverso cui i cittadini possono formulare domande agli specialisti. Ecco i siti di riferimento: www.preveniamo.it - www.sisa.it.
Per sapere quali sono i vaccini obbligatori e quelli raccomandati dalla nascita ai 18 anni basta consultare il calendario delle vaccinazioni, che contiene anche tutte le informazioni sulle età di somministrazione.
Il calendario delle vaccinazioni contiene tutte le informazioni sulle età di somministrazione dei vaccini.
Messo a punto da un gruppo di esperti, assicura la salute dei bambini attraverso la corretta prevenzione di malattie potenzialmente pericolose, garantendo l'offerta attiva e gratuita dei vaccini considerati prioritari.
Vaccinazioni obbligatorie e raccomandate
Il ministero della Salute raccomanda la somministrazione di tutti i vaccini elencati nel calendario, ma non tutti sono obbligatori.
Quelli prescritti per legge proteggono da poliomielite, difterite, tetano ed epatite B e devono essere somministrati a 3, a 5 e 12 mesi di vita.
Il vaccino contro l'epatite B prevede anche una somministrazione entro il primo mese di vita, mentre le altre vaccinazioni necessitano di richiami a tra i 5 e gli 8 anni e, nel caso di difterite e tetano, tra i 12 e i 18 anni.
Sono, invece, raccomandate le vaccinazioni contro morbillo, rosolia e parotite (corrispondenti al vaccino trivalente MPR, somministrato tra il tredicesimo e il quindicesimo mese di vita, tra i 5 e gli 8 e tra i 12 e i 18 anni), contro la pertosse (somministrato insieme a quello contro difterite e tetano) e contro l'Haemophilus influenzae B (a 3, 5 e 12 mesi di vita).
Gli altri vaccini offerti a tutti i nuovi nati proteggono dallo pneumococco (somministrazione a 3, 5 e 12 mesi) e dal meningococco C (a 13-15 mesi o tra i 12 e i 18 anni).
A partire dal 2015 sarà offerta gratuitamente anche la vaccinazione contro la varicella, che può già essere somministrata contemporaneamente all'MPR e che attualmente fa parte dei programmi vaccinali pilota di Basilicata, Calabria, Puglia, Sardegna, Sicilia, Toscana, Veneto e Provincia autonoma di Bolzano.
In quasi tutte le Regioni le dodicenni possono ricevere anche il vaccino che protegge dalle due varianti del papilloma virus (Hpv) responsabili del 70% circa dei casi di cancro al collo dell'utero.
Infine, a partire dai 7 mesi di vita, è possibile vaccinare i bambini (soprattutto quelli che frequentano stabilmente gli asili o altre comunità) contro l'influenza.
Dopo i 6 anni è possibile somministrare il vaccino una volta all'anno. Inoltre tra i 3 e i 7 mesi i bambini possono essere vaccinati contro il rotavirus e a 15 mesi, contro l'epatite A.
Per effettuare le vaccinazioni bisogna recarsi negli ambulatori Asl o, in alcuni casi, nello studio del pediatra.
Il ministero della Salute garantisce un livello di sicurezza molto elevato. L'analisi dei dati ottenuti in più di mille studi scientifici ha, infatti, dimostrato che gli unici possibili effetti collaterali sono reazioni allergiche e, nel caso del vaccino MPR, febbre alta associata, a volte, a convulsioni.
Soltanto nel caso in cui il bambino abbia un sistema immunitario già compromesso, il vaccino contro la varicella è stato associato a polmonite, epatite o meningite.
In generale, i rischi delle vaccinazioni sono di gran lunga inferiori alle possibili conseguenze delle malattie che sono in grado di prevenire.
Nella tabella qui sotto trovi il calendario completo.
Negli ultimi dieci anni in Italia sono aumentati sia il numero di donatori di sangue che il numero di donazioni: i dati arrivano dal Centro Nazionale Sangue (CNS), che mette in evidenza che in dieci anni i donatori sono passati da circa 1 milione 300 mila l'anno a 1 milione 733 mila, mentre le donazioni sono incrementate da circa 2 milioni 400 mila ogni anno a 3 milioni 373 mila.
L'Italia, spiega Giuliano Grazzini, direttore del CNS, "è il settimo paese al mondo per donazioni di sangue e il terzo in Europa per quanto concerne la periodicità". Il 70% dei donatori è uomo, l'81,5% è "periodico" (terzo valore più alto in Europa) e il 35,5% è considerato donatore "frequente" (cioè ha donato almeno una volta all'anno, ogni anno, negli ultimi 5 anni).
I donatori giovani sono circa il 28% del totale. Tra il 2010 e il 2011, ha proseguito Grazzini, "le donazioni sono aumentate dell'1,5 per cento", anche se permangono ancora delle differenza tra le Regioni: in particolare le insulari vengono sostenute dalle altre.
Alimentazione: mangiare 4 volte al di' mantiene in forma
(AGI) - Madrid, 21 giu. - Che la chiave per prevenire l'obesita' sia mantenere sane abitudini alimentari non e' nulla di nuovo, ma uno studio condotto dall'Instituto de Ciencia y Tecnologia de Alimentos y Nutricion (ICTAN) del Consejo Superior de Investigaciones Cienti'ficos fa un ulteriore passo avanti. La ricerca dimostra che alcune abitudini salutari come mangiare piu' di quattro volte al giorno o mantenere una velocita' adeguata durante i pasti e' legata a una minore quantita' di grasso corporale, indipendentemente dall'attivita' fisica. I dati sono ottenuti attraverso la somma di sei pliche cutanee e della girovita di 1.978 adolescenti (1.017 ragazze) tra i 13 e i 18 anni d'eta' provenienti da cinque citta' della Spagna (Granada, Madrid, Murcia, Santander e Saragozza), valutando anche il ruolo dell'attivita' fisica nel tempo libero. I maschi misuravano e pesavano di piu', oltre ad avere un girovita piu' ampio e un'abitudine a mangiare piu' velocemente; tuttavia secondo lo studio pubblicato su 'Journal of Adolescent Health', il grasso accumulato era in quantita' inferiore. L'influenza benefica del consumo quotidiano di colazione sull'obesita' puo' essere rilevante soprattutto nei maschi adolescenti che non praticano attivita' fisica, e tra coloro che saltavano questo pasto c'erano valori di grasso corporale piu' alti. "Abbiamo dimostrato che una ragazza su quattro e un maschio su tre sono in sovrappeso o obesi", ha detto a SINC Sonia Gomez Martinez, autrice dello studio. Tuttavia, solo il 18,5 per cento dei ragazzi non praticava alcuno sport, a fronte del 48,5 per cento delle ragazze.
(ANSA) - ROMA, 27 GIU - Gli uomini hanno un rapporto difficile con le creme solari. Secondo i dati dell'agenzia inglese Mintel, in Europa i piu' riottosi sono i francesi: appena il 38% della popolazione maschile d'oltralpe le utilizza. I piu' prudenti sono i tedeschi: circa 55%. Tuttavia, anche chi usa il solare, sceglie protezioni basse. E i danni purtroppo ci sono: uno studio dell'American Cancer Association rivela che negli Stati Uniti gli uomini sono colpiti da melanoma piu' frequentemente rispetto alle donne.
Mangiare come un uccellino, ore e ore in palestra eppure il fisico non è quello che si sogna: qualche utile accorgimento alimentare e non solo, per un fisico al top!
Sanihelp.it - La British Nutrition Foundation ha revisionato tutta una serie di studi scientifici e ha cercato di capire per quale motivo alcune persone che pure mangiano poco e fanno attività fisica non dimagriscono come vorrebbero e non hanno il fisico che sognano.
Dalla revisione è emerso che a fronte di un apporto calorico simile chi ha la tendenza a consumare soprattutto carboidrati raffinati ha un girovita maggiore rispetto alle persone che cercano di evitare tutti quei cibi di colore bianco che sono raffinati, come farina, riso, pasta, pane, crackers, cereali e zuccheri semplici come zucchero da tavola e sciroppo di mais ad alto contenuto di fruttosio.
Chi vuole dimagrire deve consumare yogurt: è stato accertato, infatti, che gli adulti obesi che mangiano tre porzioni di yogurt senza grassi al giorno, nell’ambito di una dieta dimagrante, perdono il 22% di peso e il 61% di grasso corporeo in più rispetto alle persone che seguono una dieta ipocalorica, ma non consumano yogurt; molto probabilmente il calcio e le proteine contenute nello yogurt aiutano a bruciare il grasso corporeo.
Per un fisico al top meglio non sedersi a tavola con persone in sovrappeso poiché è stato stimato che chi ha almeno quattro amici obesi ha il doppio delle possibilità rispetto a chi non ha amici obesi di diventarlo, forse perché quando si sta a tavola con una persona in sovrappeso si assume il cibo con la stessa velocità del commensale over-size.
Non è buona abitudine neppure farsi assalire dai problemi e dormire poco: chi dorme meno di 9 ore per notte tende a mangiare più del necessario; non è nemmeno buona abitudine fantasticare o dilettarsi nella lettura di libri e riviste di cucina poiché la visione immagini di cibi ad alto contenuto di grassi stimola il centro del controllo dell’appetito situato nel cervello portando a un desiderio elevato di alimenti dolci e saporiti.
Perché l’esercizio fisico apporti davvero beneficio, infine, è meglio fare sport a suon di musica: ascoltare musica motiva al movimento; è come se ascoltandola si sentisse di meno lo sforzo e la fatica e può aumentare la resistenza anche del 15%.
Farmaci: al via norme su principio attivo in ricetta
Farmaci: al via nuove norme su principio attivo in ricetta
(AGI) - Roma, 16 ago. - Da oggi il medico dovra' indicare in ricetta 'rossa', in linea generale, il nome del principio attivo del farmaco prescritto invece del nome commerciale. Puo' aggiungere, oltre alla sostanza contenuta nel farmaco, anche il nome commerciale di un medicinale solo nel caso in cui sia specificata la "non sostituibilita'", che va giustificata con una sintetica motivazione ad hoc. Le nuove norme sono entrate in vigore con la pubblicazione in Gazzetta ufficiale, datata 14 agosto. Pubblicazione che stabilisce la conversione in legge del dl 95 'Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini'. La nuova normativa per i medici e' indicata al comma 11-bis. "Il medico che curi un paziente, per la prima volta, per una patologia cronica, ovvero per un nuovo episodio di patologia non cronica - si legge - per il cui trattamento sono disponibili piu' medicinali equivalenti e' tenuto ad indicare nella ricetta del Servizio sanitario nazionale la sola denominazione del principio attivo contenuto nel farmaco". Il medico "ha facolta' di indicare altresi' la denominazione di uno specifico medicinale a base dello stesso principio attivo; tale indicazione e' vincolante per il farmacista ove in essa sia inserita, corredata obbligatoriamente di una sintetica motivazione, la clausola di non sostituibilita'". Il farmacista dovra' attenersi alla disposizione. (AGI) .
(AGI) - Roma, 9 ago. - Vaccini dove consigliato, farmaci ad hoc, prudenza nell'alimentazione, occhio all'igiene. Viaggiare sicuri si puo' anche nei paesi piu' lontani e a rischio, seguendo attentamente alcune regole. "Viaggi e salute nei 5 continenti", di Walter Pasini, Presidente della Societa' Italiana di Medicina del Turismo, e' un manuale dettagliato per chiunque abbia intenzione di solcare il suolo straniero. Da un'attenta analisi delle statistiche, si desume che la malattia piu' diffusa tra i turisti e' la diarrea del viaggiatore che colpisce dal 30 al 70% dei turisti internazionali. "E' una patologia molto comune e diffusa che puo' essere contenuta portando con se' la ritaxinina alfa", suggerisce l'esperto. "E' importante tenere a mente alcuni accorgimenti generici da avere nel corso del viaggio, che riguardano principalmente la protezione da artropodi e l'attenzione verso acqua e alimenti potenzialmente contaminati come frutta priva di buccia, verdura e pesce crudi, assolutamente da evitare". Un ulteriore chiarimento arriva da Pasini "Spesso l'obbligo di vaccinazioni da parte di alcuni stati, puo' generare confusione nel turista comune, che crede di dover proteggere se' stesso da malattie tipiche di quel paese. Soprattutto in alcune zone dell'Asia, invece, l'obbligo delle vaccinazioni e' a tutela della popolazione ospitante, per evitare che la malattia venga introdotta dall'esterno. D'altro canto per i viaggiatori che si recano nei paesi tropicali e subtropicali e' fondamentale aver effettuato il vaccino contro l'epatite A, e per chi sceglie mete quali l'Africa subsahariana o il Sudamerica, non puo' esimersi dalla vaccinazione contro la febbre gialla". (AGI)
Piccolo manuale di pronto soccorso per incovenienti e fastidi delle vacanze: tagli, ferite, abrasioni e ustioni. Si può ricorrere al fai-da-te, basta seguire alcune semplici accortezze.
Sanihelp.it - Spiagge, piscine, viaggi e ore piccole: d'estate piccole ferite, leggeri tagli, abrasioni, scottature sono all'ordine del giorno. Questi fastidi e dolori, se trascurati, possono dare origine a infezioni e ad antiestetiche cicatrici.
Le ferite sono abrasioni traumatiche, spacchi spontanei della pelle che, se non vengono curati in maniera tempestiva e con attenzione, possono lasciare il derma indifeso dalle aggressioni dei germi, esponendolo al rischio di infezione, con conseguenti antiestestiche cicatrici.
Ecco un utile vademecum per affrontare i piccoli inconvenienti delle vacanze.
1. In presenza di una ferita, non si agisce sempre nello stesso modo. Sebbene la pulizia, la disinfezione e la fasciatura/protezione siano fasi comuni alla gestione delle ferite, è importante procedere in base al tipo di lesione. Le ustioni differiscono in base alla gravità, e soprattutto sono diverse da tagli, escoriazioni e abrasioni.
2. In caso di ustioni, tagli o escoriazioni, pulire la ferita con acqua rappresenta il primo rimedio utile. In caso di ustione è necessario togliere gli indumenti a contatto con la zona colpita; in questa situazione l’acqua lenisce anche il dolore.
3. Il materiale più indicato per rimuovere la sporcizia dalla ferita è la garza. Il cotone può lasciare dei residui.
4. La formazione di cicatrici è legata alla tipologia della ferita e alla sua gravità. Per lesioni di piccola entità, è importante non permettere il manifestarsi di infezioni, ricorrendo all’utilizzo di antibiotici, e facilitare la rimarginazione con l’utilizzo di prodotti che aiutino la cute come, per esempio, gli aminoacidi.
5. Un consiglio soprattutto rivolto ai bambini, è quello di non togliersi le crosticine, lasciando che il processo di guarigione si completi in modo naturale.
6. Fasciare le ferite è importante, soprattutto inizialmente, per impedire a fattori esterni di venire a contatto con la lesione e dare luogo a infezioni. La fasciatura, però, non deve essere occlusiva ma permettere il passaggio dell’ossigeno, pur mantenendo la sua funzione di barriera. È consigliabile cambiarla con frequenza costante per monitorare l’andamento del processo di guarigione.
7. In caso di vesciche legate a ustioni, cercare di bucarle per facilitare la fuoriuscita del pus è pericoloso: si scoprono parti del derma particolarmente sensibili e infettabili.
8. Le ferite di piccola entità, siano ustioni, tagli o abrasioni, possono essere gestite ricorrendo a farmaci di automedicazione, senza ricorrere alla visita medica. L’importante è seguire le indicazioni del foglietto illustrativo e i consigli del farmacista. Oggi c'è un farmaco che, grazie ai suoi principi attivi, produce una duplice azione: con i due antibiotici di cui è composto – neomicina e bacitracina – evita le infezioni che possono derivare dal contatto con i germi della parte lesa, con gli aminoacidi – la cui azione fondamentale è quella di ripristinare la funzione di barriere della cute – favorisce una rapida guarigione.
9. Nel caso il primo intervento non porti a miglioramenti nei tempi indicati, è consigliabile consultarsi con il proprio medico di fiducia. Maggiori informazioni su www.cicatrene.it.
Reni, questi sconosciuti. È proprio il caso di dirlo a proposito dei “filtri” dell’organismo. Quando qualcosa non va, danno segnali difficili da interpretare per il paziente. Vediamo, invece, come scoprire il loro "linguaggio".
Nefropatie - “Quando inizia una nefropatia, i reni non danno segni precisi e diretti”, ricorda la nefrologa Annamaria Bernardi. “Solo quando la nefropatia è in fase avanzata vi sono sintomi ben precisi”. Quali? “L'anemia, l'ipertensione, gli edemi, senso di nausea e vomito, astenia profonda e stato soporoso”.
Infezioni vie urinarie o cistiti - Più facile accorgersi velocemente delle infezioni, i cui “fastidi” non sono certo invisibili. “Febbre elevata con brivido, difficoltà a urinaria e minzione dolorosa, urine torbide e spesso anche con tracce di sangue”, spiega l’esperta. Gli stessi sintomi si possono accusare se vi è una calcolosi renale, ma “in questo caso in più avremo una colica renale o a destra o a sinistra - precisa la nefrologa -, colica che è molto forte e indirizza subito alla diagnosi”.
Altre nefriti - Per quelle di origine infettiva o conseguenti a malattie come il diabete, l'ipertensione, le cardiopatie i sintomi sono più sfumati. Eccoli: “Talvolta constatiamo urine rosate, talora senso di affaticamento - dice Bernardi - in questi casi però il paziente sarà già controllato e la diagnosi sarà precoce”.
Casi familiari - Per soggetti predisposti o con familiarità di patologia renale “è bene fare l’esame delle urine, che, “da solo, è già in grado di dare informazioni su una eventuale patologia renale o delle vie urinarie”, aggiunge l’esperta.
Gli esami - Con un semplice esame delle urine possiamo riscontrare diversi problemi. La spia si accende se vi è la presenza di globuli rossi. La forma dei globuli rivelerà al microscopio la provenienza del “corpo estraneo”. “Infatti se provengono dal rene sono raggrinziti per il lungo e tortuoso percorso che hanno fatto per giungere in vescica - sottolinea Bernardi -, se invece provengono dalle vie urinarie (ureteri o vescica) sono intatti e non hanno subito alterazioni”.
La presenza di albumina nelle urine “vuol dire che la membrana basale del glomerulo si è rotta o è infiammata e lascia passare l'albumina che altrimenti in un rene sano dovrebbe essere trattenuta e rimessa in circolo”.
In qualche raro caso vi può essere presenza di albumina per forti sforzi o per attività fisica intensa (proteinuria da stress), “ma questa scompare poche ore dopo lo sforzo e non è patologica”.
L'acidità urinaria è, invece, elevata quando un soggetto mangia troppa carne e troppe proteine.
La creatinina è un prodotto del metabolismo muscolare e “nel processo di filtrazione renale non viene né riassorbita né escreta per cui passa tutta nelle urine e il suo valore nel sangue è quindi sempre costante (0,8 -1 mg%)” spiega l’esperta. E quando i valori sono fuori norma? “Se troviamo un incremento nel sangue vuol dire che il filtro renale non funziona bene - conclude la nefrologa - perché essendo il rene alterato in senso restrittivo non riesce ad eliminare tutta la creatinina prodotta dai muscoli”.
Duecentosessantacinque partecipanti provenienti da diverse parti d'Italia hanno percorso 2811,5 vasche per un totale di 140,575 chilometri. Sono questi i numeri di un'edizione straordinaria della 24 Ore del donatore svoltasi all'interno delle Terme di Giunone, nel comune di Caldiero (VR). "Mi sento di ringraziare tutti, soprattutto chi ha affrontato i turni più difficili, chi ha nuotato sotto una Dal “Notiziario FIDAS”pioggia scrosciante, per far sì che la staffetta non si fermasse mai - ha affermato Massimiliano Bonifacio, presidente della FIDAS Verona - come non deve mai fermarsi la disponibilità di sangue per i pazienti e i malati che necessitano delle terapie trasfusionali".
A concludere la staffetta tre atleti amici della FIDAS provenienti da diverse discipline: il ciclista Andrea Guardini, l'ultramaratoneta Marco Mazzi e il campione di nuoto Niccolò Maschi. Al termine della manifestazione i ringraziamenti a Giovanni Molinaroli, sindaco di Caldiero, a Marcello Lovato, presidente dell'azienda Terme di Caldiero, ai testimonial e a tutti i donatori, ai volontari, e a tutti coloro che hanno reso possibile quest'evento. "Con la 24 ore del donatore - ha concluso il presidente nazionale FIDAS Aldo Ozino Caligaris - si portano a termine le manifestazioni estive di FIDAS nazionale che con il claim hanno inteso sottolineare l'importanza di promuovere e diffondere la cultura della donazione del sangue e la necessità di garantire in ogni periodo dell'anno l'indispensabile e insostituibile presidio terapeutico di emocomponenti e medicinali plasmaderivati". Al link http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-05f7478a-fe70-431e-8389-edb98b3f6dea-tgr.html#p=0 è possibile rivedere il servizio realizzato da TG3 Veneto ed andato in onda domenica 26 agosto alle 19.30.
L'attività fisica allontana il rischio di cancro al seno
L'attivita' fisica allontana il rischio di cancro al seno
(AGI) - Londra, 7 set. - Basta un'attivita' fisica regolare senza esagerazioni, dalle camminate al giardinaggio, per diminuire il rischio di cancro al seno. Lo afferma uno studio dell'associazione Cancer Research UK pubblicato dall'International Journal of Cancer. La ricerca ha analizzato un gruppo molto ampio di donne all'interno del quale c'erano 8mila casi di tumore al seno. Le piu' attive, spiegano gli autori, hanno mostrato una probabilita' inferiore del 13 per cento di sviluppare il cancro rispetto a quelle inattive, e anche chi fa un'attivita' moderata, corrispondente a 150 minuti a settimana di passeggiata veloce, ha un minore rischio dell'8 per cento: "Non serve essere atleti olimpici - spiega Tim key, uno degli autori - ma le prodezze degli atleti alle Olimpiadi dovrebbero stimolare a stare un po' meno sul divano
Influenza 2012 più complessa: torna la A, con 2 nuovi ceppi
Dal “Sole 24 Ore”
Influenza 2012 più complessa: torna la A, con 2 nuovi ceppi
L'influenza stagionale quest'anno sarà più dura da battere rispetto agli ultimi due anni. È quanto prevede l’Associazione dei Microbiologi Clinici Italiani (AMCLI) sulla base dello studio dei virus che circoleranno nel nostro Paese: sulla base dei dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, infatti, nella prossima stagione influenzale circolerà ancora il ceppo virale pandemico del 2009 (il virus A/H1N1 2009) ma anche altri due ceppi diversi da quelli che hanno circolato negli ultimi due anni (un ceppo B e un ceppo H3N2).
Stagione influenzale più complessa - La composizione del vaccino per la prossima stagione contemplerà quindi un virus uguale a quello delle due stagioni precedenti (A/H1N1 2009) e due virus differenti (B e H3N2). Ci si aspetta, quindi, una stagione influenzale meno mite e più complessa rispetto a quella dei due anni scorsi e richiederà un’attenzione maggiore alla vaccinazione da parte delle categorie deboli. È questo il messaggio che AMCLI lancia attraverso il suo presidente, Pierluigi Clerici, Direttore dell'Unità Operativa di Microbiologia dell'Azienda Ospedaliera di Legnano. “Dopo l’anno della pandemia – spiega Clerici - abbiamo avuto due stagioni influenzali relativamente più tranquille poiché hanno circolato gli stessi ceppi virali e, quindi, la composizione del vaccino è rimasta uguale. Nel corso degli ultimi mesi le organizzazioni sanitarie mondiali hanno effettuato indagini e rilevazioni per identificare i possibili ceppi dell’influenza che ci affliggeranno nel corso del prossimo inverno e gli strumenti per proteggere la popolazione debole”.
La messa a punto del vaccino - Per arrivare all'identificazione dei ceppi virali dell'influenza stagionale lavorano ogni anno oltre 100 laboratori in altrettanti Paesi che raccolgono i virus influenzali dai pazienti e li inviano a cinque centri di riferimento (Atlanta-USA, Londra-Regno Unito, Melbourne-Australia, Tokyo-Giappone, Pechino-Cina). Sulla base dei tipi identificati, della loro maggiore o minore circolazione, dei luoghi dove si sono sviluppati e di come si sono spostati, si arriva quindi a presumere con buona approssimazione quali sono i ceppi virali da inserire nel vaccino.
In occasione della III giornata nazionale FIDAS, l’Associazione “Federazione Pugliese Donatori Sangue” - FIDAS, dedicherà, a partire dalla mattina di sabato 6 ottobre, una intensa due giorni di attività, non solo per promuovere con una serie di eventi la cultura del dono, ma anche per festeggiare un traguardo importante. “La FPDS festeggia nel 2012 i suoi primi 35 anni di attività sul territorio regionale, una presenza che, siamo orgogliosi di poter affermare, ha contribuito a cambiare e far crescere il sistema sangue e la cultura del dono in Puglia.” – ha affermato la prof.ssa Rosita Orlandi, Presidente dell’Associazione. La FPDS dedicherà la terza Giornata Nazionale FIDAS a quei donatori che anche attraverso lo sport fanno grande il nome della FIDAS, incarnando in sé i valori di etica ed il sano stile di vita che caratterizzano il donatore responsabile come il buon praticante sportivo. Sabato 6 ottobre ore 10 primo appuntamento a Bari presso la Sala Conferenze del Centro Polifunzionale Studenti dell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro” (ex Palazzo delle Poste) in Piazza Cesare Battisti, per la conferenza dibattito dal titolo “Etica, Sport e Informazione” durante la quale sarà presentato il volume “Bruno Pizzul. Una voce nazionale”, scritto a quattro mani da Francesco Pira e Matteo Femia (ed. Lupetti). Ospite d’onore il giornalista sportivo Bruno Pizzul col quale discuteranno altri illustri ospiti tra i quali Antonio Laudati, Procuratore della Repubblica di Bari, Francesco Pira, giornalista e sociologo dell’Università di Udine, e Corrado Petrocelli, Rettore dell’Università di Bari. La giornata culminerà con la Grande Festa FIDAS, alla quale si accederà su invito. Il sipario si aprirà alle 18.30 presso il Multisala Showville (Via Conte Giusso 9, Bari) sul palco sul quale si alterneranno momenti dedicati a celebrare i donatori che fanno grande l’Associazione a momenti di spettacolo: ad allietare la serata saranno i maestri dell’Orchestra di chitarre De Falla, con un repertorio vastissimo per tutti i gusti “e le sorprese potrebbero non finire qui” annuncia sorniona la Presidente Orlandi. Nel corso della serata la FIDAS Puglia (la Federazione delle 5 Associazioni pugliesi che aderiscono alla FIDAS Nazionale) consegnerà a Bruno Pizzul il Premio “Un amico per la comunicazione” per l’edizione 2012. Domenica 7 ottobre la celebrazione della Giornata Nazionale FIDAS continuerà presso tutte le Sezioni FPDS con altri eventi a dimensione locale. In Italia nel 2011 i donatori della FIDAS hanno contribuito alle necessità dei pazienti emopatici con 421.653 unità raccolte, +3% rispetto al 2010. L’Associazione “Federazione Pugliese Donatori Sangue”, attraverso le sue 45 Sezioni sparse nelle provincie di Bari, BAT e Taranto, ha raccolto nel 2011 16.675 unità tra sangue intero ed emocomponenti, con un incremento del 3,7% rispetto al 2010.
Italiani: popolo di santi, poeti, navigatori e bugiardi, dovremmo aggiungere. Almeno stando a quanto emerge da una ricerca di Astra Demoskopea di qualche anno fa. Vediamo i risultati e l'opinione del sociologo.
Sanihelp.it - Diciamo quattro milioni di bugie al giorno, bambini (giustamente) esclusi. Spinti da abitudine o da necessità, i mentitori nostrani crescono con la crisi; spiega il noto sociologo Franco Ferrarotti: «La crisi può essere un moltiplicatore di bugie, usate spesso per nascondere verità che creerebbero imbarazzo, basti pensare all'impossibilità di comprare qualcosa a un figlio o di offrire champagne a cena alla fidanzata. La bugia è un fatto culturale di prim'ordine, soprattutto fra i popoli mediterranei che però esagerano un po'».
E a proposito di accettazione sociale della bugia, lo specialista evidenzia: «Se si pensa che nel 1974 il presidente degli Stati Uniti Nixon dovette dimettersi per aver detto una bugia, da noi nel giro di una settimana azzereremo l'intera classe politica».
Proprio i politici, secondo gli intervistati, sono i principali bugiardi (72,3% del campione), seguono commercianti (40,3%), pubblicitari (36,8%) e criminali (33,9%).
Secondo Ferrarotti occorre distinguere: «la bugia diplomatica, che consiste nel non dire le cose come stanno per non aggravare una certa situazione, dalla bugia di quelli abituati a non dire la falsità ma non tutta la verità, fino a quella fatua, non necessaria, detta per il gusto di mentire. In questo tipo di bugia, forse per un eccesso di immaginazione, i popoli mediterranei eccellono. E si tratta purtroppo di una bugia deplorevole, perché complica le cose semplici e non ha nessun rispetto della coerenza, a cui siamo tutti tenuti. Insomma non si po’ dire oggi una cosa e domani un'altra perché ciò crea sfiducia».
La bugia corre anche sul web e domina i social network: da una ricerca condotta da Redshift Research per conto di Intel e pubblicata a giugno, risulta che il 53% degli italiani mente a proposito di se stesso, dai ritocchini alle foto, al modo di essere e relazionarsi. «Oramai con internet si comunica tutto a tutti, per cui nessuno ha più qualcosa di veramente importante da dire, ed è facilissimo dunque confondere la verità con la bugia. È un'enorme pattumiera dove si ricicla qualunque cosa: dai filosofi antichi, alla grande etica, alla pedofilia, fino alle istruzioni per costruire una bomba. Dunque, in questo caos e grazie all'anonimato, mentire è facilissimo». Quali le bugie più comuni? Ecco la classifica:
1. Bugie al lavoro. Obiettivo: trarre profitto personale. 2. Piccole bugie quotidiane. Obiettivo: vivere meglio, risparmiandosi qualche seccatura. 3. Bugie a fin di bene. Obiettivo: evitare dolori e dispiaceri ad altri. 4. Bugie per evitare controlli e critiche o per sfuggire alle proprie responsabilità. 5. Bugie per difendere la propria privacy. 6. Bugie per frequentare delle persone di nascosto (l’amante per esempio). 7. Bugie per mantenere la pace in famiglia. 8. Bugie in ambito scolastico. 9. Bugie sugli acquisti effettuati. 10. Bugie nelle relazioni sociali, come i falsi complimenti
Parte AMICO, Alleati Contro Malattie Campo Osteoarticolare
Controlla le ossa: è gratis
Per una settimana visite gratis per prevenire il rischio di incorrere in malattie osteoarticolati, che colpiscono oggi 10 milioni di italiani. Ecco come prenotarle.
Sanihelp.it - Dall’8 al 12 ottobre 2012 è in programma AMICO, Alleati Contro le Malattie in Campo Osteoarticolare, la prima edizione della Settimana dei disturbi osteoarticolari. Si tratta di una campagna di sensibilizzazione che prevede la possibilità per gli oltre 10 milioni di italiani che soffrono di questi disturbi di usufruire di una prima valutazione gratuita dello stato di salute del loro apparato muscolo-scheletrico.
Oltre 100 strutture specializzate distribuite su tutto il territorio nazionale hanno fornito la loro disponibilità a partecipare con l’obiettivo di garantire per la prima volta ai potenziali malati un’importante occasione di diagnosi precoce tempestiva e un eventuale trattamento appropriato.
Per individuare e affrontare correttamente tutte le problematiche connesse alla diagnosi e al trattamento di questi disturbi, sono state realizzate tre indagini presso 50 specialisti in Reumatologia, Ortopedia e Malattie Metaboliche dello Scheletro e 50 Medici di Medicina Generale, oltre a 70 malati in cura presso alcuni centri specializzati del Nord, Centro e Sud Italia.
I sondaggi dovrebbero contribuire a delineare e a meglio definire alcune criticità assistenziali, quali il ritardo nella diagnosi e l’autoprescrizione, che comportano un peggioramento della qualità di vita quotidiana del malato esponendolo a rischi di natura farmacologica.
Queste analisi si propongono di verificare aspettative e obiettivi dei cittadini in termini di miglioramento nella gestione delle normali attività quotidiane a seguito delle terapie oggi disponibili, valutate anche in termini di efficacia e sicurezza.
Per il trattamento dell'infiammazione e del dolore tipici di molte malattie reumatiche sono disponibili molecole ad attività antinfiammatoria e antalgica di nuova generazione che, se utilizzate adeguatamente, possono ridurre i sintomi e migliorare la qualità di vita del malato.
Per l'osteoporosi, attualmente sono disponibili numerosi farmaci che in studi clinici internazionali hanno dimostrato di ridurre significativamente il rischio di fratture. Le evidenze maggiori sono state ottenute con i cosiddetti farmaci antiriassorbitivi, in grado di ridurre il riassorbimento osseo operato dagli osteoclasti.
La Settimana del disturbi osteoarticolari è stata promossa su iniziativa di SIOMMMS, Società Italiana dell’Osteoporosi, del Metabolismo Minerale e delle Malattie dello Scheletro, SIOT, Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia, e SIR, Società Italiana di Reumatologia, con il Patrocinio e con la collaborazione di ANMAR, Associazione Nazionale Malati Reumatici, e di FEDIOS, Federazione Italiana Osteoporosi e Malattie dello Scheletro.
Da lunedì primo ottobre a venerdì 12 sarà attivo il numero verde 800.122.793 per fornire ai cittadini informazioni e numero di telefono relativi alla struttura più vicina cui telefonare per prenotare la visita gratuita
(AGI) - Washington, 29 ott. - Un team di scienziati canadesi della McMaster University di Hamilton ha scoperto la causa del colesterolo alto. Il team ha rilevato che una proteina chiamata 'resistina', secreta dai tessuti adiposi, causa alti livelli di colesterolo 'cattivo' - quello delle lipoproteine a bassa densita' - aumentando il rischio di patologie cardiache. La ricerca presentata al Canadian Cardiovascular Congress dimostra che la resistina aumenta la produzione delle lipoproteine a bassa densita' nelle cellule del fegato umano. La resistina, ritiene lo studio, inoltre degrada i recettori delle lipoproteine a bassa densita' nel fegato. Come conseguenza, il fegato diventa meno capace di eliminare il colesterolo 'cattivo' dall'organismo. La resistina, infatti, accelera l'accumulo di colesterolo nelle arterie, amplificando il pericolo di insorgenza di malattie al cuore. La ricerca coordinata da Shirya Rashid dimostra anche che la resistina impatta negativamente sugli effetti benefici delle statine, il farmaco principale in commercio per la riduzione del colesterolo utilizzato nella prevenzione e nel trattamento dei disturbi cardiovascolari.
Oltre 120 responsabili associativi FIDAS si ritroveranno da venerdì 7 a domenica 9 dicembre a Roma per l'annuale appuntamento con il Corso di formazione. “Il volontariato consapevole: valori e strumenti” è il titolo scelto per questa edizione che si preannuncia ricca di interventi di rappresentanti del Sistema sangue nazionale nonché di indicazioni per una comunicazione sempre più efficace del mondo del dono
Internet, cellulare e videogiochi: queste sembrano essere le dipendenze degli adolescenti di oggi. Come riconoscere i campanelli di allarme? I consigli degli specialisti.
Sanihelp.it - Ore sui social network, cellulare sempre in mano e sfide con gli amici ai videogiochi: questa rappresenta una delle fotografie degli adolescenti di oggi. Abitudini dei nostri ragazzi, spesso vizi. E se fossero dipendenze? La linea che separa la patologia dal semplice svago è molto sottile e viene oltrepassata quando queste attività tolgono la libertà a chi vi si dedica.
I medici di Villa San Benedetto Menni di Albese con Cassano (CO) nel corso di un convegno svoltosi ad Albavilla (CO) si sono occupati delle dipendenze degli adolescenti. L’incontro fa parte del ciclo di convegni organizzati da FORIPSI Onlus attraverso il progetto Fidans.
Come spiega il Professor Giampaolo Perna, direttore scientifico e primario del Dipartimento di Neuroscienze Cliniche di Villa San Benedetto Menni: «Il mestiere del genitore è di per se stesso complesso, ma diventa particolarmente difficile soprattutto durante la fase di crisi rappresentata dall’adolescenza, nella quale i figli propongono una serie di comportamenti impulsivi ed emotivi che i familiari faticano a comprendere. Uno dei problemi maggiori è riconoscere quando tali atteggiamenti siano l’espressione normale dell’instabilità tipica di quell’età oppure il segnale di una psicopatologia nascente».
Dal decimo rapporto nazionale di Eurispes e Telefono Azzurro sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza emerge che il 13-25% dei ragazzi è dipendente da Internet; di questi il 20-30% non riesce a fare a meno dei social network (soprattutto Facebook, Twitter e MySpace). Il cellulare viene usato in maniera patologica dal 27% degli adolescenti, mentre i videogiochi dal 38%. Altre attività che possono essere praticate in maniera compulsiva dai più giovani sono la televisione (circa il 20%), il cibo (18%), lo sport e l’esercizio fisico (8%).
Il cellulare rappresenta un importante fattore di rischio. Secondo il rapporto dell’Istat Infanzia e vita quotidiana, tra il 2000 e il 2011 l’uso del telefonino tra i ragazzi di età compresa tra gli 11 e i 17 anni è passato dal 55,6% al 97,7% (dal 70,4% al 97,7% nella fascia 14-17 anni, dal 35,2% all’86,2% in quella 11-13). I ragazzi usano il cellulare soprattutto per telefonare (93,1%), inviare e ricevere messaggi (83,3%), giocare (50%), cambiare suoneria (48%), usare la rubrica telefonica (47%), ascoltare musica (45%), scattare e ricevere foto (41,7%), fare squilli (38,1%). L’uso del computer è passato dal 34,3% al 63,7% tra il 2000 e il 2011 nella fascia di età che va dai 6 e ai 17 anni. Al computer i ragazzi installano giochi, condividono sui social network, cercano informazioni, guardano e scaricano materiale pornografico.
Un dato importante riguarda anche l’utilizzo dei videogiochi, che tra il 2000 e il 2011 è aumentato significativamente. Il 65,8% degli adolescenti tra gli 11 e i 17 anni si dichiara appassionato; il 57% di questi vi si dedica meno di un’ora al giorno, mentre il 25% da 1 a 3 ore. I giochi preferiti sono quelli di combattimento (38%) seguiti dall’avventura (29%) e dallo sport (21,5%). Oltre il 60% di loro pratica abitualmente questa attività da solo; il 40% si identifica con le storie del videogioco.
Spiega il Dottor Paolo Cavedini, vice-direttore del Dipartimento di Neuroscienze Cliniche di Villa San Benedetto: «La difficoltà maggiore dei genitori è legata alla rapida evoluzione della tecnologia, che mette a disposizione sempre nuovi strumenti di comunicazione spesso poco controllabili (come Facebook, Twitter, Skype e WhatsApp) e attività ludiche complesse quali gli strumenti di gioco multimediale. Ovviamente tutto ciò è inserito in un accesso a internet spesso poco monitorabile e fonte di ansie nei genitori. È importante quindi prestare attenzione ai primi segnali che conducono alla dipendenza: aumento eccessivo della frequenza di utilizzo e della durata di ogni singolo videogioco, crescita del tempo impiegato a controllare il telefono, perdita dell’interesse verso le relazioni vis-à-vis e della capacità di leggere le proprie e altrui emozioni, primi segnali di malessere in relazione alla mancata risposta o all’impossibilità di accedere al computer».
I campanelli d’allarme sono quindi tendenza all’isolamento sociale, apatia, difficoltà scolastiche e/o lavorative accompagnate da assenze frequenti e ingiustificate, perdita degli interessi pregressi, nervosismo e irritabilità, peggioramento delle relazioni familiari, diminuzione del tono dell’umore e dell’interesse nelle attività quotidiane, disturbo del sonno, difficoltà di memoria e concentrazione, sintomi fisici quali mal di testa, dolori al collo e disturbi della vista.
Allergie: pesticidi acqua aumentano quelle alimentari
Allergie: pesticidi acqua aumentano quelle alimentari
12:58 04 DIC 2012
(AGI) - Arlington Heights (Usa), 4 dic. - Se aumentano le allergie alimentari la causa potrebbe essere nei pesticidi contenuti nell'acqua di rubinetto. Un nuovo studio statunitense ha rilevato, infatti, che alcuni prodotti chimici utilizzati per la purificazione dell'acqua del rubinetto di casa possono potenzialmente provocare allergie alimentari. La ricerca e' stata promossa dall'allergologa Elina Jerschow dell'American College of Allergy, Asthma and Immunology (Acaai) e pubblicata sulla rivista 'Annals of Allergy, Asthma and Immunology'. Lo studio ha dimostrato che alti livelli di diclorofenolo - sostanza chimica utilizzata nei pesticidi o per aggiungere cloro all'acqua - rilevati nel corpo umano possono essere associati allo sviluppo di allergie alimentari. "La nostra ricerca mostra che alti livelli di questa sostanza inclusa nei pesticidi possono indebolire le tolleranze alimentari in alcune persone, scatenando le allergie", ha spiegato la Jerschow, "si tratta di un prodotto chimico comunemente contenuto nei pesticidi utilizzati dagli agricoltori, nell'acqua di rubinetto e negli insetticidi domestici". .
12:58 04 DIC 2012
(AGI) - Arlington Heights (Usa), 4 dic. - Se aumentano le allergie alimentari la causa potrebbe essere nei pesticidi contenuti nell'acqua di rubinetto. Un nuovo studio statunitense ha rilevato, infatti, che alcuni prodotti chimici utilizzati per la purificazione dell'acqua del rubinetto di casa possono potenzialmente provocare allergie alimentari. La ricerca e' stata promossa dall'allergologa Elina Jerschow dell'American College of Allergy, Asthma and Immunology (Acaai) e pubblicata sulla rivista 'Annals of Allergy, Asthma and Immunology'. Lo studio ha dimostrato che alti livelli di diclorofenolo - sostanza chimica utilizzata nei pesticidi o per aggiungere cloro all'acqua - rilevati nel corpo umano possono essere associati allo sviluppo di allergie alimentari. "La nostra ricerca mostra che alti livelli di questa sostanza inclusa nei pesticidi possono indebolire le tolleranze alimentari in alcune persone, scatenando le allergie", ha spiegato la Jerschow, "si tratta di un prodotto chimico comunemente contenuto nei pesticidi utilizzati dagli agricoltori, nell'acqua di rubinetto e negli insetticidi domestici".
Sanihelp.it - Si chiamano blue zones, sono i luoghi al mondo dove si vive di più (Sardegna, Ikaria, Loma Linda, Okinawa, Costa Rica) e hanno 5 caratteristiche fondamentali: non si fuma, la famiglia ha una assoluta priorità, si è attivi forzatamente poiché sono zone scoscese che costringono a camminate dispendiose, si fa una vita sociale importante, e si mangiano prevalentemente frutta, verdura e cereali.
«Ma il resto del mondo non è così e non lo sarà mai - spiega il professor Roberto Bernabei, direttore dei dipartimento di geriatria al Gemelli di Roma e presidente di Italia Longeva (italialongeva.it), il network voluto dal Ministero della Salute, dall’Inrca e dalla Regione Marche - I cittadini giovani di oggi hanno una probabile aspettativa di vita di 100 anni. Solo se i futuri nonni saranno il più possibile in salute e autosufficienti, gli Stati e i sistemi sanitari nazionali riusciranno a garantire un'assistenza utile e ragionevole».
Ma cosa possiamo fare oggi per garantirci una longevità di qualità, che non è un dono, ma una conquista? Ecco lecinque regole di Italia Longeva:
1) Evitiamo da subito tutto ciò che può compromettere la nostra salute di domani. Attenzione massima verso una corretta alimentazione.
2) Fumo, alcol e sostanze stupefacenti hanno effetti devastanti più a lungo termine che a breve: vanno eliminate. L’esercizio fisico è la pillola più efficace. Una camminata a passo veloce con abbondante sudata è il minimo da cui partire che deve entrare nelle nostre abitudini quotidiane. Anche gli affetti, costanti e maturi fanno più longevi.
3) Costruiamoci più possibile una sicurezza economica. Assicurazioni e pensioni integrative saranno sempre più necessarie: è proprio su queste situazioni che i conti degli Stati e dei sistemi sanitari rischiano di saltare. Una sicurezza economica garantisce la salute, la possibilità di acquistare prodotti alimentari di qualità, di iscriversi a una palestra.
4) Anche le nostre abitazioni vanno programmate per il futuro. Servizi domotici come controlli automatici per elettrodomestici, luci, gas, acqua, possono non solo darci maggiore sicurezza ma garantirci un importante risparmio economico.
5) Prepariamoci alla tecnologia che entra nel controllo della nostra salute: maglie che effettuano check-up costanti, elettrodomestici intelligenti, tablet e telefoni palmari saranno fondamentali. Sarà possibile essere sempre in contatto con un centro di riferimento competente o con i figli, ci renderanno autonomi in molte attività domestiche, e ci consentiranno di usufruire di importanti servizi a domicilio quando ne avremo bisogno.
L'Azienda Complesso Ospedaliero SAN FILIPPO NERI è stata riconosciuta come ospedale di rilievo nazionale e di alta specializzazione per le attività svolte, soprattutto nel campo della Neurochirurgia e Neurologia intensiva, Cardiologia e Cardiochirurgia, Pneumologia e Oncologia.
E' sede di Dipartimento di Emergenza ed Accettazione (D.E.A.) di 2° livello. Centro di Riferimento Regionale per l'Oncologia, la Cardiologia,
la Chirurgia Vascolare, e la Neurochirurgia.
E' presente un centro di Nutrizione Clinica ed una Unità Valutativa Alzheimer.
E' attivo il modello organizzativo Dipartimentale.
Malgrado tale status invidiabile, sintetizzato solo per motivi di spazio……………….
ENRICO BONDI, NOMINATO DA MARIO MONTI COMMISSARIO ALLA SANITA’ AL POSTO DELLA DIMISSIONARIA RENATA POLVERINI, HA COMUNICATO LA PROPRIA DECISIONE DI ELIMINARE 180 POSTI LETTO E TOGLIERE LO STATUS DI “AZIENDA COMPLESSO OSPEDALIERO” AL S. FILIPPO NERI.
TALE BRUTALE, OTTUSO ED INACCETABILE PROVVEDIMENTO, OLTRE A PRIVARE UNA VASTA ZONA DI ROMA E DELLA LIMITROFA PROVINCIA DI VITERBO, DI UN IMPORTANTE CENTRO OSPEDALIERO DI FAMA NAZIONALE, PORTERA’, INEVITABILMENTE, ALLA MORTE DELL’AZIENDA, CON LA CONSEGUENTE FORMAZIONE DI LISTE DI MOBILITA’, LICENZIAMENTI PER CENTINAIA DI DIPENDENTI E SOFFERENZA PER NUMEROSE AZIENDE DELL’INDOTTO, NONCHE’ DI ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO, COME EMA-ROMA.
EMA-ROMA E’ NATA NEL 2001 IN QUESTO PRESTIGIOSO OSPEDALE, NEL QUALE HA TUTTORA HA IL VANTO DI AVERE LA PROPRIA SEDE LEGALE E OPERATIVA UBICATA ALL’INTERNO DEL CENTRO DI MEDICINA TRASFUSIONALE SANGUE, DIRETTO DAL PROF. GIACOMO MENICHELLA, SOCIO FONDATORE DELLA NOSTRA ASSOCIAZIONE. IN POCO PIU’ DI 10 ANNI DI ATTIVITA’ INTENSA AD OPERA DEI POCHI VOLONTARI CHE VI DEDICANO GRAN PARTE DEL LORO TEMPO LIBERO, EMA-ROMA HA RECLUTATO BEN OLTRE 9.000 DONATORI DI SANGUE RIVERSANDO NEI CENTRI DI ELABORAZIONE E DISTRIBUZIONE MIGLIAIA DI LITRI DI SANGUE CHE, DEBITAMENTE FRAMMENTATI ED ELABORATI, RISULTANO INDISPENSABILI IN MOLTEPLICI INTERVENTI CHIRURGICI ED IN NUMEROSE TERAPIE. FATTO DI GRANDE IMPORTANZA, SOPRATTUTTO SE SI CONSIDERA L’ENDEMICA “EMERGENZA SANGUE” CHE, GRAZIE ALL’INDIFFERENZA DELLE ISTITUZIONI DELLA REGIONE E DEL COMUNE, IMPERVERSA NELLA NOSTRA REGIONE ED IN CITTA’ IN MODO PARTICOLARE. OLTRE ALL’APPORTO DI SOSTEGNO ALL’INTERNO DEI TRASFUSIONALI CON I QUALI HA STABILITO UNA “CONVENZIONE DI LAVORO”, EMA-ROMA HA FORMATO, AD OGGI, PIU’ DI 70 GRUPPI DI DONATORI PRESSO CENTRI MILITARI, SCUOLE, UNIVERSITA’, PARROCCHIE, ENTI ED AZIENDE, EFFETTUANDO, NEL 2012, OLTRE 110 USCITE DI RACCOLTE DI SANGUE, CON RISULTATI ECCELLENTI. SE QUESTO SCIAGURATO PROGETTO DOVESSE ANDARE IN PORTO, IN DISPREZZO DELLA CITTADINANZA E DI MIGLIAIA DI DIPENDENTI, ANCHE EMA-ROMA RISCHIEREBBE LA PROPRIA INTEGRITA’ OPERATIVA.
MA POICHE’ MALGRADO TUTTO CONSERVIAMO UN GRANDE OTTIMISMO, ANCHE A NOME DELLE MIGLIAIA DI PERSONE CHE GRAZIE AL SANGUE TRASFUSO, CONTINUANO A VIVERE, CI AUGURIAMO CHE QUESTO PROGETTO VENGA ANNULLATO E RICORDATO IN FUTURO SOLO COME UN INCUBO REMOTO.
LA REDAZIONE DI EMA-ROMA
Le ultime informazioni purtroppo confermano quanto espresso nel servizio. PREGHIAMO TUTTI COLORO CHE SONO IN ACCORDO CON QUANTO DA NOI DICHIARATO, DI RECARSIPRESSO L'OSPEDALE SAN FILIPPO NERI PER APPORRE UNA FIRMA CONTRO TALE DECISIONE.
Scarpe che riducono il rischio di traumi e «materassini-allenatori» per fare sport divertendosi. In modalità 2.0
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L'esercizio fisico sarà sempre più high tech
Scarpe che riducono il rischio di traumi e «materassini-allenatori» per fare sport divertendosi. In modalità 2.0
MILANO - L'allenamento in palestra con i pesi o il materassino, la corsetta nel parco con un paio di vecchie scarpe da ginnastica qualunque? Roba da museo: lo sport sta diventando sempre più high-tech e a breve avremo a disposizione scarpe da jogging con sensori che ci aiuteranno a migliorare le prestazioni ma anche a non farci male. E per chi non ama correre arriverà il materassino intelligente, anche lui ben provvisto di sensori, per spronarci a non battere la fiacca e indicarci i movimenti da fare.
Il funzionamento delle scarpe 'Runsafer' SCARPE – Sono le novità in arrivo da due progetti, entrambi coordinati da ricercatori europei, che promettono di rendere l'ora di attività fisica quasi roba da fantascienza. Il progetto RUNSAFER, condotto dall'Istituto di Biomeccanica dell'università spagnola di Valencia, è stato finanziato anche dalla Comunità Europea sulla base di un dato: la corsa oggi è uno degli sport più popolari e si stimano almeno 80 milioni di appassionati in Europa, ma il 38 per cento di questi sportivi ha avuto un trauma grande o piccolo correndo, il 37-56 per cento dei runner va incontro a piccoli incidenti ogni anno. Non pochi "effetti collaterali", quindi, così i ricercatori spagnoli hanno pensato di creare una scarpa ipertecnologica che aiuti chi corre a non farsi male e pure a migliorare le prestazioni. Il progetto non ha ancora partorito un oggetto reale, ma procede speditamente e si sono già messi a punto i microsensori che saranno inseriti nella scarpa. Il "cuore" della super-calzatura sarà infatti un sistema microelettronico di misurazione di parametri biomeccanici dell'atleta, dalla frequenza cardiaca al movimento del piede e la tecnica di corsa: questi dati saranno trasmessi wireless a un cellulare dove una specifica applicazione li raccoglierà e informerà il soggetto in tempo reale di come sta correndo, quale sia la sua prestazione, che cosa può fare per evitare traumi e migliorare la performance. Tutti i dati si potranno quindi scaricare su un portale web dove una specie di personal trainer virtuale, mettendo a confronto le prestazioni di ogni corsetta, darà indicazioni personalizzate per l'allenamento e la prevenzione dei traumi. E il training diventerà pure 2.0, perché le proprie informazioni saranno scambiate con altri appassionati ovunque nel mondo, per consigli di ogni genere.
Il materassino 'Hopscotch' MATERASSINO – Vi state stancando solo all'idea di correre con le scarpe che vi fanno da tutor? Potrete allenarvi in palestra con il materassino messo a punto dai ricercatori del Fraunhofer Institute di Monaco, in Germania: un sistema interattivo che, giurano gli ideatori, servirà a far smuovere dalla poltrona pure i più incalliti sedentari. Anche in questo caso ci sono sensori nel materassino, suddivisi in nove aree individuate da lettere e numeri: «Per crearlo ci siamo ispirati al gioco chiamato "campana" e infatti il materassino si chiama "Hopscotch" (campana in inglese, ndr) - spiega Martina Lucht, fra i responsabili del progetto -. Il materassino è connesso a un monitor attraverso un cavo e sul monitor l'"allenatore virtuale" indica che cosa si deve fare: comporre parole saltando sulle lettere, formare numeri e così via». Qualcosa che ricorda i giochi in cui si danza mettendo i piedi su grossi "pulsanti" colorati in una precisa sequenza, insomma. Il "giocatore" deve completare obiettivi man mano più complessi e i sensori sono la bocca della verità: sentono infatti se su questa sorta di "mattonelle" ci si salta davvero su o se invece ci si sta muovendo troppo lentamente, senza bruciare calorie, e in tal caso il monitor richiama all'ordine. «Chi usa il materassino infatti indossa alla cintura un altro piccolo sensore, chiamato ActiSENS, che misura l'attività fisica registrando i movimenti della persona e la loro intensità: non conta solo portare a termine l'obiettivo ma anche come lo si fa, quanto "impegno" fisico ci si mette - specifica Lucht -. Il risultato appare sullo schermo e in questi modo il sistema sprona a muoversi di più e meglio, in maniera divertente. Le possibili applicazioni sono tante: a scuola Hopscotch potrebbe aiutare a far muovere di più i bambini, che oggi talvolta non sono neppure in grado di camminare correttamente all'indietro o stare su una gamba sola da quanto sono poco abituati al movimento; in strutture riabilitative il materassino tecnologico potrebbe motivare i pazienti a muoversi, usandolo in parallelo alla terapia fisica standard». I sedentari cronici sono avvertiti: con materassini high-tech e scarpe-tutor sarà difficile sottrarsi alle fatiche dello sport. Anche se resta un dubbio: forse ci divertiremmo di più senza tutti questi aggeggi tecnologici, se riscoprissimo da soli il piacere dell'attività fisica. Fin da piccoli, magari giocando per davvero a campana, per strada o in cortile come si faceva fino a qualche anno fa.
·Perché è l'unico ospedale pubblico di Roma Nord e non rappresenta gli interessi delle lobbies che condizionano da sempre la sanità romana?
· Perché, nel trattamento dell'infarto del miocardio, è uno dei centri che garantisce tra le più elevate probabilità di sopravvivenza in Italia, come testimonia il programma Programma Nazionale Esiti (PNE) ? (Emodinamica attiva 24 ore su 24, 365 giorni l'anno; 150 angioplastiche coronariche d'urgenza nel 2011)
· Perché la mortalità dei pazienti con ictus è la più bassa della regione, come testimonia il programma "PNE"?
· Perché ha una Cardiochirurgia che nell'ultimo anno ha ridotto la mortalità dei pazienti (3.1%) abbattuto i costi di esercizio del 66%, triplicando il numero di interventi?
· Perché in Neurochirurgia si effettuano oltre 50 interventi al mese nonostante i decreti regionali dal 2010 ad oggi abbiano spostato tutta la patologia politraumatica di questa Area al Policlinico Gemelli? Perché il reparto, di fatto, è centro di riferimento per le neoplasie cerebrali? Perché ha una percentuale di interventi maggiori sul cervello superiore a quella delle mastodontiche strutture esistenti nella Regione Lazio?
· Perché le complicanze della colecistectomia laparoscopica sono le più basse della regione e si rileva anche la più bassa mortalità per emorragia acuta non varicosa, come testimonia il programma "PNE"?
· Perché è una delle pochissime strutture regionali che l'anno scorso ha avuto il coraggio di chiudere un costoso presidio satellite (Valle Fiorita) e riportare l'attività all'interno delle mura ospedaliere (risparmio superiore ai 10 milioni di euro)?
· Perché in ospedale si sta per mettere in funzione la strumentazione di radioterapia più moderna ed efficace della Regione Lazio ? (Con investimenti importanti già affrontati e autorizzazioni all'attivazione già concesse dopo un lungo iter burocratico)
· Perché ha una delle pochissime strutture regionali di Radiologia interventistica sempre attive?
· Perché è la sola struttura pubblica del Centro Sud che fa la brachiterapia dei tumori della prostata?
· Perché l'oncologia attira oltre il 50% dei pazienti da fuori regione?
· Perché il tasso di occupazione dei letti dell'intero ospedale è superiore al 90%? Perché al S.Filippo, in media, il 10% dei pazienti vengono da fuori regione e il 50% fuori dal territorio della ASL di zona?
· Perché, pur con il personale al minimo, si è riusciti a gestire nell'ultimo anno 68 neonati con peso inferiore a 1500 grammi o età inferiore alle 32 settimane?
· Perché i laboratori clinici hanno spuntato, con semplici e oneste gare, i migliori prezzi di acquisto del Lazio su reagenti e diagnostici (circa la metà, dato certificato)?
· Perché è l'ospedale che ha insegnato a tutta Roma come si fa la sorveglianza delle infezioni ospedaliere e l'unico che tiene sotto controllo l'uso degli antibiotici?
No, non ci risponda commissario Bondi. Lei in fondo è un semplice liquidatore con un compito molto limitato e con dati tecnici di scarsa qualità su cui lavorare. Il punto è che i dati di attività del nostro ospedale non sono quelli di una struttura da chiudere, o da "disattivare" come qualcuno dell'Agenzia di Sanità Pubblica (ASP) ha detto. Il San Filippo non è un ospedale marginale – trasformabile in un colpo solo in una residenza per anziani – e, soprattutto, non è un ospedale inefficiente. Chiediamo di poterci confrontare sui dati reali del nostro ospedale e su quelli delle altre strutture del Lazio. Pensiamo di essere competitivi con molti dei "giganti" della sanità regionale, universitaria e non. Non appena sarà noto il contenuto dell'incontro tra il direttore generale del S.Filippo e l'ASP, verrà organizzata una pubblica conferenza stampa in cui direttori e responsabili delle unità cliniche ospedaliere comunicheranno i dati reali e aggiornati di questa struttura, in nome di una trasparenza che dobbiamo prima di tutto ai pazienti e poi a noi stessi.
I professionisti dell'Azienda Ospedaliera San Filippo Neri di Roma
EMA-ROMA condivide i tanti "perché" e ne aggiunge ancora uno, "perché" importante:
· Perché ha un ottimo Centro di Medicina Trasfusionale dotato di strumenti moderni e di personale qualificato, all'interno del quale opera EMA-ROMA, dinamica e combattiva Associazione di Donatori Volontari di Sangue, che coopera con il Trasfusionale per garantire la difficile autonomia di scorte di sangue, evitando l'ulteriore aggravio del bilancio dell'Azienda, conseguente agli acquisti di sacche di sangue all'esterno? (n.d.r.)
Feste e troppo alcol? Gli asparagi disintossicano il fegato
Dal “Sole 24 Ore”
Feste e troppo alcol? Gli asparagi disintossicano il fegato
Troppo alcol durante le feste di Natale? La natura batte i rimedi anti-sbronza di dubbia efficacia presenti sul mercato. Lo conferma uno studio pubblicato sul Journal of Food Science che evidenzia gli effetti depurativi degli asparagi, alleato contro le scorie che assediano il fegato.
I ricercatori sudcoreani guidati da B.Y. Kim della Jeju National University hanno, infatti, studiato da vicino l’azione degli estratti dell’ortaggi di cui sono note le proprietà disintossicanti, che si coniugano con quelle diuretiche, ma anche quelle antinfiammatorie. Un toccasana per l’organo sul quale più di tutti si abbatte il superlavoro del metabolismo durante le festività, il fegato, alle prese con troppi bicchieri di vino, birra e superalcolici. A favorire l’attività di protezione e prevenzione sarebbe l’alto concentrato di sali minerali e amminoacidi che aiutano a ripulire il fegato dalle scorie in eccesso. Lo dimostra un esperimento condotto su cellule umane e animali di fegato “intossicate” dall’alcol che sono state “curate” con estratti bioattivi di foglie e germogli di asparago.
Da sconsigliare, anche perché si sono dimostrati inefficaci anche ai test degli esperti, i rimedi anti-sbronza che si trovano su Internet: pillole e cerotti non hanno nessuna efficacia scientifica e proprio in questi giorni uno dei prodotti, le pillole Etisorb, è stato ritirato dal mercato su ordine del Ministero della Salute.
Amministratori delegati, avvocati e operatori dei media sul podio
10 gennaio, 14:06
Stilata la top ten dei mestieri che attirano persone con disturbi della personalita', al top delle 'professioni da psicopatici' ci sono gli amministratori delegati, seguiti da avvocati e impiegati nei mezzi di comunicazione radio e tv. I giornalisti sono al sesto posto, preceduti dai chirurghi e questi ultimi dai venditori.
A stilare la classifica Kevin Dutton della University of Oxford, che l'ha sviluppata per il suo libro, The Wisdom of Psychopaths: What Saints, Spies, and Serial Killers Can Teach Us About Success. Al settimo posto troviamo le forze dell'ordine, poi gli ecclesiastici, a seguire chef ed impiegati statali. Tra i mestieri associati con tratti meno vicini a quelli di uno psicopatico ci sono invece quelli legati all'assistenza agli altri, per esempio insegnanti, infermieri, terapisti.
L'esperto ha stilato la classifica dei ''mestieri psicopatici'' facendo un'indagine online - 'Great British Psychopath Survey' - cui hanno risposto circa 5500 persone che hanno compilato un questionario per verificare alcuni tratti della loro personalita' e detto quale lavoro facessero.
L'esperto ha incrociato i dati e visto che i tratti della personalita' che di solito sono legati a una diagnosi di psicopatia (ad esempio l'essere senza pieta' e senza paura) si ritrovano piu' spesso nelle persone che fanno certi mestieri. Il che non significa che dobbiamo aver paura del nostro vicino di casa se fa il chirurgo, ma piu' semplicemente che alcuni dei tratti caratteriali che spingono verso certe professioni e verso il successo in dette professioni sono anche caratteristiche che, crescendo in ambienti sbagliati o esposti a traumi e brutte esperienze, possono favorire l'insorgere di un disturbo di personalita'.
Di piccole dimensioni, destinate a crescere nel tempo, localizzate sul tronco, sulle braccia, sulle gambe, sul viso. Sono micro-lesioni che appaiono più bianche rispetto alla pelle che le circonda, con confini spesso sfumati, brutte a vedersi, antiestetiche, ma che non devono spaventare, perché non hanno nulla a che fare con la vitiligine né l'anticipano, assicura Mauro Picardo, direttore di Fisiopatologia Cutanea e Centro di Metabolomica dell'Istituto Dermatologico San Gallicano di Roma.
“Tra le lesioni ipopigmentarie del viso e del tronco ci sono quelle da foto-danneggiamento cronico, cioè lesioni prodotte dalla eccessiva esposizione solare – spiega lo specialista – che in particolare dopo l'estate sono più evidenti, perché le differenze cromatiche sono amplificate ed è più facile notarle, e sono più frequenti soprattutto nei soggetti adulti o anziani che si siano esposti molto al sole negli anni, la presenza di lesioni ipopigmentarie del viso e del tronco”.
Ma anche nelle giovani donne può insorgere un problema simile, ad esempio “possono essere più evidenti lesioni sulle gambe – spiega Picardo - definite depigmentazione a confetti, che non sono correlate alla vitiligine, e che possono aumentare lievemente di numero nel tempo ma in genere non di dimensioni”.
Tenere puliti il naso, le mucose e le alte vie respiratorie è una misura preventiva efficace.
Soprattutto nei bambini, ma anche negli adulti che tendono ad andare incontro a ripetuti episodi di raffreddore durante l’inverno e i cambi di stagione, curare regolarmente l’igiene del naso con lavaggi o aerosol consoluzioni saline è un metodo semplice ed efficace per prevenire sintomi fastidiosi come arrossamento, infiammazione e naso chiuso e per alleviare il disagio quando i virus hanno ormai colpito.
A differenza dei decongestionanti nasali in gocce o in spray, il cui uso è controindicato nei bambini sotto i 12 anni, e ammesso con moderazione, per non più di 3-4 giorni, negli adulti, i lavaggi nasali e l’aerosol con soluzioni saline isotoniche aiutano a liberare il naso senza sensibilizzare le mucose né causare l’antipatico “effetto rebound”, consistente in un’accentuazione dei sintomi del raffreddore (infiammazione nasale e rinorrea) quando se ne interrompe l’impiego.
La soluzione viene dal mare
Al contrario: l’azione riequilibrante dei sali minerali contenuti nelle soluzioni nasali specifiche vendute in farmacia e il loro effetto “umidificante” contribuiscono a migliorare le difese immunitarie locali, offrendo una protezione naturale prolungata.
Le soluzioni saline per lavaggi nasali e aerosol si possono acquistare in farmacia senza bisogno di ricetta medica e sono molto semplici da usare anche nei bambini di pochi mesi, per i quali rappresentano praticamente l’unico rimedio autorizzato contro il raffreddore e in generale contro tutte le condizioni che portano a un’eccessiva produzione di muco.
Nel caso dei lavaggi, per liberare il naso dal muco, è sufficiente mettersi (o porre il bambino) in posizione sdraiata su di un lato e instillare 2-3 gocce di soluzione in ciascuna narice (una per volta), facendo attenzione a non toccare il naso con l’erogatore.
Successivamente, si deve tornare in posizione seduta e soffiare il naso con un certa decisione. Se il bambino è molto piccolo e non ancora in grado di soffiare dal naso in modo efficace, il liquido e il muco nasale in eccesso possono essere asportati aiutandosi un piccolo aspiratore nasale (peretta in gomma morbida), da inserire delicatamente nella narice per 2-3 millimetri.
Questa procedura può essere ripetuta anche più volte al giorno se il raffreddore è molto intenso. La sera prima di coricarsi, i lavaggi nasali (o l’aerosol) con soluzione salina permettono di liberare il naso, facilitando il riposo notturno; al mattino, al risveglio aiutano a eliminare il muco accumulato durante la notte. Nei neonati non ancora svezzati, può essere utile ripetere queste procedure anche prima della poppata per permettere al bambino di succhiare meglio il latte.
Regole per conservarlo bene
Per avvantaggiarsi di tutte le proprietà benefiche delle soluzioni saline, bisogna ricordare di conservarle, una volta aperte, in frigorifero, ben chiuse e in una zona separata dagli alimenti, per un massimo di sette giorni (per non sbagliare basta scrivere la data di apertura sulla confezione).
Se ad aver bisogno dei lavaggi nasali è più di un componente della famiglia, per evitare di trasferire involontariamente i virus del raffreddore da uno all’altro, si deve avere l’accortezza di utilizzare flaconcini di soluzione salina individuali, per esempio scrivendo il nome (o un simbolo distintivo) su ogni confezione.
In alternativa, si può optare per le più pratiche soluzioni in confezione monodose che evitano ogni rischio di contaminazione e si conservano più a lungo.
Giovedì 14 febbraio 2013, in occasione di San Valentino, il Trio Medusa, in collaborazione con le associazioni e federazioni dei donatori volontari di sangue, AVIS, CROCE ROSSA ITALIANA, FIDAS e FRATRES, con l'Azienda Ospedaliera San Camillo Forlanini, invita la popolazione italiana a donare il sangue. Un gesto d'amore verso tutti coloro che necessitano di terapie trasfusionali. Le città coinvolte nella manifestazione saranno: ROMA, MILANO, VERONA, FERRARA, GROSSETO, PERUGIA, BENEVENTO, MATERA e RAGUSA.
Studio Cdc Atlanta, carne pollo contaminata prima causa morti
05 febbraio, 16:53
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(ANSA) - ATLANTA, 5 FEB - A dispetto delle loro indiscusse qualita' nutritive, le verdure sono il pericolo maggiore nel frigo. Lo afferma uno studio dei Centri di controllo per le malattie Cdc di Atlanta, pubblicato da Emerging Infectious Diseases, secondo cui i vegetali a foglia larga sono la prima causa di intossicazione, mentre la carne di pollo contaminata e' prima per le morti. Lo studio si e' basato sui dati raccolti dall'agenzia tra il 1998 e il 2008, periodo con 9,6 mln intossicati e 1.500 morti negli Usa.
Chirurgia: arriva la smartlipo, liposuzione in versione
Chirurgia: arriva la smartlipo, liposuzione in versione "soft"
12:44 13 FEB 2013
(AGI) - Milano, 13 feb. - Niente rischi, zero ematomi e tempi di recupero ridotti. E' la smartlipo, la versione "soft" della liposuzione che in un'ora elimina le piccole localizzazioni di grasso. L'intervento di medicina estetica sta conquistando un posto di primo piano soprattutto in vista della bella stagione, quando si inizia a scoprire il corpo e quindi anche le imperfezioni."La smartlipo, a differenza della liposuzione, non comporta un intervento chirurgico vero e proprio e ha dei tempi di recupero estremamente ridotti", ha spiegato Patrizia Gilardino, chirurgo estetico di Milano, socio Aicpe e Sicpre.
"Si rivela estremamente utile per rimuovere concentrazioni di adipe localizzate, ad esempio su cosce, pancia, ginocchia e anche sul viso, per il doppio mento", ha aggiunto. Quando invece gli accumuli sono eccesivi, ci vuole il bisturi, e quindi la liposuzione. Come precisa Gilardino: "Permette di rimodellare le linee del corpo eliminando le piccole concentrazioni di grasso. Per esempio, la smartlipo e' indicata per eliminare le culotte de cheval, ovvero per togliere quei cuscinetti che si formano tra gluteo e coscia e che sono particolarmente difficili da eliminare, persino con una costante e mirata attivita' fisica. Ma anche, e' utile per ridurre sensibilmente il giro vita e la cosiddetta pancetta che, secondo quanto osservo dal mio studio, tanto da' fastidio ai quarantenni. Si arriva a poter intervenire anche sulle ginocchia e persino nella eliminazione del doppio mento".Il termine "smart" indica un approccio particolarmente agevole per i pazienti. "La smartlipo di ultima generazione e' un'evoluzione della tradizionale laserlipolisi: alla base c'e' sempre la tecnologia laser, ma vengono utilizzate delle micro cannule piu' sottili che comportano anche dei minori traumi e tempi di recupero piu' rapidi, oltre ad una migliore uniformita' dell'intervento", ha aggiunto. Nello specifico, il trattamento prevede l'utilizzo di un laser che cancella i cuscinetti di grasso: l'energia prodotta "scalda" la pelle dall'interno e non solamente colpisce, eliminandolo, il tessuto adiposo in eccesso, ma anche stimola la produzione di collagene, quindi un ringiovanimento generale della cute. Come spiega la dottoressa: "L'intervento si esegue ambulatorialmente in anestesia locale utilizzando una sottilissima fibra ottica che viene introdotta nel cuscinetto adiposo con uno speciale ago. La fibra ottica e' collegata ad un laser che lisa le cellule adipose, che poi vengono riassorbite". Il metodo e' atraumatico e solitamente non si formano lividi ed ecchimosi, che accompagnano invece la liposuzione. Una seduta dura, circa un'ora: il paziente puo' lasciare l'ambulatorio subito dopo e non e' necessario sospendere l'attivita' lavorativa. "Unico accorgimento: tenere in compressione l'area trattata per un paio di settimane dopo il trattamento per armonizzare il risultato", ha raccomandato Gilardino. Il costo del trattamento parte dalle 700 euro .
Londra, arriva il ristorante (per un giorno)dalle «calorie neutrali»
L'INIZIATIVA
Londra, arriva il ristorante (per un giorno)
dalle «calorie neutrali»
Si consumeranno le stesse calorie che si sono mangiate grazie a piccoli esercizi fisici che non compromettano la digestione
MILANO – Entrare al ristorante e uscirne, novanta minuti dopo, senza avere in corpo una caloria in più, pur avendo cenato con un delizioso menu studiato da uno chef famoso. È l'idea – provocatoria, ma educativa – di un ristorante pop-up (ovvero, una esperienza unica che viene montata e smontata in un giorno solo) che aprirà a Londra il prossimo 13 marzo. Zero calorie, un menu cotto a vapore, qualche esercizio di ginnastica prima di sedersi a tavola: secondo gli organizzatori (si tratta di una trovata di marketing per promuovere una linea di cucine) uscire a cena e non far del male alla propria linea è possibile.
IL RISTORANTE – La giornata magica in cui mangiare senza ingrassare è il prossimo 13 marzo. A Londra, vicino al Covent Garden, saranno serviti pasti in 4 fasce orarie diverse, due a pranzo e due a cena. È possibile prenotarsi via mail e l'accesso è gratuito, a esaurimento posti: paga tutto lo sponsor Miele. Unica regola, rispettare il programma del pasto, e promettere che si resterà all'interno per tutto il tempo necessario, ovvero 90 minuti. Una volta entrati, ecco svelato il trucco del pasto a zero calorie. Si inizia infatti con alcuni esercizi di riscaldamento, per stuzzicare il metabolismo. Si passa poi a una normale sessione di lavoro fisico, la cui sequenza di esercizi non è stata svelata. E poi tutti a tavola.
IL PRANZO – La parola d'ordine del pasto è leggerezza. E non potrebbe essere altrimenti, visto lo spazio risicato dedicato all'attività fisica e visto il contenuto calorico di molte pietanze elaborate. Anche se il menu non è noto al pubblico, si sa che lo preparerà lo chef britannico Frederick Forster, star televisiva, chef dell'anno nel 2011 nel suo Paese, tra i più quotati della capitale del Regno Unito. Spetta a lui il compito di calcolare con precisione l'apporto calorico del pasto, oltre che del bilanciare cotture, condimenti, ingredienti usati senza che a farne le spese sia l'equilibrio del gusto. Per aiutarsi, cuocerà le pietanze usando il vapore, la cui cottura esalta gusti, colori, e non intacca gli apporti nutritivi come avviene nel caso di altre tecniche.
UNA TROVATA EDUCATIVA - Ma come è possibile uscire dal ristorante con il conto calorico pari a zero? In effetti, come commenta Andrea Ghiselli, ricercatore dell'INRAN (Istituto Nazionale Ricerca Alimenti e Nutrizione), si può fare: «Sostanzialmente se si affronta un percorso di attività fisica che valga almeno 200-300 kcal, e poi si cucina a vapore senza olio – ricordiamo che un cucchiaio di olio è pari a 90 calorie – senza eccedere nell'aggiunta di carboidrati e proteine, può accadere di tornare a casa a zero calorie». Oppure, ma si tratta pur sempre di ipotesi, è possibile utilizzare gli spaghetti al glucomannano, altamente dietetici, o ancora calcolare le calorie partendo dal metabolismo basale, come ipotizza Ghiselli: «Per i novanta minuti al ristorante il nostro cuore batte, i reni lavorano, il fegato metabolizza e noi spendiamo circa una caloria al minuto, dunque a fine cena ne abbiamo già consumate 90». Ma al di là del conto calorico, lo spunto più interessante di questo progetto è l'abbinamento tra cibo e attività, come spiega il ricercatore: «L'idea è carina ed educativa proprio perché associa alla cena l'esercizio fisico e dunque fa capire che si può anche mangiare (tanto), ma in un certo senso te lo devi meritare».
Prevenzione cardiovascolare: "La Prevenzione in Farmacia" dal 4 al 9 marzo 2013
Per la prevenzione delle malattie cardiovascolari, oltre ad adottare un corretto stile di vita, è necessario tenere sotto osservazione i fattori di rischio controllando i valori che agiscono sulla salute del nostro cuore. Per questo la Siprec, la Società Italiana per la Prevenzione Cardiovascolare presieduta dal Professor Bruno Trimarco, ha promosso la Settimana della Prevenzione: dal 4 al 9 marzo 2013 in oltre 500 farmacie in tutto il territorio nazionale sarà possibile effettuare un controllo gratuito del colesterolo.
L'iniziativa, supportata dall'azienda farmaceutica Rottapharm, intende offrire la possibilità di un dosaggio gratuito di colesterolemia e trigliceridemia al fine di sensibilizzare le persone sull'importanza di tenere sotto controllo questi valori. In quell'occasione verrà consegnato il "diario della salute" Siprec, dove poter annotare nel tempo i valori di peso, pressione, colesterolo e glicemia. I chili di troppo, l'ipertensione e un livello elevato di colesterolemia e zuccheri nel sangue determinano, infatti, un aumento del rischio di sviluppare malattie cardiovascolari.
I dati raccolti attraverso l'iniziativa garantiranno alla Siprec la possibilità di effettuare una valutazione epidemiologica della popolazione. Dopo il controllo sarà possibile, infatti, compilare un questionario sui principali fattori di rischio cardiovascolare.
L'elenco completo delle farmacie che hanno aderito all'iniziativa è consultabile sul sito www.siprec.it.
Per depurare la nostra casa niente «fumi» e le piante giuste
Dal" Corriere della Sera"
INQUINAMENTO INDOOR
Per depurare la nostra casa
niente «fumi» e le piante giuste
Ficus, aloe, giglio sono amici dell'aria domestica. Dannosi acari, sigarette, batteri, polveri sottili e monossido di carbonio
MILANO - Trascorriamo nei luoghi chiusi il 90% del nostro tempo ed è qui che respiriamo la maggioranza degli inquinanti che minacciano la nostra salute. Negli ambienti "indoor", infatti, penetrano e si concentrano le sostanze che ammorbano l'aria esterna, alle quali si aggiunge un variegato esercito di molecole che si sprigiona da oggetti, mobili, dai prodotti chimici usati in casa, da pitture, tessuti e persino dai fornelli. Lo studio Iaiaq, finanziato dalla Ue, ha valutato che in Europa il 3% di tutte le malattie sono determinate dall'inquinamento indoor.
QUALI SONO - «A minacciare la salute sono soprattutto le polveri sottili (PM2,5), i contaminanti biologici come muffe, acari e batteri, il monossido di carbonio e i composti organici volatili (Cov), una classe di molecole di piccole dimensioni che si diffondono nell’aria e penetrano facilmente nei polmoni, raggiungendo, da qui, il sangue» spiega Paolo Carrer, responsabile dell'Unità operativa di Medicina del lavoro all'Ospedale Sacco di Milano, fra gli autori dello studio. L'indagine ha anche stilato la graduatoria dei Paesi in cui gli ambienti sono più salubri. I migliori sono Svezia, Finlandia, Regno Unito e Francia; i peggiori Romania, Bulgaria e Ungheria, mentre l'Italia si colloca a circa metà classifica, dopo Austria, Germania, Grecia, Portogallo, Belgio, Irlanda e Spagna. «Fra le malattie legate all'inquinamento indoor - prosegue Carrer - quelle che più incidono sulla salute degli europei sono, in ordine di importanza, quelle cardiovascolari, l'asma e le allergie, il tumore del polmone, le malattie respiratorie e le intossicazioni da monossido di carbonio».
MIX DI SOSTANZE - E per alcune, il contributo della qualità dell’aria negli ambienti confinati è davvero fondamentale: un rapporto dell'Oms-Europa, pubblicato nel 2011, ha valutato che nel vecchio continente il 12 -15% dei casi di asma può essere attribuito alle muffe e all'umidità che si sviluppano fra le quattro mura. Mentre in anni recenti uno studio del Cnr di Pisa ha calcolato che eliminare l'esposizione ai contaminanti biologici nei primi anni di vita ridurrebbe, fra i bambini di 6-7 anni, la tosse cronica del 9%, l'asma del 7% e le rinocongiuntiviti del 6%. In linea generale, comunque, i danni che un ambiente insalubre provoca all'organismo sono dovuti al mix di sostanze più o meno nocive presenti, più che a un singolo inquinante. E sono strettamente legati anche al tempo che si trascorre al suo interno, alla suscettibilità individuale (i bambini, gli anziani e gli allergici sono più vulnerabili) e ai comportamenti di chi occupa gli ambienti. «Il fumo di sigaretta è la fonte più importante di inquinamento, ma il bruciare incensi e l’accendere candele hanno effetti analoghi» dice Carrer.
LE FONTI - Fra gli inquinanti che più sono influenzati da queste abitudini c'è il benzene, un cancerogeno che nelle case libere dal fumo di sigaretta si attesta solitamente su livelli che comportano rischi bassissimi per gli occupanti, ma che è in media due volte e mezza più abbondante nelle abitazioni dei fumatori. «Altre sorgenti di inquinanti sono il traffico stradale, gli impianti di riscaldamento, le attività che si svolgono in cucina, le infiltrazioni di acqua, i prodotti chimici e gli oggetti di ampio consumo presenti in casa» prosegue l'esperto. Su questi ultimi, indicazioni importanti stanno arrivando dallo studio europeo Ephect, ancora in corso, che ha l'obiettivo di identificare le emissioni di una quindicina di tipi di prodotti e mettere a punto un sistema di etichettatura per indicarle con chiarezza ai consumatori. «Si sta confermando che un contributo importante all'inquinamento indoor arriva dai materiali da costruzione e dagli arredi, dai prodotti per la pulizia della casa e dai deodoranti» afferma Carrer.
NEI MOBILI - Le preoccupazioni riguardano soprattutto i Cov, e fra questi la formaldeide, un gas dall'odore pungente, accusato di favorire i tumori del naso, della laringe e le leucemie. Sebbene normalmente non raggiunga nelle case concentrazioni ritenute cancerogene, la formaldeide è fortemente irritante per le vie respiratorie e le mucose e, miscelandosi ad altri inquinanti, genera composti molto reattivi, che moltiplicano l'effetto. Usata nella fabbricazione di materiali molto comuni, si emana da alcuni mobili in truciolato, dai tappeti e dalle tende, dalle colle, dalle pitture, dalle carte da parati e da certi materiali isolanti. È presente poi nei detergenti per la pulizia della casa e nei lucidi da scarpe, negli smalti per le unghie, negli insetticidi, ed è emessa persino da alcune apparecchiature elettroniche, come computer e fotocopiatrici. Come per il benzene, però, la sorgente principale nelle case di chi fuma restano le sigarette, che sono pure la fonte più importante di un’altra classe di inquinanti che gli esperti tengono d'occhio: gli idrocarburi policiclici aromatici (o Ipa). Negli ambienti frequentati da fumatori, anche l'87% di queste molecole può derivare dalla loro cattiva abitudine, mentre il resto arriva per lo più dall'inquinamento che c'è all'esterno.
CIBI BRUCIATI - Le conseguenze per la salute possono essere importanti: alcuni Ipa, come il benzo(a)pirene, sono infatti cancerogeni. Va tuttavia precisato che l'inalazione è soltanto uno dei modi in cui queste sostanze penetrano nell'organismo. Nei non fumatori, anzi, la via di ingresso principale è rappresentata dai cibi bruciacchiati, come la carne alla griglia e le caldarroste, che proprio per questo gli esperti consigliano di consumare con moderazione. «L'inquinamento indoor è una materia difficile da normare, perché dipende da moltissime sorgenti e perché le leggi dovrebbero intervenire su ciò che ciascuno fa in casa propria - riprende Carrer -. Ma c'è anche un aspetto positivo in tutto ciò. Perché, mentre il nostro potere per migliorare la qualità dell'aria cittadina è piuttosto limitato, possiamo fare moltissimo per rendere più salubri gli ambienti che frequentiamo quotidianamente».
AERARE I LOCALI - Il primo consiglio è ovviamente quello di non fumare in casa. Una volta fatto questo, ulteriori benefici si possono avere aerando spesso i locali per impedire il ristagno di sostanze nocive e limitando le sorgenti inquinanti: ovvero, scegliendo arredi e pitture a basse emissioni e usando con moderazione i prodotti per la pulizia della casa e le altre sostanze chimiche. «La riduzione delle sorgenti è anche il solo modo per fare andare d'accordo il risparmio energetico, che richiede che le case siano ben isolate, e la salubrità degli ambienti» fa notare Carrer. Infine, per controllare muffe e acari, l'umidità non dovrebbe superare il 40-50%. E a ripulire l'aria possono contribuire anche le piante di aloe, clorofito, crisantemo, gerbera, giglio, peperomia, sansevieria e ficus. Purché, però, siano rigogliose.
I livelli di sostanze cancerogene sono più elevati in chi si accende la prima sigaretta entro la prima ora dal risveglio
MILANO - Fumare immediatamente dopo il risveglio aumenta l’esposizione ai carcinogeni presenti nel tabacco. La dimostrazione arriva da uno studio della Penn State University, pubblicato recentemente sulla rivistaCancer, Epidemiology, Biomarkers and Prevention, che ha valutato i dati di circa duemila fumatori americani. I ricercatori hanno analizzato i livelli nelle urine di biomarcatori specifici della presenza di carcinogeni dovuti al tabacco e hanno così scoperto che il tasso di sostanze nocive in chi fuma entro i primi cinque minuti da quando si sveglia è doppio rispetto chi aspetta almeno un’ora. Oltre ad essere un valido indicatore del livello di dipendenza da nicotina, il momento della prima sigaretta appare dunque, secondo gli studiosi, come il secondo indicatore di "nocività" del fumo subito dopo il numero di sigarette fumate nell’arco della giornata. E, come dimostrato da altri studi, accendersi la sigaretta subito dopo il risveglio aumenta anche il rischio di ammalarsi di tumore alla bocca e ai polmoni.
FUMO: 70MILA MORTI ALL’ANNO - L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che ogni anno il fumo uccida ben sei milioni di persone nel mondo, più di 70mila solo in Italia, di cui circa 40mila per neoplasia polmonare, 10mila per altre malattie legate al tabacco e oltre 20mila per malattie cardiovascolari. Secondo un'indagine Doxa in Italia i fumatori sono il 20,8 per cento della popolazione, meno del 2011, e la percentuale più bassa degli ultimi 50 anni. Nonostante la consapevolezza sui danni causati dal tabacco e la crisi economica, il 76,2 per cento di quanti continuano a fumare non ha però cambiato le sue abitudini e non intende smettere. E c'è di più: si sente in buona salute e mette le sigarette al penultimo posto della lista delle spese da tagliare per far fronte alla mancanza di liquidità.
Fondotinta, polveri per le guance, fard, terre, ombretti e matite, infine rossetti e gloss sulle labbra. E' boom del maquillage da spiaggia, diverso dall'invernale perche' formulato appositamente per proteggere dai raggi solari in base al fototipo, nutrire la pelle sotto l' azione disidratante del sole, evitando l'effetto lucido e compensare i danni di raggi a livello cellulare. Promosso perfino dai dermatologi, una volta schierati contro il trucco sotto il solleone perche' ritenuto l'artefice di pelle grassa, brufoli e intolleranze cutanee. Ora l'American Academy of dermatology plaude al maquillage da spiaggia dotato di filtri solari aggiuntivi, includendolo fra le strategie anti-sole piu' efficaci per prevenire i tumori della pelle, insieme alle creme idratanti schermanti e ai prodotti solari classici. ''I nuovi filtri sono uno strumento importante contro il cancro della pelle ed e' importante che ognuno scelga i vari prodotti in base al proprio fototipo da usare al mare o in citta''' afferma Zoe Draelos, docente di dermatologia alla Duke university School of medicine di New York. ''Il nuovo maquillage estivo e' indicato per chi sta al mare e chi resta in citta''' sottolinea Simona Caletti, national trainer e specialista in makeup per la cosmetica Shiseido. ''Protegge, colora, cancella i difetti, attenua le occhiaie sotto gli occhi e idrata la pelle. Non cola neanche durante i bagni al mare e permette comunque di abbronzarsi in modo uniforme, limitando il rischio di allergie'' . Sottolinea l'esperta: ''Il fondotinta e' il principale prodotto, utile soprattutto nei primi periodi della vacanza in cui la pelle e' poco colorita e mostra i difetti. Si puo' scegliere compatto, in polvere o fluido per le pelli grasse, crema o in stick per pelle secca e in base al proprio fototipo.
Il makeup estivo resiste all'acqua come una crema solare. I prodotti non si sciolgono e resistono al caldo secco e umido, ai bagni in acqua, senza sbavare''.
Nuovi i rossetti e i gloss colorati per labbra lucide e brillanti, anche aromatizzati alla frutta tipica estiva, come papaya, mango anguria e melone. ''Sulle labbra sono molto indicati rossetti e stick ad alta protezione ultravioletta che prevengono l'herpes labiale che si accende generalmente sotto i primi raggi di sole estivo'' conclude Caletti.
On line Infocontinua Terzo Settore (www.infocontinuaterzosettore.it), il portale di consulenza giuridica, fiscale e amministrativa dedicato al mondo del volontariato, dell’associazionismo e della cooperazione sociale.
Grazie al complesso lavoro realizzato da CSVnet - Coordinamento Nazionale dei Centri di Servizio per il Volontariato - in collaborazione con il Forum Nazionale del Terzo Settore, Consulta del Volontariato presso il Forum e ConVol - Conferenza Permanente delle Associazioni, Federazioni e reti di Volontariato - le organizzazioni aderenti e le loro articolazioni territoriali hanno a disposizione una serie di informazioni e servizi per essere sempre aggiornate sulle normative del settore, sugli adempimenti e le scadenze amministrative. Il Portale nasce dall’esperienza che la rete dei Centri di Servizio per il Volontariato ha maturato nel corso degli anni con servizi di consulenza ed informazione indirizzati alle Organizzazioni di Volontariato.Oltre alle notizie, di facile lettura e consultazione, saranno disponibili anche approfondimenti e strumenti utili come vademecum, modulistica istituzionale, fac simili e percorsi di accompagnamento su “come fare” per rispettare gli adempimenti normativi del settore non profit. Per informazioni e approfondimenti:www.infocontinuaterzosettore.it
"Give the gitt of life, donate blood". Regala il dono della vita, dona sangue. E' questo lo slogan scelto dall'Organizzazione Mondiale della Sanità per celebrare la Giornata mondiale del Donatore di sangue. Numerose le iniziative in programma per ringraziare tutti i cittadini che permettono le 92 milioni di donazioni che ogni giorno avvengono in tutto il mondo.
Estate: esperti, ecco quali farmaci mettere in valigia
Estate: esperti, ecco quali farmaci mettere in valigia
21 GIU 2013
(AGI) - Roma, 21 giu. - Scatta ufficialmente oggi il primo giorno d'estate ma un caldo soffocante si fa gia' sentire da diverse settimane. Le valige sono pronte dunque per i primi vacanzieri che si accingono a partire per le prossime vacanze estive. Ecco quali farmaci portare in valigia, secondo gli esperti di Assosalute (Associazione nazionale farmaci di automedicazione) per una vacanza senza incidenti:antidolorifici/antinfiammatori e antipiretici; creme e pomate contro le irritazioni della pelle (antistaminici e cortisonici a bassa media potenza); disinfettanti per la gola; farmaci contro la cattiva digestione (antiacidi e pro cinetici); lassativi; melatonina e altri prodotti contro il jet-lag; il kit del pronto soccorso (disinfettanti, garze sterili e cerotti); antidiarroici. Non bisogna poi dimenticarsi, sottolineano gli esperti, di portare con se' i farmaci con ricetta che si assumono abitualmente (ad esempio quelli per la pressione alta, per il cuore, la pillola anticoncezionale, etc.). Quanto alle regole per una corretta conservazione dei farmaci in vacanza: evitare forti sbalzi di temperatura: e' consigliabile non superare i 30°C (meglio mantenersi sui 25°C) per cui e' bene non lasciare i farmaci in macchina sotto il sole: dentro l'auto si raggiungono facilmente temperature molto elevate. Sono dannose anche le temperature troppo basse, per cui ad esempio se si viaggia in aereo e' sempre meglio tenere la valigetta dei farmaci nel bagaglio a mano: nelle stive degli aerei la temperatura scende anche di molti gradi sotto lo zero. Accertarsi sempre delle modalita' di conservazione indicate dai foglietti illustrativi: alcuni farmaci, infatti, prevedono una conservazione in frigorifero.
Prestare attenzione all'umidita': l'umidita', presente per esempio in un bagno non ben aerato, puo' alterare compresse, capsule e cerotti medicati. E' importante ricordarsi di eliminare il batuffolo di cotone che a volte si trova all'interno delle confezioni perche' puo' trattenere l'umidita'. Non sostituire mai la confezione originale: la confezione dei farmaci aiuta a rendere sempre riconoscibile un farmaco; riporta la data di scadenza e conservandola siamo certi di non perdere il foglietto illustrativo, fonte preziosa di informazioni quali le modalita' di assunzione, il corretto dosaggio e gli eventuali effetti indesiderati. Bisogna quindi anche evitare d'inserire farmaci diversi in una sola confezione o mescolarli in uno stesso contenitore per risparmiare spazio in valigia. Conservare i farmaci lontano dalla portata dei bambini: questa e' una regola da seguire sempre, a casa come nel luogo di vacanza. (AGI) .
Orario di lavoro e riposi dei medici: Lorenzin chiede un confronto con Affari europei, Lavoro e Funzione pubblica per l'adeguamento alle norme Ue
Dal “Sole 24 Ore”
IN PARLAMENTO
Orario di lavoro e riposi dei medici: Lorenzin chiede un confronto con Affari europei, Lavoro e Funzione pubblica per l'adeguamento alle norme Ue
giugno 2013
«Ho provveduto a firmare una nota indirizzata al ministro degli Affari europei in cui ho promosso l'esigenza di avviare un rapido confronto anche con il ministero del Lavoro e delle politiche sociali e con il dipartimento della Funzione pubblica per condividere soluzioni volte a rispristinare anche per il personale medico sanitario la validità delle disposizioni sull'orario massimo di lavoro settimanale e sul diritto di riposo di cui la direttiva 2003/88 per garantire piena corrispondenza a quanto sollevato dalla commissione europea». Ha dichiararlo è la ministra della Salute Betarive Lorenzin, rispondendo a un question time alla Camera sulle iniziative per ripristinare la disciplina sul'orario massimo di lavoro settimanale e sul diritto al riposo per il personale medico e sanitario.
La direttiva 2003/88 della comunità europea contiene norme sull'organizzazione dell'orario di lavoro per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori. In attuazione, ha spiegato Lorenzin, in Italia é stato emanato il decreto legislativo dell'8 aprile 2003 n. 66 che nel regolamentare l'articolazione dell'orario di lavoro detta principi in materia di r iposo, ferie, lavoro notturno e straordinario. Ma con la legge 24 dicembre 2007 n. 244 (finanziaria 2008) é stata introdotta una prima deroga per i riposi del personale di area dirigenziale del servizio sanitario nazionale, prevedendo la non applicazione della norma, ma delle disposizioni contrattuali in materia di orari di lavoro, nel rispetto dei principi generali della protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori. Successivamente la legge 133/2008 oltre alla normativa su riposo é stata derogata anche quella relativa sul limite massimo dell'orario di lavoro settimanale.
La commissione europea - ritenendo che la repubblica italiana sia venuta meno agli obblighi imposti dalla direttiva 2003/88 - ha avviato nei confronti del governo italiano una procedura per chiedere chiarimenti sulla mancata applicazione della stessa e nonostante la risposta della Salute, ha emesso il 30 maggio parere motivato per il mancato recepimento dell'ordimanemto giuridico nazionale della direttiva 2033/88.
Pertanto, ha detto Lorenzin, «la stessa commissione invita l'italia - pena il possibile deferimento alla corte di giustizia europea - ad adottare le misure necessarie per conformarsi alla normativa richiamata entro 2 mesi dal recepimento del suddetto parere motivato».
Aperta la consultazione pubblica: nel 2014 il regolamento dell’Agenzia europea dei medicinali (Ema) su pubblicazione e accesso ai dati dei trial clinici
Sulla trasparenza dei dati dei trial clinici, l'Agenzia europea per i medicinali (Ema) ha aperto la consultazione pubblica una bozza di orientamento (draft guidance) che tiene conto della necessità dell'accesso ai dati con quella di proteggere le informazioni personali.
Tre le categorie di accesso individuate dall'Agenzia che separa i dati clinici in:
· dati di accesso aperto (open access) perchè non contengono informazioni personali dei pazienti;
· accesso controllato (contolled access) a dati in base a requisiti del richiedente, tra cui la firma di un accordo di condivisione dei dati.
L'Ema, che ha iniziato le consultazioni sulla pubblicazione dei clinical trial lo scorso novembre, accoglierài commenti sul progetto di linee guida per tre mesi. Entro la fine dell'anno attesa la pubblicazione del regolamento che dovrebbe entrare in vigore all'inizio del 2014.
Secondo Chris Viehbacher, Cief executive officer di Sanofi , che lo scorso lunedì ha assunto la carica di presidente Efpia, Federazione europea delle industrie e delle associazioni farmaceutiche questo regolamento mina la competitività perché informazioni confidenziali su processi produttivi, potrebbero essere di libero accesso ai competitor e frenare gli investimenti da parte delle imprese farmaceutiche in Europa. Critiche anche da PhRma, l’associazione delle aziende biotech americane, mentre Richard Bergstrom, direttore generale di Efpia, ha dichiarato che l'associazione rilascerà la sua posizione in merito alla questione "da un giorno all'altro."
L'Ema dal novembre 2010 ha pubblicato due milioni di pagine di informazioni dettagliate sui farmaci, come parte della sua politica volta a mettere in comune le informazioni di ricerca e di aumentare la trasparenza nel settore. Nel mese di aprile, AbbVie e InterMune hanno ottenuto l’ingiunzione che proibisce all’Agenzia europea rilasciare documenti delle sperimentazioni cliniche delle aziende fino a quando viene data una sentenza definitiva.
Tappe in 41 porti, l'attrice Cucinotta tra sostenitori
04 luglio, 16:21
(ANSA) - ROMA, 4 LUG - Prima edizione del Fidas Coast to Coast, una iniziativa che, con tappe in 41 porti italiani in 14 regioni, vuole incentivare, nella bella stagione, i giovani, a donare il sangue. Partira' da Imperia e da Trieste il 7 luglio, il periplo promosso dalla Federazione italiana Associazione Donatori Sangue. Due barche a vela abbracceranno l'Italia incontrarsi a Reggio Calabria il 27 luglio in occasione della 7/ma edizione della Traversata della Solidarietà. Tra i sostenitori Maria Grazia Cucinotta.
Le infradito: sì per la spiaggia no per lunghe passeggiate in città
Dal “Corriere della Sera”
Le infradito: sì per la spiaggia
no per lunghe passeggiate in città
Possono favorire infiammazioni ai metatarsi o della pianta del piede e aumentano il rischio di distorsioni
MILANO - La scarpa è il vestito del nostro piede. E oltre che bella, deve calzare a pennello, essere comoda e adatta all’uso: semaforo verde, dunque, per il tacco alto per una serata a teatro o in pizzeria, ma non per un’intera giornata in ufficio. Così come le coloratissime infradito possono essere calzate per andare in spiaggia o in piscina, ma non per fare lunghe passeggiate in città. «Queste ciabatte ultraleggere, infatti, non offrono adeguato sostegno e protezione, possono dunque procurare dei traumi al piede e di conseguenza compromettere il nostro benessere» precisa Mauro Montesi, presidente dell’Associazione Italiana Podologi. Eppure, che siano di paglia, cuoio, gomma o plastica, le infradito sono sempre più di moda e per alcuni addirittura irrinunciabili, il vero must della stagione estiva, da mettere ai piedi in qualsiasi occasione. Ma se è di gran lunga meglio indossare le "flip flops" che andare a piedi nudi, per esempio, quando si cammina sul bordo di una piscina, nelle camere d’albergo e negli spogliatoi delle palestre, per evitare verruche plantari o il piede dell’atleta (infezione causata da un fungo che si insinua tra le dita dei piedi), se indossate troppo spesso o per alcune attività ad alta intensità le infradito possono causare una serie di problemi ai nostri piedi. Per esempio, essendo super basse possono favorire infiammazioni ai metatarsi o della pianta del piede e, non sostenendo adeguatamente l’arco plantare e il tallone, aumentano il rischio di distorsioni. «Inoltre - aggiunge Montesi - a lungo andare la fascetta tra il primo e il secondo dito danneggia lo spazio interdigitale, a causa della pressione del piede che, nel fare il passo, procura un trauma meccanico all’intersezione tra le due dita, con il rischio di vesciche e infezioni».
I CONSIGLI DELL’APMA - Se però siete tra coloro che non riescono a rinunciare alle ciabatte infradito, meglio seguire le raccomandazioni dell’Associazione dei Medici Podologi Americani: una serie di consigli per non mettere a repentaglio la salute dei piedi indossando l’infradito sbagliato al momento sbagliato. Innanzitutto, meglio preferire i modelli in pelle o in cuoio, che riducono il rischio di vesciche e altre irritazioni. Al momento dell’acquisto, inoltre, verificare che non siano troppo fragili (piegandole da un capo all’altro, sono da scartare quelle che si piegano completamente a metà) e siano della misura giusta, evitando che il piede esca dai bordi. Inoltre, evitare di indossare lo stesso paio anno dopo anno, se non perfettamente integro. Infine, è sconsigliato metterle ai piedi in previsione di lunghe camminate, lavori in giardino o attività sportive, perché ci rendono più vulnerabili a lesioni, distorsioni e fratture.
LA SCARPA GIUSTA PER OGNI OCCASIONE - «Insomma, buon senso e attenzione alla salute del piede dovrebbero guidarci al momento della scelta della scarpa da indossare, senza mettere al primo posto sempre e comunque l’estetica e il diktat della moda - commenta Montesi -. La scarpa deve essere infatti comoda, non deve procurare stress al piede e deve proteggerlo, perché un piede sano è fondamentale per la nostra salute». «Un uso prolungato del tacco alto, per esempio - ricorda il podologo – compromette una corretta postura, alterando la distribuzione del nostro peso a sfavore dell’avampiede, crea inoltre problemi alla schiena e alla cervicale. Così come l’uso eccessivo di scarpe estremamente basse può causare dolori ai polpacci e tendiniti». Attenzione dunque a scegliere la scarpa giusta per ogni occasione, a seconda delle attività previste nel corso della giornata. «Il tacco ideale non dovrebbe superare i 4-5 centimetri e anche la pianta dovrebbe essere adeguatamente larga, non costringendo le cinque dita dei piedi a entrare in uno spazio che ne può contenere al massimo due. E se per andare al mare, via libera alle infradito, per una giornata in montagna meglio la scarpa chiusa, in modo che il piede poggi correttamente sul terreno accidentato. Ben venga, invece, camminare scalzi sulla sabbia o sul brecciolino, per stimolare le articolazioni del piede e contrastare, nei bambini, la formazione del piede piatto».
Quarantatre indicatori di volume di attività e 76 indicatori di esito, per diverse aree cliniche di assistenza sia ospedaliera che territoriale. I risultati di Prevale sono stati presentati questa mattina dal Presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti e «mostrano una grande eterogeneità degli esiti delle cure, sia per soggetto erogatore che per popolazione», spiega la Pisana. «Quello emerso oggi é un quadro che in parte conoscevamo - ha detto Zingaretti - di convivenza tra strutture di eccellenza e sacche di inefficienza e addirittura rischi per la salute dei cittadini. Non vogliamo stilare la pagella dei buoni e dei cattivi, dei bravi e non, ma finalmente partire dai dati oggettivi di quel che é l'offerta della sanità del Lazio per uscire dal tunnel»
Ecco alcuni indicatori così come sono stati elaborati da Prevale. Intervento chirurgico per frattura di femore entro 48 ore. Nel Lazio, nel 2012 solo un quarto delle fratture di femore negli anziani sono operati entro le 48 ore dall'accesso all'ospedale. La proporzione varia da meno del 5% negli ospedali di Tarquinia, Frosinone, Rieti e Tivoli a più del 50% nell'ospedale di Latina, nella Casa di Cura Città di Aprilia, al Policlinico Gemelli, al Cto, al Fatebenefratelli e al Sant'Eugenio, in cui quasi l'80% delle persone con frattura di femore vengono operate entro le 48 ore dall'accesso all'ospedale. La disomogeneità tra ospedali fa sì che, in termini di popolazione, più di un anziano su due con frattura di femore residente nei "vecchi" municipi XI e XII di Roma venga operato entro 48 ore e meno di uno su dieci tra i residenti nelle Asl di Frosinone, Rieti e Viterbo.
Nel Lazio la proporzione di interventi chirurgici per frattura di femore entro 48 ore è passata dal 10% del 2008 al 24% del 2012. Alcune strutture come il Gemelli, il Cto, il Sant'Eugenio e l'ospedale di Latina sono migliorati in maniera molto sensibile passando da valori inferiori o vicino al 10% a valori superiori al 50%, anche in un solo anno. In alcuni casi, invece, come il Policlinico Umberto I e l'ospedale di Frosinone non si è osservato alcun cambiamento nel tempo, con valori molti bassi, intorno al 10% nel primo caso e del 5% nel secondo. In altri casi si è osservata addirittura una riduzione, come nel S.Andrea e nel Santo Spirito che avevano valori relativamente alti nel 2007 e che ora sono scesi a valori bassi (15% al Sant'Andrea e 22% al Santo Spirito). Parto cesareo. La "Proporzione di parti con taglio cesareo primario" (cioè in donne che non avevano già avuto un parto cesareo in precedenza) è uno degli indicatori di qualità più usati a livello internazionale. L'Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda l'uso del taglio cesareo nel 10-15% dei parti. Allo stato attuale la percentuale di parti cesarei registrata in Italia è la più alta d'Europa (percentuale). Nella Regione Lazio nel 2012 una donna su tre ha un parto cesareo primario: più del 40% al Policlinico Umberto I, all'ospedale S.Pietro Fatebenefratelli, agli ospedali di Alatri, Rieti, Monterotondo e Colleferro e alla casa di cura accreditata Villa Pia e meno del 20% negli ospedali C. Cristo Re, S.Eugenio di Roma, S. Maria Goretti di Latina e Belcolle di Viterbo.
Questa disomogeneità di qualità dell'offerta tra ospedali fa sì che in termini di popolazione, quasi una donna su due residente nel comune di Rieti abbia un parto cesareo primario e solo una su cinque nei comuni di Latina e Viterbo. Sulla proporzione di parti cesarei primari non ci sono variazioni di rilievo tra 2007 e 2012. Interventi di colecistectomia laparoscopica con degenza inferiore ai 3 giorni. Nel Lazio nel 2012 il 57% dei pazienti sottoposti ad intervento di colecistectomia laparoscopica rimane in ospedale meno di 3 giorni dopo l'intervento con una variabilità che va da più dell'80% al Policlinico Casilino, all'ospedale di Fondi, di Rieti, al Campus Biomedico, al San Carlo di Nancy e alla Casa di Cura Madonna delle Grazie a meno del 30% al San Filippo Neri, all'ospedale di Frascati e Viterbo, al Cto, ad Albano e Palestrina. Ospedalizzazione per broncopneumopatia cronica ostruttiva in regime ordinario in pazienti con Bpco. L'indicatore "Ospedalizzazione per broncopneumopatia cronico ostruttiva in regime ordinario in pazienti con diagnosi di Bpco" valuta la qualità dell'assistenza territoriale misurando il numero di ospedalizzazioni potenzialmente evitabili con una corretta gestione del paziente affetto da Bpco. L'indicatore non misura la qualità dell'assistenza ospedaliera, ma la capacità dell'assistenza territoriale di gestire adeguatamente la Bpco evitando l'evoluzione verso livelli di gravità maggiori e la conseguente necessità di ricorrere alle ospedalizzazioni per riacutizzazioni, insufficienza respiratoria e, nei casi più gravi, alla chirurgia polmonare
Nel Lazio nel 2012 il 13.1‰ dei pazienti affetti da Bpco è stato ricoverato per una riacutizzazione della patologia. I tassi di ospedalizzazione variano da meno del 10‰ nel vecchio Municipio XIII e nei comuni e province di Latina e Viterbo a più del 16‰ nei vecchi Municipi I, VII, XV, XVI, XVIII e nel comune e nella provincia di Rieti. Interventi di angioplastica coronarica. Prevale contiene un'analisi approfondita sull'offerta e l'appropriatezza degli interventi di angioplastica coronarica. L'intervento ha un importante effetto protettivo sulla salute sia a breve che a lungo termine, se effettuato tempestivamente su specifiche tipologie di infarti acuti del miocardio, ma se effettuato non in infarto è ad alto rischio di appropriatezza. La proporzione di angioplastica effettuata entro 90 minuti dal primo accesso a un ospedale del Lazio in specifiche tipologie d'infarto è un buon indicatore della tempestività di cura e nel Lazio è solo del 21%, ma è superiore al 35% per i pazienti che accedono al San Filippo Neri, al Sant'Andrea, a Tor Vergata, al Santo Spirito e all'ospedale Vannini. E' invece inferiore al 20% al San Camillo, al S.Eugenio. E' poi inferiore al 10% in alcuni ospedali della provincia, Anzio, Civitavecchia, Tivoli, Frosinone, Formia Albano Laziale, Cassino e la Casa di Cura S.Anna di Pomezia.
Dal punto di vista di popolazione, questa disomogeneità di offerta delle strutture del Lazio si traduce in una iperofferta di interventi ad alto rischio di inappropriatezza in alcuni sottogruppi di popolazione residenti nelle aree di Roma dove sono presenti la maggior parte delle strutture che effettuano angioplastica ed una offerta insufficiente dell'intervento più appropriato che è l'angioplastica primaria in alcuni gruppi di popolazione. A questo proposito dagli stessi dati del Lazio si evidenzia che, a parità di condizioni cliniche, la probabilità di avere un angioplastica primaria diminuisce progressivamente al diminuire del livello di istruzione; il 45% delle persone con infarto laureate riceve un angioplastica coronarica entro i 90 minuti rispetto al 25% delle persone che hanno concluso la scuola dell'obbligo, e al 10% di quelle senza titolo di studio. Mortalità a 30 giorni dopo intervento chirurgico di bypass aortocoronarico. La mortalità a 30 giorni dopo intervento di bypass aortocoronarico è un indicatore molto valido per la valutazione delle qualità di questo intervento di cardiochirurgia. Nel Lazio, per il periodo 2011-2012, a fronte di una mortalità media del 2.6%, sovrapponibile con il valore nazionale, il San Camillo si conferma come l'ospedale con la più bassa mortalità, 0.3% e il San Filippo Neri quello con la più alta mortalità, 4.7%.
Approvato il provvedimento che interviene in materia di sperimentazione clinica, riordino delle professioni sanitarie e norme per corretti stili di vita
Via libera del Consiglio dei ministri al disegno di legge proposto dal ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, contenente “Disposizioni in materia di sperimentazione clinica dei medicinali, di riordino delle professioni sanitarie e formazione medico specialistica, di sicurezza alimentare, di benessere animale, nonché norme per corretti stili di vita”.
Molteplici i temi toccati dal testo, il quale rivede, integra e innova molte proposte normative già presenti nel decreto Omnibus nella scorsa legislatura e che non hanno mai portato a termine il loro iter in Parlamento. Presenti anche questioni che non avevano trovato posto nel decreto Balduzzi.
Fra i principali punti del Ddl Lorenzin, il divieto di fumo nelle scuole (relativo alle sigarette tradizionali e alle elettroniche), anche all’aperto, esteso, dunque, ai cortili e a tutte le aree di pertinenza degli edifici scolastici.
Parto indolore, inoltre, per tutte le donne: il Ddl inserisce nei Livelli essenziali di assistenza (Lea) la possibilità di ricorrere all’anestesia epidurale.
Grande attenzione è rivolta alla norma per le professioni sanitarie e la riforma degli Ordini, con una passaggio dettagliato su Albi e Collegi.
“Per rendere l’Italia più competitiva a livello internazionale nel campo della ricerca biomedica” , il Ddl contiene la “riforma della Sperimentazione clinica”, ossia una revisione e razionalizzazione delle norme che, a tal riguardo, si sono stratificate nel tempo.
È previsto, inoltre, un inasprimento delle pene relative all’abusivismo medico - “una vergogna”, secondo il ministro – e, oltre alla misura pecuniaria, il sequestro dei beni utilizzati nell’attività illecita dal falso professionista, con relativa reimmissione degli stessi “in un circuito meritevole”.
Nel programma di tutela dei pazienti più fragili si inserisce, invece, l’inasprimento delle pene per maltrattamenti di pazienti ricoverati in strutture sanitarie o presso strutture sociosanitarie residenziali e semiresidenziali: una misura resa ancor più urgente a seguito dei controlli effettuati dai Carabinieri dei Nas nelle strutture per anziani e disabili.
Infine, presenti nel testo anche importanti novità concernenti la sicurezza alimentare e quella veterinaria, volte ad una maggiore sicurezza e trasparenza dei processi produttivi e ad una più alta competitività dei prodotti sui mercati internazionali.
“È un disegno di legge piuttosto complesso”, ha commentato il ministro Lorenzin in conferenza stampa al termine del Cdm. “Nei primi 90 giorni di Governo ho recepito una serie di emergenze e il lavoro fatto dai colleghi che rischiava di rimanere ingolfato”.
“Un decreto ampio e corposo”, secondo il presidente del Consiglio, Enrico Letta, “e che cerca di raccordare molti decreti che pendevano nelle commissioni Salute di Camera e Senato e che il governo offre al Parlamento come strumento di raccordo, su aspetti importanti”. “Un testo che, probabilmente, farà discutere”, ha concluso il Premier.
Sanihelp.it - Le infezioni cutanee, complici il clima caldo-umido e i giochi al parco o in spiaggia, sono tra le cause più comuni che spingono mamme e papà a rivolgersi al pediatra. «In caso di una ferita, un graffio o una puntura d’insetto – osserva la professoressa Susanna Esposito, Direttore della UOC Pediatria 1 Clinica, Fondazione IRCCS Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Università degli Studi di Milano e Presidente della Società Italiana di Infettivologia Pediatrica (SITIP) – i batteri possono trovarvi un facile accesso per insediarsi all’interno e dare l’infezione che successivamente potrà diffondersi in altre zone della cute, anche sana, a causa del grattarsi del bambino».
Innanzitutto, è bene porsi alcune domande: quando è insorta la lesione? Da quanto tempo è presente e come si è modificata? Ci sono sintomi associati, come per esempio febbre, dolore e prurito? Ci sono stati fattori predisponenti, quali l’assunzione di farmaci, l’esposizione alla luce solare, il contatto con allergeni o animali?
Le infezioni cutanee più comuni in età pediatrica sono l'impetigine, le infezioni micotiche, la candida e le verruche. L’impetigine rappresenta circa il 10% di tutti i problemi cutanei pediatrici e, in estate, è favorita dai giochi sulla sabbia. La forma non bollosa, provocata da Staphylococcus aureus e, più raramente dallo Streptococcus beta-emolitico di gruppo A, esordisce sulla cute del volto o delle estremità, spesso in seguito a punture d’insetto, abrasioni, bruciature o infezioni come la varicella; presenta piccole vescicole o pustole che evolvono rapidamente in croste color miele. Tipicamente, tali lesioni non sono dolorose sebbene circondate da una zona di eritema; raramente provocano prurito e, più frequentemente, un aumento dimensionale dei linfonodi.
La forma bollosa, invece, causata da Staphylococcus aureus, è caratterizzata dalla comparsa di bolle flaccide e trasparenti, spesso localizzate nell’area del pannolino o sul volto; le bolle tendono poi, nel tempo, a rompersi.
Nel primo caso, le lesioni scompaiono spontaneamente nell’arco di due settimane, senza lasciare cicatrici; nei casi di forma bollosa, invece, il trattamento può essere topico, con pomate antibiotiche (mupirocina) oppure con un antibiotico per via orale se la zona interessata è molto estesa o quando le creme verrebbero facilmente rimosse, come intorno alla bocca.
I funghi possono diffondersi in molte zone del corpo quali il cuoio capelluto o la cute glabra. Nel primo caso (tinea capitis), la lesione è inizialmente costituita da piccole papule localizzate alla base del follicolo e, successivamente, si forma una placca circolare eritematosa e squamosa, al cui centro il capello diventa fragile e si spezza.
Diventano così evidenti zone prive di capelli (alopecia) e il bambino può lamentare prurito. Nel secondo caso, le infezioni della cute (tinea corporis) si presentano come placche squamose, lievemente sopraelevate ed eritematose, che si diffondono in senso centrifugo lasciando una tipica lesione ad anello. Sia nelle infezioni del cuoio capelluto che in quelle della cute, le lesioni micotiche richiedono il trattamento con un farmaco antifungino e spariscono spontaneamente nel giro di qualche mese.
La candidiasi orale o mughetto colpisce circa il 2-5% dei neonati, che contraggono tale infezione durante il passaggio attraverso il canale del parto. L’infezione si può riscontrare anche in bambini più grandi durante trattamenti antibiotici o immunodepressori. Si presenta con piccole chiazze biancastre distribuite sulla mucosa del cavo orale, in particolare sulla lingua, e la mucosa sottostante è lievemente arrossata. Il trattamento, generalmente, prevede l’utilizzo di sospensioni orali antimicotiche.
Le verruche sono lesioni caratteristiche delle infezioni virali da Papillomavirus e riguardano il 5-10% dei bambini; la loro trasmissione è più frequente in quelli che frequentano piscine o docce pubbliche.
Le verruche comuni (verruca vulgaris) si riscontrano più frequentemente sulle dita, sul dorso delle mani, sul volto, sulle ginocchia e sui gomiti. Si tratta di papule ben circoscritte, con superficie irregolare e rugosa. Le verruche piane (verruca plana) sono caratterizzate da papule lievemente rilevate, di dimensioni generalmente inferiori ai 3 mm e di colore variabile dal rosa al marrone. La distribuzione è simile a quella delle verruche comuni, in alcuni casi però possono essere multiple e distribuirsi lungo una linea di trauma cutaneo, per esempio dal margine dei capelli al cuoio capelluto a causa dell’utilizzo del pettine.
Nel 50% dei casi le verruche scompaiono spontaneamente entro due anni; il mancato trattamento può, però, provocare la diffusione ad altre sedi del corpo. Le verruche sono lesioni che interessano la parte superficiale della cute, quindi non cicatrizzano a meno che vengano trattate in modo aggressivo; generalmente si consiglia l’applicazione di pomate all’acido salicilico, mentre più discusso è l’utilizzo dell’azoto liquido.
«La pelle del bambino è altamente sensibile e più soggetta di quella di un adulto alle infezioni - conclude Susanna Esposito - per questo raccomandiamo ai genitori alcuni accorgimenti preventiviquali l’igiene, perchè una pelle pulita e ben detersa, è anche una pelle ben difesa dai batteri e dai funghi; inoltre, una moderata esposizione al sole, importante nei primi anni di vita perché favorisce la sintesi della vitamina D, non dovrebbe mai avvenire nelle ore più calde né essere troppo prolungata».
FONTE - CONFLITTO DI INTERESSI:
Società italiana di infettivologia pediatrica (SITIP)
Ecco il nuovo Consiglio superiore di sanità: 40 componenti, solo tre donne
Dal “Sole 24 Ore”
Ecco il nuovo Consiglio superiore di sanità: 40 componenti, solo tre donne
9 settembre 2013
Dal 13 settembre si insedierà ufficialmente il nuovo Consiglio superiore di sanità, organo consultivo del ministero della Salute. Il decreto di nomina dei componenti, che resteranno in carica per tre anni, è stato firmato dalla ministra Beatrice Lorenzin. «Mi sono basata - dice - su requisiti di altissima professionalità e sulle competenze maturate nelle diverse discipline di interesse per la sanità pubblica italiana».
I membri non di diritto sono scesi da 47 a 40, in applicazione del Dpr 44/2013 sul riordino degli organi collegiali operanti presso la Salute. Diciassette le conferme, tra cui Andrea Lenzi, Walter Ricciardi, Silvio Garattini, l'attuale presidente Enrico Garaci, Alberto Zangrillo e Roberto Iadicicco, ex Aifa e ora direttore dell'agenzia giornalistica Agi. Ventitré i nuovi ingressi: spiccano i nomi dell'ex sottosegretario alla Salute Adelfio Elio Cardinale, del genetista Giuseppe Novelli, del presidente della Lega Tumori Francesco Schittulli, e del neuropsichiatra infantile Gabriel Levi. Pochissime le donne, appena tre: Maria Cristina Messa, Eleonora Porcu (confermata) e Anna Teresa Palamara.
Ecco la lista dei componenti in ordine alfabetico:
BANDERALI GIUSEPPE (Docente presso la Scuola di specializzazione in Pediatria dell'Università degli Studi di Milano
BELLANTONE ROCCO (Professore Ordinario di Chirurgia generale presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma; Preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma)
BERNABEI ROBERTO (Professore Ordinario di Medicina interna presso l' Università Cattolica "Sacro Cuore" di Roma; Direttore del Dipartimento di Scienze Gerontologiche, Geriatriche e Fisiatriche, del Policlinico "A. Gemelli" di Roma)
BOVE FRANCESCO (Docente di Anatomia Umana e Clinica dell'Apparato Muscolo-Osteoarticolare presso la Sapienza -Università di Roma)
BRAMANTI PLACIDO (Professore Ordinario di Scienze Tecniche Mediche Applicate presso il Dipartimento di Scienze Biomediche e delle Immagini Morfologiche e Funzionali dell'Università degli Studi di Messina)
CANDIANI MASSIMO (Professore Associato di Ostetricia e Ginecologia presso Università Vita-Salute San Raffaele di Milano; Docente Coordinatore del Corso di Laurea in Ostetricia e Ginecologia) CARDINALE ADELFIO ELIO (Professore emerito di Radiologia)
CASTAGNARO MASSIMO (Professore Ordinario di Patologia generale Veterinaria e di Anatomia Patologica Veterinaria presso l'Università degli Studi di Padova)
CHIARELLO LUIGI (Professore Ordinario di Cardiochirurgia presso l'Università degli Studi di Roma Tor Vergata; Direttore della Cattedra di Cardiochirurgia e Scuola di Specializzazione in Cardiochirurgia, Università di Roma – Tor Vergata; Presidente Corso di Laurea in tecniche della Fisiopatologia Cardiocircolatoria e perfusione cardiovascolare, Università di Roma – Tor Vergata)
DALLAPICCOLA BRUNO (Direttore scientifico dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù – IRCSS)
FINI MASSIMO (Direttore Scientifico dell'IRCCS San Raffaele Pisana di Roma)
GARACI ENRICO (Professore di Microbiologia presso l'Università degli Studi di Roma Tor Vergata)
GARATTINI SILVIO (Direttore dell'Istituto di Ricerche Farmacologiche "Mario Negri" di Milano)
GENSINI GIANFRANCO (Professore Ordinario di Medicina Interna presso l'Università degli Studi di Firenze; Preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università degli Studi di Firenze)
IADICICCO ROBERTO (Giornalista professionista; Direttore Agenzia Giornalistica Italia)
LENZI ANDREA (Professore Ordinario di Endocrinologia presso la Sapienza - Università di Roma; Presidente del Consiglio Universitario Nazionale (CUN))
LEVI GABRIEL (Professore Ordinario di Neuropsichiatria infantile presso la Sapienza Università di Roma)
MAIRA GIULIO (Professore Ordinario di Neurochirurgia presso l'Università "Cattolica del Sacro Cuore" Roma)
MARCHIONNI MAURO (Professore Emerito di Ostetricia e Ginecologia)
PROF.SSA MESSA MARIA CRISTINA (Professore Ordinario di Diagnostica per Immagini presso l'Università "Bicocca" di Milano
MUTO GIOVANNI (Direttore S.C. Urologia ASL TO2 -Ospedale San Giovanni Bosco di Torino)
MUZZIO PIER CARLO (Direttore Generale dell'IRCCS - Istituto Oncologico Veneto)
NOVELLI GIUSEPPE (Professore Ordinario di Genetica Medica presso l'Università Tor Vergata di Roma; Preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università di Roma "Tor Vergata"; Direttore della Scuola di Specializzazione in Genetica Medica dell'Università di Roma "Tor Vergata" e delle Scuole Aggregate Sapienza, Chieti e Bari)
PALAMARA ANNA TERESA (Professore Ordinario di Microbiologia presso la "Sapienza" Università di Roma)
PAOLISSO GIUSEPPE (Professore Ordinario Medicina Interna e Geriatria presso la II Università degli Studi di Napoli; Preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia della II Università degli Studi di Napoli)
PERRICONE CORRADO (Docente di Immunologia presso la Scuola di Specializzazione Biochimica Clinica della Università Federico II di Napoli)
PIGOZZI FABIO (Professore Ordinario Medicina Interna presso Università degli Studi di Roma "Foro Italico"; Docente presso le Scuole di Specializzazione in Medicina dello Sport delle Università di Roma "Tor Vergata" e de L'Aquila; Pro Rettore Vicario dell'Università degli Studi di Roma "Foro Italico")
PORCU ELEONORA (Docente di Fisiopatologia della Riproduzione Umana presso il Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche dell'Università degli Studi di Bologna –corso di Laurea in Medicina e chirurgia)
PROSDOCIMO GIOVANNI (Direttore UOC di Oculistica presso l'Ospedale De Gironcoli – ULSS 7 Veneto)
REDLER ADRIANO (Professore Ordinario di Chirurgia Generale presso La Sapienza -Università di Roma; Preside della Facoltà di Medicina e di Odontoiatria de La Sapienza, Università di Roma; Direttore della Scuola di Specializzazione in Chirurgia Vascolare I de La Sapienza, Università di Roma; Presidente del Corso di Laurea in Infermieristica sede di Bracciano de La Sapienza, Università di Roma)
RICCIARDI GUALTIERO WALTER (Professore Ordinario di Igiene presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma; Direttore Istituto di Igiene e della Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma)
ROMEO FRANCESCO (Professore Ordinario di Cardiologia presso l'Università degli Studi di Roma Tor Vergata; Direttore della Scuola di Specializzazione di Cardiologia dell'Università degli Studi di Roma Tor Vergata)
ROSSI FRANCESCO (Professore Ordinario di Farmacologia presso la II Università degli Studi di Napoli;Rettore della II Università degli Studi di Napoli)
SANTORO EUGENIO (Libero Docente di Patologia Clinica presso La Sapienza Università di Roma; Direttore Scientifico del Centro Trapianti Multiorgano – Azienda Ospedaliera Ospedale San Camillo-Forlanini di Roma)
SCAMBIA GIOVANNI (Professore Ordinario di Ginecologia e Ostetricia presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma)
SCHITTULLI FRANCESCO (Presidente della Lega italiana per la lotta contro i tumori (LILT))
SEGRETO GIUSEPPE (Medico di Medicina Generale)
SIMONETTI GIOVANNI (Professore Ordinario di Radiologia e Direttore della Cattedra di Radiologia presso l'Università degli Studi di Roma Tor Vergata; Direttore del Dipartimento Diagnostica per Immagini e Radiologia Interventistica Policlinico Universitario Tor Vergata)
STIRPE MARIO (Presidente IRCCS "Fondazione G.B. Bietti" Roma per lo studio e la ricerca in Oftalmologia - Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico)
ZANGRILLO ALBERTO (Docente presso la Scuola di Specializzazione in Anestesia e Rianimazione dell'Università Vita e Salute San Raffaele di Milano;Direttore dell'UO di Anestesia e Rianimazione Cardio-Toraco-Vascolare presso l'Istituto Scientifico Universitario San Raffaele di Milano)
Vaccinazione contro influenza protegge cuore, meno infarti
Vaccinazione contro influenza protegge cuore, meno infarti
Soprattutto fra vaccinati che l'anno prima hanno avuto crisi cardiaca
23 ottobre,
La vaccinazione antinfluenzale non solo protegge dal virus stagionale ma diminuisce anche i rischi di attacco cardiaco, in qualche caso dimezzandoli. Lo afferma uno studio dell'università di Toronto pubblicato dalla rivista Jama, che fa il punto su tutta la ricerca recente in quest'area.
Per il nuovo studio sono stati utilizzati i risultati di sei ricerche per un totale di quasi 7mila pazienti, fatte su persone che avevano ricevuto il vaccino confrontate con altre che non lo avevano ricevuto.
In assoluto, il 3% di chi si era vaccinato ha avuto un attacco di cuore o un ictus entro un anno, mentre nel gruppo di controllo la percentuale è risultata del 5%. L'effetto protettivo risulta ancora maggiore se chi si vaccina ha avuto nell'anno precedente un evento cardiovascolare. In questo caso gli immunizzati ne hanno un altro nel 10% dei casi, mentre in chi aveva ricevuto il placebo il tasso era del 23%.
"E' chiaro che chi ha avuto un attacco cardiaco recente ha la maggior protezione - scrivono gli autori - questo giustifica le raccomandazioni che diamo ai nostri pazienti".
Un nuovo esame sul sangue materno cambia la diagnostica prenatale
Dal “Corriere della Sera”
PUÒ INDIVIDUARE SU FRAMMENTI DEL DNA ALCUNE MALFORMAZIONI
Un nuovo esame sul sangue materno
cambia la diagnostica prenatale
Test del «Dna libero» Molto costoso, si esegue solo in pochi laboratori. Non abolisce gli altri esami, ma costringerà a rivedere le strategie di indagine
Dal primo gennaio di quest’anno circola in Italia, e dal 2011 negli Usa, una nuova offerta per le future mamme: un test, detto delDna libero o del Dna fetale, che promette, con un semplice prelievo di sangue, di prevedere con certezza “quasi assoluta” la sindrome di Down e altre alterazioni cromosomiche del nascituro, senza dover ricorrere a esami invasivi come amniocentesi o villocentesi. Circola su Internet, ma viene anche proposto negli studi medici. Nel mare di proposte diagnostiche, genetiche e non, per non parlare di miracolose staminali, questo esordio è passato abbastanza inosservato.
AFFIDABILITÀ ALTISSIMA - Eppure si tratta di un test che rappresenta una novità clamorosa. Non è ancora l’esame perfetto, capace di scoprire con certezza tutte le possibili alterazioni genetiche che possono provocare malformazioni o malattie nel nascituro, che è da decenni uno degli obbiettivi della ricerca. Ma questa volta ci siamo vicini, tanto vicini da sconvolgere nel prossimo futuro le strategie sanitarie e da porre fin d’ora problemi di ordine medico, etico ed economico. L’esame in questione, che richiede un semplice prelievo di sangue materno, è in grado, ad esempio, di individuare latrisomia 21, cioè l’alterazione cromosomica che comporta la sindrome di Down (1 su 1000 nati) con il 99,5% di probabilità, più di qualsiasi altro test di screening conosciuto, con un’affidabilità vicinissima a quella degli unici esami diagnostici “sicuri”, cioè amniocentesi e villocentesi, ma senza il rischio di aborto che questi esami comportano. Lo stesso vale per le altre due trisomie più comuni, la “18” (sindrome di Edwards, 1 su 6 mila nati) e la “13” (sindrome di Patau, 1 su 10 mila), se pure con un’accuratezza minore, comunque superiore al 90%. I falsi positivi sono, a seconda degli studi, tra lo 0,1 e lo 0,5%.
COSTA CIRCA MILLE EURO - È già in commercio con almeno con almeno 5 brand diversi, a un prezzo elevato, ma che dagli iniziali 1.200 euro è già sceso sotto i 1.000. Da quest’anno anche alcuni laboratori privati italiani dispongono del kit di prelievo: da qui il materiale biologico viene spedito in uno dei sei laboratori al mondo che sono per ora in grado di svolgere questa analisi. «I dati degli studi finora effettuati sono schiaccianti - dice il professor Luigi Fedele, direttore della clinica di ostetricia e ginecologia della Mangiagalli di Milano -. Siamo all’inizio di un cambiamento epocale, soprattutto per l’Italia, dove si registra una percentuale molto alta, più che negli altri Paesi, di amniocentesi e villocentesi. Speriamo di poter offrire a tutte le donne questo test, una volta che sia ufficialmente validato».
FILAMENTI DI DNA - Ma come è nato e come è stato sviluppato questo test? Fin dagli anni ‘90 gli scienziati cercavano di percorrere quella che sembrava la strada più logica: individuare nel sangue materno cellule fetali e cercare di decifrarne il patrimonio genetico. Cellule fetali sono effettivamente presenti nel flusso sanguigno, ma la loro “lettura” si rivelò assai ostica, perché occorreva estrarle, coltivarle e sottoporle a un’analisi genetica. Tali cellule si rivelarono poco adatte a questo processo, perché spesso non erano integre, perché era molto complesso coltivarle e anche perché, si scoprì successivamente, nel sangue di una madre non primipara è possibile trovare le cellule dei figli precedenti. La svolta venne nel ‘97, quando un professore cinese di Hong Kong, Dannis Lo, annunciò in un famoso articolo sulla rivista The Lancet la presenza nel sangue di filamenti di Dna libero, piccoli frammenti circolanti composti da una mescolanza di materiale genetico materno e fetale, certamente prodotti dalla gravidanza in corso. Apparentemente questa “materia prima” sembrava ancora più difficile da decifrare. E invece questa “strada laterale”, come spesso avviene nella scienza, si è rivelata molto più feconda, grazie alle tecniche di sequenziazione ed espansione del materiale genetico e soprattutto alla recente conoscenza della nostra mappa cromosomica.
CROMOSOMI ANOMALI - Si tratta di un processo assai complesso, ma in pratica si procede facendo espandere, cioè moltiplicare, i frammenti di queste piccolissime quantità di Dna che la “libreria” genetica classifica come caratteristici dei un determinato cromosoma. Dopo di che si procede a una valutazione quantitativa. La trisomia 21, responsabile della sindrome di Down, è così chiamata perché accanto ai due cromosomi 21 (i cromosomi sono sempre in coppia) ce n’è un terzo o parte di un terzo. Ecco allora che una quantità anomala di frammenti di cromosoma 21, superiore a uno standard conosciuto, segnala la sindrome di Down. Analogamente si è proceduto per le altre due trisomie, la 18 e la 13. E non solo: la stessa stima può essere effettuata per i cromosomi sessuali, la 24° coppia, che sono chiamati X e Y, per la loro forma: come è noto le femmine hanno una doppia X e i maschi una X e un’ Y. Ovviamente l’assenza di materiale Y definisce il sesso del nascituro, il che non sarebbe una gran scoperta, visto che basta una semplice ecografia per ottenere lo stesso risultato. Quello che è interessante è il fatto che anche i cromosomi sessuali possono essere tre o anche uno solo, alterazioni non così rare come si pensa e che danno origine a diverse sindromi: quella di Klinefelter (XXY), di Jacob (XYY), di Turner (X), e quella detta Triplo (XXX). Anche queste anomalie dunque sono facilmente individuabili con la stessa tecnica. In questo campo si pone però il problema che in molti casi queste sindromi non comportano problemi di salute o mentali (molti se ne accorgono per caso da adulti di avere queste varianti) e si teme quindi un eccesso eugenetico.
TEST DI SCREENING - È stato lo stesso Lo, con la sua équipe di Hong Kong, a sviluppare nell’arco di un decennio le idee e le tecniche che hanno portato alla realizzazione del test. Dopo di che è iniziata la battaglia commerciale, tuttora in corso, che ha portato alla nascita di quattro società californiane e di una cinese che si contendono un mercato che si prospetta molto lucroso. Sul piano più strettamente scientifico, una ricerca multicentrica (NICE) conclusa nel 2011, guidata dall’Università di Stanford (ma finanziata da una delle case produttrici del test), e due studi indipendenti condotti da un centro pubblico inglese guidato dal prestigioso professor Kyprios Nicolaides, hanno portato alla validazione del test da parte di molte società scientifiche, americane e internazionali. Non c’è invece alcuna approvazione da parte dell’FDA o da parte dell’Emea, perché l’esame viene considerato test di screening e non diagnostico. «Ed è giusto che sia così, questo concetto deve essere chiaro - spiega il ginecologo e chirurgo fetale Nicola Persico, della clinica Mangiagalli, che ha lavorato a Londra con lo stesso Nicolaides -. Gli unici esami diagnostici certi sono amniocentesi e villocentesi. Il che significa che se una donna risultasse positiva a uno di questi test, che sono probabilistici, dovrebbe sottoporsi all’esame per confermare la diagnosi. Tutti gli studi comunque sono per ora convincenti: manca, è tuttora in corso, un grande studio su una vasta popolazione di gestanti (non solo quelle considerate a rischio), soprattutto per chiarire la quantità di falsi positivi. Ciò detto non si può negare che siamo di fronte a un grande passo avanti, perché permetterebbe di ridurre drasticamente il numero di amniocentesi».
TEST COMBINATO - Quale impatto potrebbe avere, insomma, il test del Dna fetale sulla diagnosi prenatale in Italia, soprattutto nell’ambito del servizio sanitario? «Il test arriva in un momento di grande confusione. L’Italia ha un record di amniocentesi, in Lombardia viene effettuata nel 19% delle gravidanze, in Italia nel 18%. Essendoci un rischio dell’1% circa di aborto, si perde una quantità inaccettabile di feti sani. La normativa tuttora in vigore, la legge Bindi del 1998, prevede che si possa praticare l’amniocentesi a tutte le donne che lo richiedono dai 35 anni in su. Ma nel frattempo l’età della gravidanza si è innalzata e quindi le amniocentesi sono aumentate. Oggi sappiamo inoltre che quasi la metà delle sindromi di Down si ritrovano in figli di donne sotto i 35 anni. La normativa è quindi del tutto inefficace. Tant’è vero che nel 2010 le linee guida dell’Istituto Superiore di Sanità hanno raccomandato il test “combinato” come screening per tutte le donne, che possano poi eventualmente sottoporsi ad amniocentesi - prosegue Persico -. Il test combinato, che comprende il dosaggio di due ormoni del sangue e un’ecografia per valutare anche la traslucenza nucale è un ottimo test che identifica il 90% dei casi, con una percentuale di falsi positivi del 5%. Già questo esame, adottato come screening in diversi Paesi, a partire dalla Gran Bretagna, potrebbe ridurre a un quarto le attuali amniocentesi. Ma le raccomandazioni dell’Iss sono rimaste tali. Abbiamo linee guida , non obbligatorie, diverse dalla legge, che invece è obbligatoria, e quindi c’è un gran caos, ogni centro, ogni Regione va per conto suo. Solo la Toscana con una legge regionale ha adottato lo screening con il “combinato” per tutte le donne. In Lombardia cerchiamo di proporre il test combinato a più donne possibili, ma dobbiamo chiedere un contributo per coprire i costi».
REFERTI IN INGLESE - Quindi il test fetale, una volta che fosse approvato ufficialmente, potrebbe sostituirlo? «A mio parere sarebbe un errore, perché l’ecografia che viene fatta nel combinato è molto preziosa: se eseguita con competenza può rilevare almeno la metà delle malformazioni e molti problemi del neonato e della gestante che non si vedono con un test genetico. Lo stesso Nicolaides ha proposto uno schema che prevede il test combinato come primo esame di screening per tutte, Dna fetale oltre una certa soglia di rischio molto larga (circa il 25% dei casi) e infine amniocentesi o villocentesi nei casi positivi. In ogni caso bisognerà uscire dall’attuale confusione, in cui prosperano studi privati che garantiscono amniocentesi “sicure” o si eseguono ecografie sbrigative». «Il test combinato è un indicazione perfetta per fare il Dna fetale, che sarebbe più corretto chiamare Dna totale - dice Antonio Farina, medico ricercatore al Sant’Orsola di Bologna dopo aver lavorato negli Usa e uno dei maggiori esperti in materia -. Attualmente come gamma di informazioni il test offre l’80% di quello che può fornire un’amniocentesi e sul restante 20% si sta lavorando. Certo questo esame avrà un grosso impatto, ma per ora sembra destinato a un pubblico medio alto, sia per il costo sia perché serve una certa cultura: basta pensare che i referti arrivano in inglese. Prevedo poi che ci vorrà qualche anno prima che le strutture pubbliche possano organizzarsi, perché bisogna disporre di genetisti e addestrare il personale. In alternativa si potrà ricorrere a convenzioni con strutture private».
EVITARE IL «FAI DA TE» - «Ci sono ancora dei limiti in questo test - conclude Luigi Fedele -, perché non copre tutta la mappa cromosomica e c’è un margine di falsi positivi. È importante poi che questo, come qualsiasi esame prenatale, sia accompagnato da un colloquio, in cui vengano spiegati con chiarezza i limiti e le conseguenze di quello che si sta facendo. Oggi c’è il rischio del “fai da te”, con una consulenza magari via Internet. Questo va assolutamente evitato. Bisogna in ogni caso che la politica sanitaria si faccia carico di questa problematica, visto che siamo di fronte a una delle più importanti scoperte degli ultimi anni». Il nuovo test del Dna fetale è caduto nella realtà italiana come un sasso non proprio in uno stagno, ma in acque già agitate. Sembra a questo punto necessario prendere decisioni che facciano chiarezza per risolvere i vecchi e i nuovi problemi.
Ospedali: nasce "doveecomemicuro" portale trovare quelli "giusti"
30 OTT 2013
(AGI) - Roma, 30 ott. - Nasce il portale per individuare la migliore struttura dove curarsi. Si chiama "doveecomemicuro" ed e' stato presentato a Roma dall'ex ministro della Salute, Ferruccio Fazio con Walter Ricciardi, direttore del dipartimento di Sanita' pubblica dell'Universita' Cattolica-Policlinico A. Gemelli e coordinatore del team di ricerca che in due anni ha raccolto tutte le informazioni riguardanti ospedali, cliniche, presidi sanitari e policlinici universitari del nostro Paese. Il Centro cardiologico Monzino di Milano per l'angioplastica; l'azienda ospedaliera Santa Maria degli Angeli di Sacile, in provincia di Pordenone, per il miglior trattamento dell'infarto miocardico acuto. L'azienda ospedaliero-universitaria di Modena in caso di ictus e la Fondazione Maugeri di Cassano delle Murge (Bari) per il trattamento piu' sicuro della broncopneumopatia cronico ostruttiva. Sono questi alcuni dei migliori ospedali italiani presso i quali recarsi per curarsi. Un progetto nato con l'obiettivo di consentire ai cittadini di individuare la struttura sanitaria piu' adatta alle proprie esigenze e, nei limiti del possibile, piu' vicina alla propria abitazione. Fra i luoghi di cura menzionati, ci sono anche l'ospedale di Magenta a Milano, l'ospedale di Perugia e il San Martino di Genova rispettivamente per gli interventi su tumori al colon, retto e polmone. E ancora, i parti piu' sicuri li garantisce l'ospedale ostetrico Sant'Anna di Torino mentre l'appropriatezza migliore per i parti cesarei si registra all'ospedale Vittorio Emanuele II di Carate Brianza in Lombardia. Il CTO di Milano garantisce la piu' bassa mortalita' a trenta giorni per frattura del femore, ma i tempi d'attesa piu' brevi per l'intervento entro 48 ore si trovano al Rizzoli di Bologna. (AGI) - Roma, 30 ott. - La ricerca sul portale puo' essere effettuata utilizzando diversi criteri: parti del corpo, sono quindici quelle a disposizione; problemi di salute, 28 quelli in elenco; distanza geografica. I risultati daranno l'indicazione delle strutture di riferimento per quella patologia, contrassegnate da semafori(rosso, giallo e verde) che permetteranno di sintetizzare i dati di qualita' delle strutture, dal migliore al peggiore. Una legenda aggiuntiva consentira' agli utenti di orientarsi nella scelta indicando quanto la performance della singola struttura si avvicina agli standard internazionali di qualita' dell'assistenza. Le graduatorie delle strutture sono state stilate, tiene a precisare il coordinatore del progetto Walter Ricciardi, secondo rigorosi criteri scientifici: le aziende sanitarie sono infatti valutate sulla base di un set di 50 indicatori di qualita', selezionati mediante una revisione sistematica delle fonti di dati disponibili (Agenas, Istat, Atlante sanitario Era Web, Osservatorio nazionale per la salute nelle regioni italiane) sulla qualita' assistenziale delle strutture sanitarie Italiane. "L'obiettivo era realizzare un supporto informativo rivolto ai cittadini attraverso un'iniziativa cosiddetta di public reporting - spiega Ricciardi - capace di rafforzare il principio di responsabilita' sociale all'interno del Servizio sanitario nazionale, secondo cui i decisori e le organizzazioni sanitarie devono rispondere delle proprie azioni e performance verso i cittadini, in termini di trasparenza comportamentale, amministrativa, gestionale, strategica ed economica. Tale strumento di pubblicazione dei dati di performance delle strutture sanitarie aumenta il potere decisionale di cittadini e pazienti e consente di migliorare la qualita' dell'assistenza dei servizi sanitari, soprattutto nel contesto ospedaliero. Le evidenze scientifiche dimostrano, infatti - ricorda - che riportare pubblicamente le performance di una certa struttura incoraggia attivita' volte al miglioramento della qualita' delle prestazioni offerte a livello del singolo ospedale". Inoltre, prosegue Ricciardi, "dal 25 ottobre scorso, in virtu' della direttiva europea (2011/24/Ue), ogni cittadino dell'Unione puo' decidere liberamente di ricevere assistenza sanitaria in ciascuno dei Paesi membri. E' chiaro che, per scegliere il luogo dove curarsi, un cittadino deve avere accesso ad informazioni chiare, rigorose e tempestive sulla qualita' dei servizi offerti sia ospedalieri, sia ambulatoriali e domiciliari".
Le farmacie online saranno presto una realtà. Ma solo a patto che dietro al sito internet ci sia un presidio sanitario reale. Nello schema di decreto legislativo per il recepimento della direttiva Ue 2011/62 approvato dal Consiglio dei ministri, è prevista, a determinate condizioni e previa autorizzazione, la possibilità di vendere su internet senza obbligo di ricetta attraverso farmacie o parafarmacie. Mentre rimane vietata quella di medicinali con obbligo di prescrizione medica. I siti internet che vendono farmaci devono contenere un link collegato al portale del Ministero della Salute, il quale a sua volta pubblicherà una lista di tutti gli enti o persone autorizzate alla vendita di farmaci in rete. La presenza di un logo comune renderà tali farmacie online riconoscibili rispetto a quelle illegali.
FARMACI CONTRAFFATTI - Il provvedimento rafforza le misure contro la contraffazione dei medicinali. «Una delle novità più importanti è che il Ministero della Salute ha ora il potere di oscurare i siti che commercializzano illegalmente farmaci con obbligo di prescrizione o in violazione di legge - spiega il ministro Beatrice Lorenzin -, grazie alle segnalazioni che arriveranno dai Nas o dagli altri organi di polizia e dall’Agenzia italiana del farmaco». La vigilanza sui farmaci, prosegue Lorenzin, «è un passo avanti per il cittadino: viene riordinata tutta la normativa non solo per la parte medica ma anche per farmacisti e per i pazienti stessi che possono essere comunicatori di eventi avversi e anche segnalare i farmaci non attivi, cioè quelli che non funzionano».
Dalle dimensioni al tipo di bretelle, dal peso alle modalità giuste per riempirlo: tutto quello che c’è da sapere per evitare ai ragazzi un probabile mal di schiena
di Elena Meli
Colorati, decorati con i personaggi preferiti dei fumetti o dei cartoni, forniti di pupazzetti o ciondoli vari per essere personalizzati. Gli zaini di bambini e ragazzini sono un inno alla fantasia, ma siamo sicuri che siano sempre giusti per la schiena dei nostri figli? Purtroppo no, almeno a giudicare dalle segnalazioni dell’American Orthopaedic Association, secondo cui il 64 per cento delle visite agli adolescenti è dovuto a dolori articolari provocati da un uso scorretto dello zaino; come se non bastasse, diversi studi europei hanno riferito un preoccupante aumento dei casi di mal di schiena fra bambini e ragazzini, tanto che oltre la metà ne soffrirebbe almeno una volta prima dei 15 anni. Così l’Osservatorio nazionale sulla salute dell’infanzia e dell’adolescenza (Paidòss) ha deciso di stilare una serie di regole per aiutare i genitori a scegliere il prodotto giusto fra le mille possibilità offerte dal mercato e usarlo poi nella maniera più corretta.
«Come pediatri, possiamo dare indicazioni più scientifiche e precise di quelle generiche offerte dalle pubblicità, dalla “maniglia che consente una buona presa” alle “dimensioni contenute” - spiega Giuseppe Mele, presidente di Paidòss -. Innanzitutto, lo zaino vuoto deve essere più leggero possibile e deve avere uno schienale imbottito, per proteggere la schiena dagli urti contro libri, quaderni, astucci all’interno. No ai monospalla, servono due bretelle ampie anch’esse imbottite e regolate in modo che la parte superiore dello zaino non si discosti dal dorso più di 10-12 centimetri: in questo modo non si permettono troppi “sobbalzi” e allo stesso tempo non vengono compresse troppo le spalle, per non provocare microtraumi ai nervi del plesso brachiale. Se possibile, meglio comprare uno zaino che abbia una cintura per consentire di ancorarlo alla zona lombare e ridurne ulteriormente oscillazioni e movimenti quando si cammina (con lo zaino addosso sarebbe infatti vietato correre, ndr); inoltre, non bisogna optare per il modello più grande e capiente ma sceglierne uno della misura adatta al bambino, facendoglielo provare prima dell’acquisto: il modello ideale non deve coprire più di tre quarti del dorso e, quando è correttamente indossato, la parte inferiore non deve scendere sotto alla cintura più di quattro, cinque centimetri».
Il peso dei libri
Seguendo queste indicazioni, il peso dello zaino viene distribuito correttamente sulla schiena; l’essenziale è che il bambino non lo indossi portandolo su una sola spalla, perché in tal modo si sbilanciano troppo la colonna vertebrale e le anche. Una volta acquistato il prodotto giusto e capito come deve essere indossato, siamo solo a metà dell’opera: anche lo zaino migliore, se viene riempito all’inverosimile di libri e quaderni, può diventare una zavorra pericolosa. Il peso massimo trasportato non deve superare il 15 per cento del peso del bambino, meglio ancora se non si va oltre il 10 per cento: in soldoni, un alunno si scuola primaria non dovrebbe portarsi appresso più di tre, quattro chili di materiali scolastici. «Superando questi limiti il baricentro si sposta indietro rispetto agli arti e per sorreggerlo il bambino si piega prima indietro con le spalle e quindi in avanti, per controbilanciare la spinta: il risultato è sottoporre a uno sforzo non corretto anche, spalle e colonna vertebrale - osserva Mele -. Particolare cautela occorre con i bambini più piccoli e le bimbe, nei quali è più facile finire per eccedere con il peso. Altrettanta attenzione serve nel riempire lo zaino: i libri più pesanti vanno messi a contatto con lo schienale, quaderni e materiali leggeri verso l’esterno. Così il peso viene scaricato meglio sui muscoli lombari e il baricentro è più corretto. Inoltre, meglio aiutare il bimbo a indossare lo zaino e insegnargli a fare forza su entrambe le ginocchia per sollevarlo, quando deve metterlo da solo». Per non trasformare i figli in tanti piccoli sherpa, molti optano per gli zaini a trolley: è una buona alternativa ai prodotti classici? «Se si sceglie un trolley va sempre portato a traino, a parte nei momenti in cui tocca alzarlo ad esempio per salire su un mezzo pubblico: se si portano a spalla, al peso normale si aggiunge quello del sistema rotelle/manico - risponde il pediatra -. Infine, va ricordato che zaini troppo pesanti, sbilanciati o di dimensioni eccessive possono provocare danni anche perché i bimbi non riescono a controllare il peso che trasportano né a percepirne l’ingombro: salire o scendere una scala può sbilanciarli e farli perfino cadere, trovarsi su un autobus sovraffollato può esporli a urti e strappi che possono indurre lesioni».
Prostata, quanto l’urologo influenza la scelta della terapia
Dal "Corriere della Sera"
Prostata, quanto l’urologo
influenza la scelta della terapia
Sorvegliare o trattare una neoplasia di basso grado negli over 65? E quale terapia fare? L’inclinazione dello specialista «pesa» più delle caratteristiche della malattia
di Vera Martinella
Perché agli uomini con un tumore alla prostata a basso rischio viene proposto soltanto di rado, come invece sarebbe indicato, di partecipare a programmi di «sorveglianza attiva»? Molto dipende dall’urologo, che ha un ruolo centrale nella scelta della terapia, sostengono i ricercatori dell’Anderson Cancer Center (Università del Texas, Stati Uniti) in un nuovo studio pubblicato sulla rivista Jama Internal Medicine. La sorveglianza attiva è una strategia riservata solo a determinate tipologie di malati, quelli con un carcinoma di piccole dimensioni e poco aggressivo, che prevede di tenere sotto controllo la malattia senza intervenire nell’immediato e di rinviare eventuali cure (e relativi effetti collaterali) solo a se e quando la neoplasia evolve.
Sorvegliare la malattia per rinviare gli effetti collaterali delle terapie
«Oggi molti tumori, oltre la metà di quelli diagnosticati ogni anno, appartengono a una categoria di rischio basso o addirittura molto basso e quindi avranno una “storia naturale” molto lunga – spiega Giario Conti, presidente della Società Italiana di Urologia Oncologica -. Questi tumori “indolenti” possono non avere una rilevanza clinica per la vita del paziente (in pratica non incidono sul suo pericolo di morte o sulla sua salute generale) e potrebbero non necessitare di un trattamento invasivo immediato. Se il tipo di neoplasia lo consente, quindi, si dovrebbe proporre al paziente la sorveglianza attiva, ma questo avviene ancora troppo di rado e troppo spesso la strategia suggerita ai malati dipende oggi dal medico che hanno di fronte. La sopravvivenza per questa malattia a 5 anni dalla diagnosi – continua l’esperto - supera l’85 per cento e proprio per questo è fondamentale scegliere la soluzione terapeutica che assicuri agli uomini la migliore qualità di vita possibile». Secondo le nuove stime saranno circa 35mila i nuovi casi di carcinoma prostatico diagnosticati nel 2014 in Italia. Fra le opzioni terapeutiche fra cui poter scegliere (a seconda del tipo di tumore) ci sono chirurgia, brachiterapia, radioterapia e ormonoterapia, oltre ai farmaci chemioterapici e a bersaglio molecolare indicati nelle fasi più avanzate.
L’inclinazione dell’urologo conta più del tipo di tumore
«Precedenti ricerche hanno dimostrato che, a parità di tipo di tumore in questione, il tasso di mortalità è simile fra i malati che scelgono la sorveglianza e quelli che optano per un trattamento. Ciononostante è molto frequente che, anche quando non è necessario, gli uomini finiscano per essere curati e debbano poi fronteggiare inutili conseguenze indesiderate della terapia» dice Karen Hoffman, principale autrice dello studio. I ricercatori dell’Anderson Cancer Center hanno analizzato i dati relativi a oltre 12mila uomini, con più di 66 anni, ai quali fra il 2006 e il 2009 è stato diagnosticato un carcinoma prostatico a basso rischio di progressione. E’ emerso che ben l’80 per cento di loro ha ricevuto una terapia e soltanto il 20 per cento è stato tenuto sotto sorveglianza. Inoltre è risultato evidente che nella decisione della strategia intrapresa il peso dell’urologo è molto più importante delle caratteristiche individuali del malato, quali età, livello di Psa e presenza di eventuali altre patologie. «In pratica – spiega Hoffman – è assai probabile che i pazienti finiscano per ricevere la cura che tradizionalmente il loro urologo è solito impiegare, indipendentemente dalle loro caratteristiche personali. Se, di fronte a un carcinoma di basso grado, lo specialista è incline a chirurgia o a radioterapia, ci sono grandi possibilità che questa sia la scelta che verrà fatta. L’inclinazione dell’urologo, insomma, non solo influenza la decisione del malato sul trattare o sorvegliare la neoplasia, ma anche il tipo di terapia stabilita». Per questo, secondo molti specialisti italiani è importante che gli uomini con tumore alla prostata vengano seguiti da un team multidisciplinare : «È fondamentale che gli tutti uomini, davanti a una diagnosi, siano informati su tutte le opzioni a disposizione e possano valutare bene i pro e i contro di ogni scelta: la decisione finale spetta a loro - conclude Conti -. La multidisciplinarietà rappresenta un approccio vincente che vede urologi, oncologi, radioterapisti e psicologi lavorare insieme nell’ottica di una migliore gestione del paziente».
Ricerca: attivita' fisica aiuta bambini a leggere meglio
Ricerca: attivita' fisica aiuta bambini a leggere meglio
11 SET 2014
(AGI) - Roma, 11 set. - Fare sport e, piu' in generale attivita' fisica, aiuta i ragazzi nell'apprendimento. Lo dimostra uno studio finlandese che e' stato pubblicato sulla rivista Plos One. Lo studio mostra che sono proprio gli studenti che hanno una intensa e continua attivita' fisica quelli che hanno i rendimenti scolastici piu' alti. Lo studio dimostra che questo e' particolarmente piu' vero nei primi tre anni di scuola e soprattutto nei ragazzi. Lo studio pubblicato su PLoS ONE e' stata condotta in collaborazione con l'attivita' fisica e nutrizione nei bambini (PANICO) Studio condotto presso l'Universita' della Finlandia orientale e l'Universita' di Jyvaskyla. Lo studio ha messo in relazione tra loro i diversi tipi di attivita' fisica e comportamenti sedentari con la capacita' di lettura e abilita' aritmetiche tra i 186 bambini finlandesi della prima elementare. Livelli piu' elevati di attivita' fisica durante la ricreazione sono stati correlati a migliori competenze nella lettura e la partecipazione a sport organizzati e' legata a punteggi dei test aritmetici piu' elevati. In particolare i ragazzi con livelli piu' elevati di attivita' fisica, e soprattutto quelli che andavano a scuola a piedi e in bicicletta, avevano capacita' di lettura migliori rispetto ai ragazzi meno attivi. Inoltre, i ragazzi che hanno trascorso piu' tempo a fare attivita' di lettura e scrittura durante il loro tempo libero hanno avuto una migliore capacita' di lettura rispetto ai ragazzi che passavano meno tempo a fare queste attivita'. Mentre quelli che dedicavano piu' tempo al computer e ai video game, avevano risultati migliori in aritmetica.
I batteri «buoni» promettono molti benefici all’organismo: alcuni accertati, altri da dimostrare. Questi microrganismi non sono tutti uguali, e gli equivoci non mancano
di Elena Meli
Provate a digitare la parola “probiotici” in un motore di ricerca per le pubblicazioni scientifiche. In pochi secondi sarete sommersi da una valanga di oltre 11mila studi che spaziano fra gli argomenti più vari e soprattutto, a prima vista, dipingono i batteri “buoni” dell’intestino come una sorta di panacea per tutti i mali: sarebbero in grado di prevenire malattie come obesità, allergie, asma, dermatiti, aiutare contro l’ipertensione, migliorare la sopravvivenza dopo trapianti, perfino “dialogare” con il nostro cervello per spingerci a scegliere i cibi più adatti perché loro stessi possano proliferare. Un vero e proprio mondo a parte con cui conviviamo, che ha prerogative tali da far ipotizzare utilizzi ben più vasti della classica fialetta di “fermenti lattici” per ristabilirsi dopo una diarrea. Così la fantasia si è sbizzarrita e già oggi i probiotici si trovano un po’ ovunque, perfino nei cosmetici.
Ma quali benefici possono dare davvero, qual è il modo più corretto e sensato di usarli, come si scelgono? Per rispondere a queste domande la prossima settimana, durante il Forum Internazionale dell’Osservatorio Nazionale sulla salute dell’infanzia e dell’adolescenza Paidòss a Napoli, un’intera giornata sarà dedicata a discutere quel che sappiamo a oggi sui batteri buoni e le loro caratteristiche. «Fare chiarezza è indispensabile perché, a fronte di centinaia di probiotici, sono pochi i batteri sui quali abbiamo certezze e indicazioni precise per l’uso clinico - osserva Giuseppe Mele, presidente Paidòss -. Molti credono che basti la parola “probiotico” ad attestare la bontà di un integratore o di un qualsiasi altro prodotto, ma la faccenda non è così semplice: le conoscenze di medici e consumatori devono migliorare perché possano essere fatte scelte consapevoli e mirate». Gli equivoci, infatti, non mancano, tanto che un documento pubblicato in estate su Nature Reviews ha fatto notare come sul mercato si possano trovare pure prodotti pubblicizzati facendo un uso “disinvolto” del termine probiotico, che invece ha un significato molto preciso. Come recita la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, si tratta di “un organismo vivente che, somministrato in adeguata quantità, comporta un beneficio all’ospite”.
Il documento pubblicato su Nature Reviews, nel richiamare alla necessità di criteri più stringenti perché un prodotto possa affermare di contenere probiotici, prende peraltro a esempio la normativa italiana sull’argomento, una delle più rigorose. Il Ministero della Salute ha infatti emanato linee guida in cui si specifica che la parola “probiotico” può essere usata sull’etichetta di integratori e alimenti solo se i batteri appartengono a ceppi usati tradizionalmente per integrare la microflora intestinale e sono caratterizzati geneticamente, se sono attivi nell’intestino e presenti in quantità tale da moltiplicarsi, se ne sono dimostrati sia la sicurezza per l’uso umano, sia i benefici ottenibili. Necessario anche indicare i ceppi batterici presenti, oltre alla quantità di cellule vive per ciascuno di essi. «Questo perché i probiotici non sono tutti uguali - spiega Lorenzo Morelli, docente di biologia dei microrganismi all’Università Cattolica di Piacenza e coautore del documento apparso su Nature -. L’attività biologica dipende dal ceppo di appartenenza: ceppi simili possono avere azioni opposte o assai diverse. Ciò implica che prendere un probiotico “perché tanto non fa male” può portare a grosse delusioni. Meglio chiedere consiglio al medico o al farmacista e sapere sempre ciò che si sta assumendo».
«In soggetti con un’alterata permeabilità intestinale, come i prematuri o alcuni pazienti in terapia intensiva, il probiotico “sbagliato” potrebbe perfino provocare infezioni - interviene Salvatore Cucchiara, direttore dell’Unità di gastroenterologia ed epatologia pediatrica del Policlinico Universitario Umberto I di Roma -. Ogni probiotico ha un “punto d’attacco” diverso nell’intestino e azioni differenti da valutare approfonditamente: non basta uno studio per poter dire che un ceppo sia utile, servono prove certe». I ceppi al vaglio dei ricercatori sono tanti, per cui non è facile raccogliere un numero sostanzioso di dati per ciascuno. Quelli per cui ciò è avvenuto sono i più studiati da decenni, come spiega Mele: «Sappiamo, ad esempio, che ilLactobacillus rhamnosus GG è utile per le diarree acute da infezioni, per prevenire la diarrea da antibiotici e quella di chi è ricoverato in ospedale; ilLactobacillus reuteri, invece, serve contro le coliche infantili. Questi ceppi sono stati ben caratterizzati e sappiamo, ad esempio, che il L. rhamnosusresiste agli acidi gastrici e alla bile, aderisce molto bene all’intestino e lo colonizza efficacemente, tanto da poter essere ritrovato nelle feci anche quattro settimane dopo il trattamento; in più migliora la risposta immunitaria: tutte caratteristiche che lo rendono un probiotico “ideale” in caso di alterazioni della flora batterica intestinale».
Posto che conta parecchio quali batteri stiamo introducendo con l’integratore o l’alimento di turno, i ricercatori sottolineano anche l’importanza della “dose”: «Per arrivare a una quantità ragionevolmente utile di probiotici mangiando, ad esempio, un formaggio arricchito, finiremmo per otturarci le arterie di colesterolo» ironizza Cucchiara . «Con meno di un miliardo di batteri vivi è difficile che si possa avere un qualunque effetto, perciò è importante verificare il dosaggio di probiotici nel prodotto che si acquista - sottolinea Morelli -. Detto ciò, non per forza una quantità molto elevata di batteri è meglio. Il loro compito è riprodursi una volta arrivati nell’intestino, per cui è inutile sovraccaricarsi con miliardi e miliardi di microrganismi». «Non esistono neppure prove scientifiche che dimostrino una superiore efficacia delle combinazioni di probiotici rispetto a un ceppo singolo - aggiunge Morelli -. Infine, attenzione ai prodotti che si propongono con una data di scadenza molto lontana, per esempio di anni: è vero che in una situazione ideale e nella forma di preparazione più adatta al ceppo (in polvere o in sospensione, ndr) i probiotici possono sopravvivere a lungo, ma è abbastanza difficile che tali condizioni di temperatura, umidità, luce e così via si mantengano quando il prodotto passa dall’impianto di produzione ai magazzini e poi ancora dalla farmacia a casa nostra».
Lega Filo d'Oro, al via oggi la mostra fotografica con ANSA
Lega Filo d'Oro, al via oggi la mostra fotografica con ANSA
Un percorso nei 50 anni di storia dell'istituto e dell'Italia
25 settembre, 11:49
La Lega del Filo d'Oro, l'Associazione che dal 1964 si occupa in Italia di sordociechi e pluriminorati psicosensoriali, compie 50 anni. E per festeggiare il suo mezzo secolo di attività ha organizzato insieme all'Agenzia ANSA la mostra fotografica "50 anni di storia d'Italia, per filo e per segno". Un percorso fotografico che ripercorre con le immagini degli archivi storici dell'ANSA la storia dell'Associazione e la storia d'Italia dal 1964 ad oggi.
La mostra viene inaugurata oggi a Roma, alle ore 11 presso la Galleria Alberto Sordi, e vedrà la partecipazione del segretario generale della Lega del Filo d'Oro, Rossano Bartoli, del direttore dell'Agenzia ANSA, Luigi Contu e dello showman e storico testimonial dell'Associazione, Renzo Arbore. Il sentiero fotografico (vedi anche il sito web: mostra50.legadelfilodoro.it) condurrà i visitatori in un viaggio in cui le storie di sordociechi ed educatori, attori e registi, campioni e Nobel, famiglie e volontari, politici e santi, soldati e operatori s'intrecciano e mostrano tutte le sfaccettature del nostro Paese: storico, solidale, innovativo, che cade ma si rialza, che esulta e che piange, ma che come la Lega del Filo d'Oro è capace di infondere positività ed ottimismo, consapevole che solo condividendo il valore della solidarietà sarà tutto più facilmente realizzabile.
La mostra, che prenderà il via dalla Capitale seguirà un percorso itinerante e raggiungerà nei prossimi mesi le città di Modena, Milano, Napoli, Bari, Palermo e Osimo, toccando così tutte le regioni dove l'Associazione ha una propria sede. Le date: ROMA Galleria Alberto Sordi 25/28 settembre 2014; MODENA Museo Lapidario Estense 9/12 ottobre 2014; MILANO Rotonda della Besana 23/26 ottobre 2014; NAPOLI Palazzo delle Arti 6/9 novembre 2014; BARI Fortino Sant'Antonio 27/30 novembre 2014; PALERMO Palazzo Branciforte 11/14 dicembre 2014; OSIMO Palazzo Campana 20 dicembre 2014.
Farmaci: Italia scelta come capofila mondiale strategie vaccinali
Farmaci: Italia scelta come capofila mondiale strategie vaccinali
29 SET 2014
(AGI) - Washington, 29 set. - L'Italia guidera' nei prossimi cinque anni le strategie e le campagne vaccinali nel mondo. E' quanto deciso al Global Health Security Agenda (GHSA) che si e' svolto venerdi' scorso alla Casa Bianca. Il nostro Paese, rappresentato dal Ministro della Salute Beatrice Lorenzin, accompagnata dal Presidente dell'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) Sergio Pecorelli, ha ricevuto l'incarico dal Summit di 40 Paesi cui e' intervenuto anche il Presidente USA Barack Obama. "E' un importante riconoscimento scientifico e culturale all'Italia, soprattutto in questo momento in cui stanno crescendo atteggiamenti ostili contro i vaccini - ha dichiarato Pecorelli -. Dobbiamo intensificare le campagne informative in Europa, dove sono in crescita fenomeni anti vaccinazioni. Si tratta di un'operazione che l'Italia intende condurre con il coinvolgimento attivo di tutti gli attori, incluse le Universita'. Per prevenire la diffusione di malattie da tempo eradicate nei paesi occidentali e che, oltre all'impatto drammatico che hanno su decessi e patologie evitabili, impongono costi rilevanti ai sistemi sanitari". "Sul tema della salute dobbiamo rafforzare la cooperazione internazionale - ha affermato Lorenzin -. Il tema dei vaccini sara' una delle priorita' durante il semestre italiano di Presidenza Europea.
Il nostro Paese si trova al centro dell'area mediterranea e le molte crisi internazionali hanno portato a nuovi imponenti flussi migratori. E' necessario rafforzare i controlli nei confronti di malattie endemiche riemergenti come polio, tubercolosi, meningite o morbillo. Se vogliamo evitare il collasso dei sistemi sanitari del Vecchio Continente dobbiamo rafforzare i processi di vaccinazione verso tutte le persone che vivono in Europa. L'Italia, attraverso l'operazione Mare Nostrum, ha svolto oltre 80.000 controlli sanitari negli ultimi mesi. Abbiamo gia' sufficiente esperienza per coordinare campagne di prevenzione contro nuove possibili epidemie". "Ma l'impegno dell'Italia per questa campagna - ha proseguito Pecorelli - a favore della vaccinazioni si realizzera' anche con il coinvolgimento degli atenei, partendo da importanti esperienze gia' maturate con il progetto Salute 10+, promosso da Healthy Foundation in due Regioni, Lombardia e Veneto.
Iniziativa che ora si estendera' in altre 7 Regioni, andando nelle scuole medie a parlare ai ragazzi (e ai docenti) di corretti stili di vita e vaccinazioni. Il progetto sara' presentato il 3 novembre a Roma, nel corso dell'incontro sulle politiche vaccinali promosso da Ministero Salute e AIFA nell'ambito degli eventi del semestre di presidenza italiana".
(AGI) .
Trasfusioni, i dieci anni della legge 219: ancora troppe differenze regionali
Trasfusioni, i dieci anni della legge 219: ancora troppe differenze regionali
Dall’Avis un bilancio sul provvedimento entrato in vigore nel 2005 che ha riconosciuto il ruolo strategico delle associazioni di volontariato. Ogni giorno in Italia circa 8.300 trasfusioni, ma serve più omogeneità sul territorio
Grazie agli oltre 3 milioni di donazioni di sangue che vengono effettuate ogni anno dagli italiani, nel nostro Paese, sono garantite in media oltre 8.300 trasfusioni al giorno. Manca però un coordinamento forte tra le Regioni per assicurare un corretto ‘Governo del Sangue’, oggi in balia di diversità territoriali. E’ quanto emerso dal convegno ‘Una legge che fa buon sangue’, ospitato dalla Camera dei Deputati e promosso dall’Avis (Associazioni volontari italiani sangue). Nel corso dell’incontro è stato stilato un bilancio dei primi 10 anni dall’entrata in vigore, il 21 ottobre 2005, della Legge 219 sul sistema trasfusionale, “legge che ha finalmente riconosciuto il ruolo fondamentale delle associazioni e il ruolo strategico del volontariato”, evidenzia Vincenzo Saturni, presidente di Avis Nazionale. La donazione volontaria di sangue è una caratteristica dell’Italia, aggiunge, ma “c’è da lavorare con i giovani per assicurare ai donatori più anziani il ricambio generazionale”. Ogni giorno, spiega Giancarlo Liumbruno, direttore del Centro nazionale Sangue, “si effettuano in media 8.349 trasfusioni di emocomponenti, di cui beneficiano oltre 1700 pazienti al giorno, 632mila pazienti all’anno”.
L’attività trasfusionale dovrebbe perciò essere inserita nella programmazione sanitaria di ogni Regione e con puntuali finanziamenti. Ma così non è. “Il mancato esercizio da parte delle regioni del ruolo ad esse affidato rappresenta un enorme limite nell’applicazione piena della 219″, sottolinea Maria Rita Tamburrini, direttore dell’Ufficio VIII Sangue e Trapianti del ministero della Salute. “Abbiamo avuto difficoltà anche nel percorso di accreditamento perché ogni regione ha emanato un decreto diverso l’uno dall’altra. Mi auguro – ha concluso – che una revisione del titolo V ci dia la possibilità di rivedere questo sistema” nella direzione di un “maggior coordinamento delle Regioni e di un maggiore raccordo da tra queste e il Centro nazionale sangue”.
Perché la stupidità aziendale è un male necessario nelle organizzazioni complesse
Aziende
Perché la stupidità aziendale è un male necessario nelle organizzazioni complesse
La standardizzazione dei comportamenti serve a mantenere l’uniformità di azione tipica delle multinazionali che operano sul mercato globale. La prospettiva cambia nelle imprese locali: qui l’assenza di “creatività” può mettere a rischio la vita stessa delle società. Dal numero 161 del magazine
di Ascensionato R. Carnà - Carnà & Partners 25 settembre 2018
Spicer ed Alvesson nel loro lavoro “The stupidity paradox” hanno approfondito, tra gli altri, il concetto della cosiddetta “stupidità funzionale” definendola come l’incapacità di (anche validi) dirigenti di mettere in discussione le norme e le attese della propria organizzazione aziendale. In ciò il paradosso: manager molto intelligenti, competenti e capaci che pare subordinino le proprie capacità per assecondare le dinamiche aziendali piuttosto che indirizzarle all’innovazione e allo studio delle strategie. In questa prospettiva, la stupidità aziendale risiederebbe, proprio, nello svolgimento di attività in modo acritico e, soprattutto, meno efficiente (se non del tutto inefficiente o inutile). In effetti, il corretto inquadramento del fenomeno tratteggiato non può prescindere dalla prospettiva di analisi e di valutazione: molto dipende dalla “posizione” dell’osservatore e si scoprirà che poi tanto “stupida” non è!
Due declinazioni del concetto
Pertanto, il sintomo della “stupidità” deve essere letto almeno attraverso due prospettive: 1) l’azienda multinazionale e manageriale e 2) l’impresa locale ed imprenditoriale. A tale scopo, si pensi, ad esempio, a un’azienda multinazionale che operi, al contempo, su più mercati con prodotti/servizi omogenei. In questa prospettiva “globale”, il top management ha un’esigenza di controllo sull’organizzazione dovuta alla necessità di garantire l’uniformità di comportamenti, la qualità del prodotto, l’erogazione del servizio, altro, a livello globale. Si perdoni la semplificazione, ma è ovvio che lo stesso prodotto o servizio, al netto di possibili e/o necessarie declinazioni locali, dovrà avere i medesimi connotati “dall’Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno”.
L’uniformità dei sistemi complessi
L’azienda è considerata e deve essere percepita come unitaria: si tratta di un indispensabile valore intangibile dell’impresa globale moderna. Potremmo mai immaginare Amazon, Coca Cola, Ikea, o qualsiasi altra realtà multinazionale che non presenti tratti comuni e chiaramente identificabili con le altre aziende appartenenti al medesimo brand? Come può, allora, il manager globale garantire tale unitarietà? La risposta è affatto semplice ma, ai nostri fini, due concetti chiave sono utili: segregazione delle funzioni, formalizzazione e standardizzazione dei processi aziendali. Attraverso la segregazione, si governano i conflitti di interesse aziendali e si mettono a comune servizio competenze e responsabilità complementari, necessarie per la definizione dei processi aziendali e loro conseguente formalizzazione e standardizzazione.
Si alimenta, è vero, la burocrazia ma si creano i necessari presupposti della continuità aziendale in prospettiva multinazionale. Inoltre, nello scenario globale, eventuali best practice o lesson learned da “incidenti” devono essere analizzati e implementati su tutte le affiliate. Anche queste nuove attività possono essere lette, semplicisticamente, come stupidità aziendale: “che senso ha questo ulteriore controllo? Perdo solo tempo”… è la prima frase che si ascolta in azienda. La seconda è: “prima facevamo così ed era molto meglio”… il frasario è ampio e ben noto a tutti i lettori.
Un metodo per garantire il rispetto delle regole internazionali
Non da ultimo, la descritta necessità di controllo è strumentale a garantire il rispetto della normativa di riferimento e l’integrità dei comportamenti dei dipendenti e collaboratori dell’ente. Si pensi, ad esempio, alle politiche, e relativi controlli, in materia di compliance, di anti-corruption ed anti-bribery ed altro ancora dettati sia da normativa esterna (ad esempio: Fcpa, Uk bribery Act, D.Lgs. 231/2001, altro) che da scelte aziendali. In sintesi: nelle multinazionali comportamenti apparentemente senza senso rispondono – sovente – ad una necessità diffcilmente percepita (o conosciuta) a livello locale. Servono, ecco il paradosso, a garantire la continuità del gruppo nel modo più efficiente ed efficace possibile (non in assoluto). La lamentela, corretta, è sulla capacità dei gruppi di condividere e di spiegare a livello locale il sottostante di talune decisioni (e, quindi, le conseguenti standard operating procedures) che le fanno apparire “stupide” con il rischio di essere implementate non con convinzione ma come burocrazia, mero adempimento.
Il danno è duplice. A livello di gruppo, si crede di aver mitigato un rischio e normalizzato dei comportamenti; a livello locale, il rischio non è percepito come tale e non è gestito nel modo migliore. Ma così si limita la genialità dei manager, soprattutto locali. Al fine di evitare queste possibili conseguenze nelle organizzazioni evolute vi sono specifici dipartimenti dedicati alla creatività che garantiscono un continuo approccio al mercato in linea con l’evolversi delle sue dinamiche (ivi incluse le sempre più comuni acquisizioni di aziende innovative). Nelle realtà locali, imprenditoriali, la prospettiva di analisi è differente e ci limiteremo solo a un accenno. Se è l’imprenditore a decidere e i manager lo assecondano in modo acritico siamo di fronte a un tanto comune quanto grave caso di “insensatezza” aziendale, la cui conseguenza estrema è la stessa sopravvivenza economica dell’impresa.
Un fenomeno tra fisiologia e patologia
In conclusione. La stupidità aziendale esiste. In taluni casi è fisiologica, necessaria, alla crescita ed allo sviluppo aziendale: ad un’analisi più attenta, ci si rende conto che poi tanto stupida non sia, anzi! In altri, è patologica ed è un prodromo della crisi di impresa nel lungo andare. Per comprendere con quale tipo di stupidità ci stiamo confrontando è necessario definire la giusta dimensione dell’osservazione: la prospettiva può far cambiare, anche notevolmente, il giudizio finale. Un connotato dell’intelligenza aziendale, in realtà, si rinviene nella capacità di spiegare il perché di talune scelte – apparentemente stupide – al fine di ottenere la condivisione di chi dovrà eseguirle ma anche di ascoltare le loro necessità e ricevere eventuali proposte. La saggezza aziendale, infine, è propria di chi è in grado di riconoscere un errore, ascoltando la “base”, e di porvi rimedio. Richiamandoci a Fernando Pessoa possiamo dire che nella stupidità c’è tanta intelligenza.
Vaccini Covid-19, il Parlamento invita le aziende a discutere e i Ceo non rispondono
Sanità e Politica
Vaccini Covid-19, il Parlamento invita le aziende a discutere e i Ceo non rispondono
Secondo quanto riportato da Politico, il 25 giugno la Commissione parlamentare Envi ha invitato alcune aziende farmaceutiche per discutere sui progressi della ricerca, ma i Ceo di queste società hanno declinato l'invito
I vertici di Astrazeneca, Sanofi, CureVac e Gsk sarebbero stati invitati il 25 giugno ad apparire davanti alla Commissione sull’ambiente, sanità pubblica e sicurezza alimentare (Envi) e da quella dell’Industria, ricerca ed energia (Itre), per discutere su finanziamenti e progressi nella ricerca contro Covid. A quanto risulta a Politico che ha direttamente coinvolto il presidente della Commissione Envi, Pascal Canfin, le aziende hanno deciso di non presentarsi (seppur in via telematica).
Il gran rifiuto
Stando a quanto ha detto Canfin a Politico, Astrazeneca non ha risposto alla lettera di invito, mentre Gsk e Sanofi, che sono partner nella corsa al vaccino, hanno detto che avrebbe potuto presenziare il vice presidente di Sanofi vaccines il quale, tuttavia, non fa parte del comitato esecutivo dell’azienda. Solo CureVac, che ha ricevuto un prestito di 85 milioni di euro dalla Banca europea per gli investimenti, ha accettato di mandare il suo rappresentante.”Non è accettabile – ha rivelato Canfin a Politico – che sei disposto a ricevere supporto pubblico e poi non accetti di inviare un Ceo di fronte ai rappresentanti del popolo europeo”. Probabile a questo punto che l’incontro venga rimandato, forse, a inizio settembre.
Rapporti non sempre idilliaci
Vero è che l’Ue sta finanziando un gran numero di programmi per la ricerca, vero è che alleanze strategiche tra gli Stati stanno definendo accordi con le singole imprese, tuttavia il recente passato ha messo spesso in contrapposizione Big Pharma con le istituzioni europee. Un altro gran rifiuto, come riportato dal Guardian a maggio 2020, era riferibile a una richiesta della Commissione Ue di tre anni fa sull’attivazione di processi di fast-track per vaccini contro patogeni simili al coronavirus in vista di possibili pandemie. Risposta? Secondo Bloomberg e Guardian le aziende pharma hanno detto no. A scovare il nodo sono state Global health Advocates e Corporate europe observatory due Ong che studiano l’impatto delle lobby delle imprese sulle decisioni delle politiche comunitarie in Europa. Le aziende all’epoca parlarono di mancanza di opportunità e soprattutto la necessità di dare priorità ad altre patologie, soprattutto il cancro.
I risultati di Inovio e J&J, l'avviamento della fase III di Moderna e Pfizer, il fallimento di tocilizumab e la Russia che vorrebbe approvare il suo vaccino già a metà agosto. Un breve quadro dell'attuale situazione a livello internazionale
Il vaccino di Johnson & JohnsonA fine luglio le novità riguardanti vaccini e terapie anti-Covid hanno visto un’accelerazione. Solo nelle ultime due settimane sono arrivati i risultati preliminari del vaccino di J&J, l’avviamento dell’ultima fase di sperimentazione del vaccino di Moderna e di Pfizer/Biontech, nuovi accordi per le forniture di farmaci nel Regno Unito e nell’Ue. Mentre i casi nel mondo continuano ad aumentare (lasciando per ora l’Italia in una situazione di stallo con poche centinaia di contagi al giorno), le industria farmaceutiche puntano al primo traguardo dell’anno: arrivare a settembre/ottobre con in mano qualcosa di più concreto dei dati preliminari dei vaccini e iniziare la distribuzione il prima possibile.
Condotto dai ricercatori del Beth Israel Deaconess medical center insieme a Janssen Pharmaceutical, i risultati preclinici pubblicati su Nature hanno dimostrato una forte risposta immunitaria. In virtù di ciò è stato avviato il trial clinico di fase 1/2 in Belgio e Stati Uniti.
Sui macachi funziona
Anche Inovio ha fornito dati positivi dopo le sperimentazioni sui macachi. Giovedi 29 luglio l’azienda ha rivelato che la protezione sugli animali dopo 13 settimane dall’inoculazione ha fornito esiti interessanti abbassando drasticamente la carica virale. Sempre dai macachi arrivano buone notizie anche per Moderna, la biotech americana che per prima ha avviato gli studi sul vaccino anti-Covid. Il lavoro sulle scimmie, in collaborazione all’Istituto nazionale per le malattie infettive (Niaid) diretto da Anthony Fauci e pubblicato sul New England Journal of medicine, ha dato il via libera al trial di fase III su 30 mila volontari sani in 89 siti americani. Alla fase finale del vaccino è entrato anche il programma di Pfizer/Biontech.
La Cina e la Russia
Ma se vale la regola “chi primo arriva meglio alloggia” (sul mercato), allora Mosca potrebbe addirittura stare meglio di tutti. L’ipotesi, stando anche a quanto rivelato dai media russi, è che il Cremlino voglia dotarsi di un proprio vaccino (prodotto dal Gamaleya Institute) già a metà agosto, anticipando di qualche mese tutti gli altri competitori. E ci sono già dei possibili acquirenti come India, Brasile e Arabia Saudita. Infatti, come noto da qualche settimana, la Russia ha avviato una serie di test su alcuni volontari militari per testare l’efficacia del prodotto. Un po’ come accaduto in Cina. Anche là le sperimentazioni del vaccino della CanSino sono condotte (anche) su un gruppo di volontari dell’esercito, tuttavia i risultati non sono particolarmente confortanti. Sembra infatti che il vaccino non abbia convinto in quanto a risultati, senza considerare che ulteriori sperimentazioni fuori dal territorio nazionale potrebbero venire compromesse dalle arcinote tensioni con gli Stati Uniti. Intanto anche l’Australia sta lavorando alla profilassi: la sperimentazione di fase 1 su 40 volontari sani dell’Università Flinders di Adelaide avrebbe dimostrato l’assenza di effetti collaterali significativi.
Altre terapie
Sul fronte terapie preventive va segnalato soprattuto il fallimento di tocilizumab di Roche. Il farmaco non avrebbe effetti sul virus, come conferma l’azienda stessa, in quanto non sarebbero evidenti miglioramenti sulla condizione clinica dei pazienti. Già a giugno qualcuno aveva storto il naso sull’inefficacia di tocilizumab dopo che uno studio italiano ne aveva escluso i benefici. C’è poi remdesivir, l’antivirale contro Ebola di Gilead. L’azienda californiana ha chiuso da poco un accordo per una fornitura ad agosto con l’Ue (che coprirà circa 30 mila pazienti gravi). Infine, come rivela Reuters, nell’agone farmaceutico si inserisce anche Celltrion. La società coreana ha ottenuto il via libera dall’autorità regolatoria britannica per l’avviamento dei trial per un anticorpo anti-Covid.